Gabriele Romagnoli: Al Cairo la fabbrica degli imam moderati

27 Giugno 2003
La grande fabbrica degli imam funzionava, immutabile, da oltre mille anni. All´ombra della moschea di Azhar imparavano, sugli stessi invariabili testi, ogni cosa: dall´alfabeto al master. Lo Stato benevolmente li esaminava e poi nominava. Le moschee di tutto il mondo aprivano loro le porte, concedevano i pulpiti perché liberamente predicassero, su qualsiasi tema. A migliaia, ogni anno, ottenevano l´autorizzazione e partivano. La loro voce non poteva essere controllata. Avevano studiato solo teologia, ma predicavano, anche, politica. Ora, le cose stanno cambiando. Nuovi imam crescono. Nei loro corsi di studio, anche qui, le tre "I", ma con una variante: Inglese, Internet e Islam moderato. Nei sermoni che faranno: più spiritualità, qualche accenno al sociale, nessuna traccia di guerra santa. Ci saranno ispettori per verificarlo, chi sgarra scende dal pulpito.
È un progetto del ministero per gli affari religiosi del governo egiziano. Il suo scopo è creare una nuova generazione di predicatori, in grado di rinnovare la diffusione del messaggio religioso, di andare nel mondo e non imbarazzare chi li ha inviati.
Il primo nucleo è appena uscito da un corso intensivo di tre mesi ad Alessandria. Erano cinquanta, accuratamente prescelti sulla base dei titoli.
Hanno studiato le tecniche bancarie e quelle per il controllo delle nascite, il linguaggio dei computer e quello che parlano in Inghilterra e America. Di certo, almeno loro non saranno convinti di evocare il demonio ogni volta che diranno "per favore". Nella stessa settimana in cui cominciava il corso uno sceicco saudita, esponente della setta wahabita, la più conservatrice, così ammoniva i giovani: "Non studiate l´inglese, non parlatelo mai, perché esso è la lingua del diavolo". A riprova, spiegava che la parola blease (sarebbe please, ma in arabo manca la p) deriva da iblisa, ossia Satana.
Più o meno le stesse basi scientifiche su cui lo sceicco Bin Baz emise una fatwa per assicurare che la terra non ruota.
Nei documenti ufficali si annuncia l´ora del "tagdid", che significa rinnovamento. I suoi oppositori sostengono che bisognerebbe usare l´equivalente inglese, perché non è altro che uno dei cambiamenti imposti dall´America. La verità, probabilmente, sta all´incrocio. Per cercarla bisogna partire dalla grande moschea di Azhar, al Cairo, la fabbrica degli imam. È qui che la loro mente si forma. Azhar ha 188mila studenti da 68 Paesi. Controlla anche 4.000 scuole elementari dove organizza annualmente gare di recitazione a memoria del Corano. Gli azhariti hanno un´uniforme, che indossano con orgoglio e una formazione culturale di cui vanno altrettanto fieri, da secoli invariata. "Questo è il problema - sostiene Nabil Fatah, autore di un rapporto annuale sullo stato della religione in Egitto - niente sociologia. Nessun approccio al mondo contemporaneo. Le stesse domande e le stesse risposte, ottenute con gli stessi, vecchi metodi. Come è possibile, in questo modo, produrre imam moderni?".
La scelta, in realtà, tocca al governo, che è diventato più severo. All´inizio di maggio, durante un dibattito parlamentare, il ministro per gli affari religiosi Hamdi Zaqzouq ha ammesso: "Agli esami da imam si presentano in quindicimila. Abbiamo seimila posti disponibili, ma ne nominiamo soltanto millecinquecento". Gli altri non sono considerati all´altezza. Sanno tutto del Corano, è vero, ma poco del ruolo delle donne nelle società avanzate, o dei rapporti tra il mondo musulmano e l´Occidente. Pochissimo d´inglese. Devono studiare ancora. Alcuni sono stati spediti per tre mesi a un seminario interreligioso in un hotel del Cairo, dove hanno discusso con sacerdoti cristiani e, addirittura, liberi pensatori laici. Il loro vocabolario è stato emendato o "rinnovato": è stato ricordato loro che il "jihad", originariamente, è una lotta interiore per il raggiungimento di un fine e a quel significato va ricondotto, dimenticando guerre sante contro gl´invasori.
Riformare il messaggio dei predicatori è diventato vitale per l´Egitto. Negli Anni Novanta stroncò il terrorismo fondamentalista con gli arresti e le condanne e si ripresentò al mondo con una immagine ripulita. Ma si accorse di avere ancora una macchia: i suoi imam all´estero che incitavano alla violenza, come lo sceicco cieco che ideò il primo attentato alle Torri Gemelle. Dopo l´11 settembre, il controllo di quelle voci è diventato decisivo per l´Islam intero, ma incontra resistenze. Il decano della facoltà di Principi religiosi ad Azhar, Abdel Halim, sostiene che è in atto "un tentativo di secolarizzazione, nell´Islam nulla si crea, tutto è già dato per essere seguito". Per Omar Azzam, uno dei predicatori sospesi: "Non c´è sermone che non sia politico. Collegare la predica alla realtà è il dovere di un buon imam".
Come molti, vedono la mano dell´amministrazione di Washington. Pensano che voglia riformare tutta l´educazione nel mondo arabo, ricordano che aveva minacciato di mettere Azhar nella lista dei covi terroristici dopo che i suoi vertici avevano legittimato la reazione anti-americana. I fautori del rinnovamento, come Fatah, ritengono queste paure un alibi: "Riformare l´Islam è una necessità nostra, non dell´Occidente".
Quale che sia la spinta che lo muove, il governo va avanti nel suo progetto. I primi modelli della nuova fabbrica di imam sono già esibiti con orgoglio. Uno, il preferito del ministro, è un ventiseienne che predica in una moschea londinese, considerato il perfetto testimonial dell´Islam moderato. Un altro è l´imam della moschea di Bahariyya che termina il sermone dicendo: "Dio benedica il presidente". Per ora, si riferisce solo a quello egiziano.

Gabriele Romagnoli

Gabriele Romagnoli (Bologna, 1960) Giornalista professionista, a lungo inviato per “La Stampa”, direttore di “GQ” e Raisport è ora editorialista a “la Repubblica”. Narratore e saggista, il suo ultimo libro è …