Gabriele Romagnoli: La Jihad dai telefoni del Cairo

01 Aprile 2003
C´è una folla di studenti, intorno a un telefono pubblico vicino all´università. Una ragazza compone un lungo numero, attende, dà segni di scoraggiamento, riprova, riattacca, insiste, infine riesce, parla. Tutti esultano, ma in silenzio. E guardano l´orologio. Lei sembra commuoversi. Le fanno un segno: è passato un minuto. Dispiaciuta, riappende: ma si abbracciano felici. Lei ha parlato con qualcuno a Bagdad e adesso lo racconta. Stasera lo scriverà sul sito Islamonline.net. Chi c´era dall´altra parte, non importa, era un numero a caso, era un "fratello" che soffre sotto i bombardamenti. Gli ha detto di avere coraggio, lui sembrava averne più di lei. Era sorpreso, poi scettico, infine contento. Lei, felicissima. Ora tocca a un altro chiamare: 00964 per l´Iraq, 1 per la capitale, poi un numero che comincia per 443, 318, 527 e altre 4 cifre che, quali siano, portano nella casa di una famiglia a cui dare solidarietà. È un´idea nata ad Alessandria, arrivata al Cairo e pronta a diffondersi in tutto il mondo arabo. La chiamano "Jihad al telefono" e ha due fasi. La prima è questa, detta anche: "Asciugate le lacrime di Bagdad".
Chi vuole partecipare fa una cosa semplice: rinuncia al cinema o a una cena, va a comprare una scheda telefonica da 50 lire egiziane (otto euro), raggiunge il primo telefono pubblico e compone 9 numeri fissi e 4 a caso. Insiste, finché qualcuno risponde e allora gli fa sapere che non è solo, che l´Egitto, la Lega araba, i leader che hanno fatto le sabbiature a Sharm el Sheikh potranno anche essere sembrati distanti e distratti, ma loro no e adesso chiamano per dirlo.
Ogni telefonata dura un minuto. L´obiettivo è farne centomila entro la fine della settimana, dire una parola d´incoraggiamento a centomila famiglie. Serve a qualcosa, quando il tuo profeta ti chiede di morire, il tuo leader ti tiene prigioniero e il tuo liberatore ti bombarda? I "ragazzi che asciugano le lacrime di Bagdad" assicurano di sì. Raccontano che la gente è stupita, ma contenta di scoprire che altri arabi non li hanno dimenticati. Dicono che ha il morale sorprendentemente alto, è convinta di cavarsela, di sopravvivere o addirittura vincere, "nel nome di Dio". "Pregheremo per voi", "Faremo altrettanto".
Nascono collette per comprare carte telefoniche internazionali a chi non se le può permettere, ma vuole partecipare, avere l´esperienza di poter parlare con qualcuno a Bagdad e poi scrivere su uno dei siti che appoggiano l´iniziativa: "Ero più commosso di loro". Molti saltano le lezioni per farlo, perché bisogna chiamare prima del tramonto, quando cominciano i bombardamenti pesanti e saltano le linee. E´ un´idea così semplice, umana e concreta da sembrare una di quelle nate in America, quando qualcuno soffriva e volevi essergli vicino, in un modo la cui utilità non andava oltre il significato: "Cuciamo una coperta patchwork con una pezza per ogni morto di Aids", "Facciamo un muro mobile, che vada di città in città, con i nomi di tutti i caduti in Vietnam".
Poi c´è la seconda fase, più Jihad e meno commozione. Questa è appena cominciata, ma altrettanto semplice. Bastano, ancora una volta, soltanto una scheda e un telefono pubblico. Cambia il numero: il prefisso è 001 per l´America, segue quello di una città e poi sette cifre a caso. Quando la famiglia yankee risponde, occorre anche meno di un minuto per dire una sola cosa, prendendola di sorpresa, senza lasciarsi interrompere. Chi sa l´inglese lo recita, chi non lo conosce se lo fa traslitterare e lo legge, così come gli viene. Il messaggio che, indicano le istruzioni, va letto in modo molto calmo, senza rabbia, è: "I vostri figli sono andati a morire nel deserto dell´Iraq, a farsi massacrare perché i signori della Casa Bianca mettano le mani sul petrolio e facciano la volontà di Israele".
Poi si riappende, restando a immaginare l´effetto che fa: nella maggior parte dei casi, probabilmente, nessuno. Ma loro ci provano: stanno rastrellando indirizzi e-mail americani, possibilmente di privati e si preparano a inondarli di immagini che le televisioni degli Usa non mostrano. Dicono: "Manderemo le fotografie, tratte da Al Jazeera, dei cadaveri in decomposizione dei loro figli, così che si rendano conto, che cosa vuol dire profanare il suolo di un Paese islamico". Asciugano le lacrime di Bagdad, ma vogliono far scendere quelle di Austin, Texas. Non c´è coperta di solidarietà che avvolga il mondo intero, s´è strappata e sempre più stanno, con la loro limitata pietà, o di qua o di là.

Gabriele Romagnoli

Gabriele Romagnoli (Bologna, 1960) Giornalista professionista, a lungo inviato per “La Stampa”, direttore di “GQ” e Raisport è ora editorialista a “la Repubblica”. Narratore e saggista, il suo ultimo libro è …