Paolo Rumiz: Il saccheggio di Bagdad

14 Aprile 2003
Il ministero del petrolio subito protetto dai carri armati; il museo archeologico lasciato al saccheggio, con i soldati Usa che ridacchiano. Il sospetto di un abisso culturale dietro alla guerra di Bush ti fulmina con questa doppia immagine da Bagdad. "Si è ignorata la convenzione dell´Aja del '54 che dà agli occupanti precise responsabilità di tutela sul patrimonio culturale dei vinti", s´indigna Giovanni Bergamini, capo del Museo Egizio di Torino, con alle spalle vent´anni di scavi in Mesopotamia. Conosce questa terra come pochi al mondo e questo scempio gli brucia ancor di più pensando che quella mesopotamica era una civiltà basata proprio sul rispetto della memoria; anche quella degli sconfitti. Racconta: quando il re Hammurabi conquistò la roccaforte del suo rivale Mari, sull´Eufrate, ordinò ai suoi scribi di conservare tutti gli archivi dello sconfitto, e di ordinarli.
"Ora siamo tutti più poveri, quel museo era uno dei tesori dell´umanità. Conteneva millenni di storia; un giorno non bastava per visitarlo tutto. E´ lì che si testimonia l´inizio della civiltà urbana nel mondo". Non si dà pace l´archeologo, che ha appena dato alle stampe un libro ("I datteri di Babilonia") sulle sue campagne di scavi che ora, alla luce degli eventi, paiono l´epitaffio di un patrimonio universale. Guarda le immagini tv da Bagdad, riceve via satellite telefonate bollenti da giornalisti che assistono allo scempio chiedendosi se dietro vi sia un disegno. "Lo Herald Tribune – ricorda - aveva parlato di pressioni dagli antiquari internazionali su Usa e Gran Bretagna per un ammorbidimento della legge di tutela sui monumenti iracheni. Non so dire se dietro ci sia questo business. Forse è solo abissale ignoranza. Ma anche questa fa male".
Bergamini racconta, ci porta quasi per mano nei corridoi del museo che conosce a memoria. Eccolo, il grande vaso rituale di Uruk, alto più di due metri, immenso nella penombra, il manifesto più perfetto dell´ordine celeste da cui dipende la fertilità della terra fra i due fiumi e la vita delle prime città sulla Terra. L´epoca è pre-sumera, IV millennio Avanti Cristo. Le decorazioni sono a fasce sovrapposte, a partire dall´acqua, la grande madre. Poi ecco i canali, le piante, infine la processione con le offerte alla dea Inan, col suo simbolo fatto di canne a fasci. "Questo non possono rubarlo, ma temo danneggiamenti. Tremo all´idea. So che il reparto islamico è stato saccheggiato, che nella sala assira molte statue sono state portate via o decapitate. Non so il destino dei rilievi di Khorsabad. Non so quanti pezzi asportabili siano chiusi in cassaforte. Molto dipende da quello".
Si continua attraverso le sale. Pare un videogame, ma è un viaggio nel tempo. Ecco la grande Stele della caccia, un blocco di granito di seimila anni. "E´ la prima volta nella storia dell´uomo che viene raffigurato la caccia di un re. Vedi il sovrano che abbatte la belva con l´arco e poi la spada. Il leone rappresenta il caos: uccidendolo, il sovrano lancia un messaggio simbolico rassicurante ai sudditi, dice che l´ordine continuerà. Egiziani e assiri impararono da lì". Un pezzo, anche quello, che nessuno potrebbe asportare. Ma esposto al vandalismo.
Ed ecco le mitiche tavolette d´argilla, i primi libri, i primi archivi dell´umanità. Eterne, perfette dopo millenni. "I mesopotamici – spiega l´archeologo - non hanno solo inventato la scrittura, hanno anche fissato la memoria. La sapevano gestire in modo perfetto. Il loro controllo del territorio si basava proprio su questa memoria lunga. Noi, invece, la stiamo perdendo alla velocità della luce. Succede perché il rapido invecchiamento dei sistemi elettronici rende illeggibili dati catalogati solo trent´anni fa. E lo sa? Persino il Pentagono perde la memoria. Ha dovuto chiamare archivisti italiani per ritrovarla e ridare ai documenti i titoli giusti. Da soli, gli americani non ce la fanno. Pare quasi una nemesi".
Avanti ancora, nella penombra, tra meraviglie da Indiana Jones, verso dove balugina l´elmo d´oro del re Meskalamdug, 2500 Avanti Cristo, e la sala dove incombe, grandiosa, la testa bronzea di Sargon, altro leggendario monarca, 1300 A. C. Poi ecco i bassorilievi di Ukair, con i mosaici luccicanti, gli intagli di calcite e lapislazzulo. E già sei davanti alle statuette della valle di Diyala, gli oranti di epoca sumerica. Un paradigma pietrificato dell´adorazione; con grandi, indimenticabili occhi sbarrati. E avanti ancora, i giganteschi tori androcefali, i rilievi di Babilonia, i registri sul governo delle acque e dell´agricoltura, con i loro parametri di redditività e l´assegnazione meticolosa, quasi maniacale, dei compiti. Un´altra meraviglia: in una teca, la tavoletta dell´epoca di Hammurabi dove si risolve il teorema di Euclide 1200 anni prima dei Greci.
"Fa male vedere quest´anarchia – incalza Bergamini - proprio nel Paese che nell´antichità conobbe l´ordine statale più perfetto della Terra. Quando vedi una stele della terza dinastia Ur, ti commuovi. E´ l´apoteosi di una burocrazia coscienziosa, di un ordine cui nulla sfugge, di un senso superiore del bene comune. I funzionari che sbagliavano pagavano con la confisca dei beni e gli ispettori del re controllavano ogni istante l´andamento della macchina statale". Oggi, il Paese è in mano ai ladri, e c´è qualcosa che non va in questo lasciar correre. "Non vorrei che questa distruzione serva a gonfiare l´affare della ricostruzione post-bellica. Il problema è che l´archeologia non è riproducibile. Quello che si perde oggi non tornerà mai più. Lasciando devastare il museo di Bagdad, gli americani si sono assunti una responsabilità tremenda".

Paolo Rumiz

Paolo Rumiz, triestino, è scrittore e viaggiatore. Con Feltrinelli ha pubblicato La secessione leggera (2001), Tre uomini in bicicletta (con Francesco Altan; 2002), È Oriente (2003), La leggenda dei monti …