Gabriele Romagnoli: "Arcaico, colto e oscuro così parla Bin Laden"

15 Novembre 2002
Il Cairo - Ogni volta che Osama bin Laden parla si rivolge a due mondi, due pubblici differenti. Uno è l´Occidente, che percepisce il suo tono calmo e ne apprende le minacce dalla traduzione. L´altro è il mondo arabo, che ascolta, ma non sempre capisce, perché Bin Laden parla, letteralmente, un´altra lingua, appartenente a un diverso, remoto, tempo. Usa le arcaiche parole di un dizionario del fondamentalismo che ha fatto proprio e non si preoccupa se non viene compreso: chi non ne è capace non appartiene al suo, eletto, popolo.
C´è un uomo al Cairo che, da oltre un anno, dalla prima videocassetta spedita alla rete Al Jazeera, studia il linguaggio di Osama bin Laden e ne ha tratto conclusioni sui suoi intenti e sulla sua psicologia. Quest´uomo si chiama Gamal al-Ghitani, è uno scrittore di romanzi storici, tre dei quali tradotti anche in italiano. È stato il primo a sostenere l´autenticità dell´ultimo messaggio di Bin Laden, prima ancora dell´opinione della Cia e di un esperto di comparazione vocale giapponese. Gli è bastato sentire una parola dispersa tra gli anatemi per riconoscerlo. La parola non appartiene al linguaggio della strada e neppure all´arabo classico, bisogna conoscere le Scritture per comprenderla, bisogna rifarsi all´alba dell´Islam e c´è un filo conduttore di parole così nei discorsi di Osama. Seguendolo, si arriva a un significato.
Gamal al-Ghitani mette nel videoregistratore il primo nastro ricevuto da Al Jazeera, quello con i fondali di roccia, il mitra appoggiato per terra, l´imponente orologio al polso. Ghitani non guarda, ascolta, improvvisamente blocca la registrazione: "Sentito? Sentita questa parola?" Riporta indietro, la isola: "Fostad, così ha detto: fostad. Sa che cosa vuol dire? Tenda, piccola tenda, è una piccola tenda nell´accampamento beduino. Provi ad andare al bazar e chieda tra i banchi di venderle una fostad: nessuno capirà che cosa vuole, perché nessuno usa quella parola, né qui al Cairo, né a Riad, né altrove nel mondo arabo. È una parola perduta, ma ricca di significato. Sa come si chiamava la prima capitale islamica d´Egitto, la grossa area su cui sorse la prima moschea? Al Fostad. La fostad delimita un mondo, al suo interno vengono accolti solo i fedeli della religione assoluta, che per in Laden è il waabismo. Tutti gli altri ne sono esclusi, condannati al deserto e chi è al riparo non se ne cura".
Toglie la cassetta, ne infila un´altra: secondo messaggio e seconda parola scelta come esempio per proseguire l´analisi del linguaggio e del pensiero di Bin Laden: "Eccolo, sta parlando dell´Afghanistan, di quel che rappresenta per sé e per i suoi compagni, vuole dire che è la terra dove sono emigrati in esilio e usa l´espressione el hegra, per definire questa emigrazione. È un´altra parola arcaica, scomparsa, ma è la stessa usata da Maometto quando, attaccato, indica la via della fuga per la salvezza ai primi seguaci. Capisce cosa significa? Lui considera se stesso e i suoi affiliati come i primi musulmani, pensa che come loro siano dovuti emigrare, ma che torneranno per conquistare il territorio che a loro appartiene".
Come? Gamal al-Ghitani a questo punto prende la trascrizione dell´ultimo discorso. Ha evidenziato una parola: ghawza. "Significa battaglia, campagna di una guerra. Nessun arabo contemporaneo la userebbe per dire battaglia, lui lo fa riferendosi agli attentati compiuti da New York a Bali. Usa una parola dei testi religiosi per evocare stragi di innocenti. Per capirlo devi conoscere quei testi, conoscere la storia, ma se non sei in grado, Bin Laden non si degna di venirti incontro, non ti considera degno di vivere nella sua piccola tenda. Parla una lingua perduta, quella del primo secolo dell´Islam. Lo fa perché quella è la lingua nella quale lui pensa, è intriso di quella cultura e vuole riportare il mondo arabo a quel tempo. Il suo è un Islam astratto: per l´uomo non c´è casa, non c´è corpo, lui non si preoccupa di queste cose per sé, né di distruggerle agli altri. Sa di parlare a molti, ma lo fa nel linguaggio dei pochi, sono i più a dover imparare la lingua dimenticata che in lui sopravvive".
Non c´è, come aveva temuto la Cia, alcun codice segreto nei suoi discorsi: l´uomo che spedisce cassette in Qatar non ne ha bisogno per comunicare. Il suo codice è trasparente e dichiarato, fatto di parole perdute che, messe in fila, compongono il messaggio dei messaggi: "Voi non esistete, c´è solo una piccola tenda alla quale torneremo, battaglia dopo battaglia".

Gabriele Romagnoli

Gabriele Romagnoli (Bologna, 1960) Giornalista professionista, a lungo inviato per “La Stampa”, direttore di “GQ” e Raisport è ora editorialista a “la Repubblica”. Narratore e saggista, il suo ultimo libro è …