Umberto Galimberti: Se i bambini usano il Prozac

09 Gennaio 2003
Ma volete mettere la gioia dei genitori nel vedere i bambini sorridere quando a loro va a genio, o tranquilli quando si torna a casa dal lavoro e altro non si desidera se non quell´azzeramento dei problemi, e al limite delle altrui esistenze, che siamo soliti chiamare "quiete"? Ma che cos´è la depressione? Quella condizione dell´anima che si registra quando il mondo circostante non ci dice più niente e il mondo immaginifico, quello dei nostri sogni e dei nostri progetti, tace avvolto da un silenzio così cupo e impenetrabile da impedire anche il più timido degli sguardi che osi proiettarsi nel futuro.
Che questa condizione possa ricorrere nell´età adulta e in quella senile, dove il presente talvolta ripete la monotonia del già vissuto e il futuro sembra assumere le cadenze del passato, irrimediabilmente passato, è comprensibile. Ma che tutto ciò accada ai bambini che non hanno un passato da ricordare ma solo un futuro da dispiegare, o agli adolescenti che, con tutto il baccano di cui si circondano, non trovano un motivo per continuare a vivere con quel minimo di gioia che la loro età giustificherebbe, questo è davvero impressionante.
E allora la notizia non è che l´agenzia americana per i farmaci abbia autorizzato l´uso del Prozac per i bambini e per gli adolescenti depressi, ma che la nostra cultura, la nostra civiltà, all´apparenza così piena di stimoli e di sollecitazioni, crei dei bambini e degli adolescenti depressi. Questo ci deve far pensare: l´origine del male, e non l´autorizzazione del rimedio farmacologico che, quando interviene, agisce su un terreno psichico ormai inaridito, e non per irrorarlo e ridargli vita, ma solo per togliergli la sembianza dell´aridità.
Se solo pensiamo che il mondo non parla mai a un bambino direttamente, ma sempre e solo attraverso la mediazione di una parola di cui il bambino si fida, per averla sentita già quando era nella pancia della madre e poi, dopo la nascita, per averla conosciuta come quel veicolo che gli rendeva accessibile il mondo, secondo quei percorsi di fiducia di base che portano ad aprirsi invece che a chiudersi alle esperienze che si incontrano, allora la domanda è: quanto abbiamo circondato questi bambini di parole rassicuranti, come abbiamo fatto con i baci e le carezze di cui li abbiamo riempiti appena sono nati? Quanto mondo è stato veicolato dalla nostra presenza "attiva" che seguiva i loro itinerari di scoperta, rassicurandoli e mettendoli in guardia in modo che potessero apprendere gli itinerari fiduciosamente praticabili e quelli rischiosi nel loro modo ingenuo di essere al mondo? Quanto abbiamo parlato con loro e soprattutto quanto li abbiamo ascoltati? Perché i bambini non crescono come le piante, dove basta un seme caduto in un terreno adatto. I bambini crescono bene solo se si parla tanto con loro, non con una parola precettiva: "fai questo", "non fare quest´altro", ma con una parola curiosa che si intrattiene con loro per scoprire il perché dei loro movimenti, delle loro ideazioni, delle congetture con cui i bambini creano lo schema del loro mondo, in cui noi siamo ospitati come compagni di viaggio nella scoperta del nuovo e non come guide che già conoscono tutte le vie e perciò le indicano senza lasciarle scoprire.
E questo perché un bambino ama se stesso e il mondo che lo circonda attraverso le scoperte che fa e che può comunicare, e non perché segue vie tracciate, che possono essere anche quelle giuste, ma che lui non sente come sue. E allora si ritira in un se stesso non scoperto, come non scoperto è il mondo che lo circonda. E in questa sequenza di ubbidienze cieche, lungo percorsi che non riconosce come suoi, alla fine: o si ribella e diventa iperattivo e allora un po´ di Ritalin, o si chiude in se stesso e si deprime e allora un po´ di Prozac.
Ma purtroppo i farmaci non sono un rimedio sufficiente alla comunicazione mancata. Possono mascherare un sintomo ma non curare il male. E una volta che a un bambino abbiamo fatto mancare la fiducia di base, con cui solamente è possibile entrare con interesse nel mondo e guardare con curiosità il domani, il male è già accaduto e non c´è Prozac o Ritalin che possa porvi rimedio.
Ma per creare la fiducia di base è necessario tempo, tanto tempo da trascorrere con i bambini e, in modi diversi, con gli adolescenti. E quando dico tempo dico "quantità" e non "qualità", come siamo soliti raccontarci, per acquietare la nostra coscienza, quando ai bambini e agli adolescenti dedichiamo poco tempo. E allora la domanda, questa volta davvero drammatica, potrebbe essere: può la nostra società, che sequestra ai genitori tutto il loro tempo, disporre ancora delle condizioni necessarie che consentano la crescita di bambini, se non felici, almeno sereni, o quanto meno non depressi? Questo sistema è ancora compatibile con la nascita e la crescita dei figli? Io credo di no. E allora Prozac, Ritalin e quant´altro per porre rimedio a un male che, diciamolo chiaro e tondo, nella depressione dei bambini non ha la sua origine, ma solo il suo inevitabile e tragico effetto. Questo dobbiamo saperlo per non pensare ingenuamente, ma forse solo ipocritamente, che a tutto c´è rimedio.

Umberto Galimberti

Umberto Galimberti, nato a Monza nel 1942, è stato dal 1976 professore incaricato di Antropologia Culturale e dal 1983 professore associato di Filosofia della Storia. Dal 1999 è professore ordinario …