Riccardo Staglianò: "Quei dieci minuti che salvarono la vita di Saddam Hussein"

28 Luglio 2003
Aveva pianto, più di tutto, la morte delle tigri e dei coguari che coccolava nel suo palazzo distrutto dalle bombe americane. L´assedio gli aveva tolto anche gli appetiti: quasi non mangiava, non aveva più voglia di vedere le numerose fidanzate né di frequentare i night. Ma la guerra l´aveva anche risarcito della perdita più dolorosa, la stima che suo padre da anni gli negava. Guidando i feddayn nella resistenza Uday Hussein, il playboy psicopatico, si era meritato una lettera ufficiale in cui il raìs lo lodava. E lui, per la contentezza, l´aveva pubblicata per intero su Babylon, il giornale di cui aveva il controllo.
E´ un ritratto inedito quello che una delle guardie del corpo del primogenito di Saddam ha consegnato al britannico Times e all´americano Newsday. E fornisce una ridda di dettagli sugli ultimi giorni del dittatore e dei suoi figli a Bagdad. Abu Tibu (è uno pseudonimo) ha 28 anni e ha acconsentito a rompere il silenzio solo dopo la morte di Uday. Quando lo vide per l´ultima volta, congedandosi, ricevette 1000 dollari in regalo: "Ti richiameremo se abbiamo bisogno", gli promise invano il suo capo. Era circa una settimana dopo la caduta della città, quel 9 aprile quando anche la statua del presidente sulla piazza del Paradiso fu tirata giù dal piedistallo. Sino ad allora la famiglia Hussein era rimasta in città.
"Sarebbero potuti scappare in ogni momento, ma volevano lottare", convinti di vincere. Vivevano da braccati, spostandosi ogni 2-3 giorni da una casa all´altra messa a disposizione da amici e parenti. E una volta si salvarono per un soffio da un bombardamento sul quartiere di Mansour che fece 14 vittime tra i civili. Saddam sospettava che ci fosse un informatore tra i suoi e gli disse di preparargli un nascondiglio dietro a un ristorante. Ma quando vi arrivò, uscì subito da una porta di sicurezza. "Dopo dieci minuti il palazzo venne bombardato" ricorda la guardia del corpo. E il capitano-spia fu fatto fuori. L´11 aprile Saddam e i figli parteciparono alla preghiere del venerdì in una moschea di Adhamiya, a pochi chilometri dalla zona pattugliata dagli americani. E qui il raìs, avvicinato da una vecchia che lo accusava di aver portato il paese alla rovina, rinunciò per un attimo alla sua sicumera televisiva: "Si battè la fronte con la mano e disse "Cosa posso fare? - racconta Abu -. Mi fidavo dei comandanti ma hanno tradito l´Iraq. Ma spero che presto torneremo al potere e ogni cosa sarà aggiustata".
La guerra aveva molto provato il già fragile equilibrio psicologico di Uday. Lui che aveva centinaia di fuoriserie era costretto a spostarsi in anonime Toyota o polverose Kia, con una kefiah rossa sul volto, guardato a vista da alcune delle sue sei guardie del corpo. A volte la tensione lo tradiva e provocava le escandescenze per cui era famoso. "Gli piaceva prendersi gioco dei soldati americani - rammenta Abu -. Una volta ne vide uno con la faccia arrossata e disse che non era il volto di un combattente" per poi aggiungere una chiosa oscena sull´uso migliore che si sarebbe potuto farne. Dall´inizio dei bombardamenti, tuttavia, la sua leggendaria vita notturna era stata azzerata. "Andava a letto a mezzanotte, si svegliava alle 4 per sentire i telegiornali e poi tornava a letto per riposare fino alle 6". Sonni agitati, che non lo rinfrancavano. Aveva smesso di bere alcol mentre continuava a fare gli esercizi e le terapie a cui lo costringevano i postumi dell´attentato del ´96 in cui aveva quasi perso una gamba. Ma, a sentire il testimone, uno dei momenti più brutti fu proprio la distruzione del palazzo dove teneva il suo piccolo zoo privato: "Amava molto quegli animali esotici e passava gran parte del suo tempo libero con loro. Quando perirono intrappolati nelle gabbie fu molto triste".

Riccardo Staglianò

Riccardo Staglianò (Viareggio, 1968) è redattore della versione elettronica de "la Repubblica". Ha scritto a lungo di nuove tecnologie per il "Corriere della Sera" ed è il cofondatore della rivista …