Gabriele Romagnoli: Ramadan, il digiuno nel nome di Dio

31 Ottobre 2003
Fischi. Slogan islamici. "Ramadan è prezioso", "Allah lo è di più". Ramadan comincia domani. L´Iraq è occupato, la Siria minacciata, la Palestina accerchiata, l´Egitto in crisi economica. È la festa del loro scontento, ma tutti fingono gioia. Cambiano le latitudini e le religioni, resta l´effetto della trasformazione delle ricorrenze in occasioni di forzata allegria, due manciate di cerone sulla disperazione, l´interruttore del consumismo che viene premuto e, se non ci sono soldi, provoca corti circuiti. Visto e vissuto da un occidentale laico in trasferta, Ramadan è un fuso orario, uno stressato Natale lungo un mese, una circostanza densa di significati sinceri e altrettanta propaganda. Per decifrare gli uni e l´altra bisogna raccontarne una comune giornata.
Poiché il tempo assume una perfetta circolarità l´inizio e la fine coincidono, l´ultimo momento può essere considerato il primo. Accade nella fase precedente l´alba, in cui viene consumato il pasto prima della luce, che porta con sé l´obbligo del digiuno. Le famiglie si ritrovano, raccolte e unite, quasi una litografia. I mariti tornano a casa dai caffè aperti tutta la notte, i figli vengono tirati con premura giù dal letto. E le donne? Le donne hanno vegliato in cucina, davanti ai fornelli, preparando i cibi speciali di una festa che non è mai loro. Ramadan per loro vuole dire lavoro notturno, colazioni extra, capaci di frenare la fame durante il giorno, tavole da imbandire nelle ore piccole, piatti da lavare all´aurora, stanze da ripulire all´alba, spesa speciale da fare al mattino per il pasto del tardo pomeriggio, al tramonto, a cui parteciperanno anche gli invitati, per cui ci sarà molto da rigovernare la sera, per poi cucinare, la notte, e servire in tavola, prima che torni la luce e il cerchio del tempo si chiuda, come una porta che le lascia sempre fuori, nella festa ancora più stanche.
Con la luce del giorno la vita riprende, ma con lentezza esasperata. I negozi hanno aperture ritardate, gli uffici e le scuole orario ridotto. Ci si trova davanti a impiegati e commessi con espressioni più svagate del solito e, con il passar delle ore, sempre più nervosi. Non bastasse la fame, a popoli di fumatori si aggiunge il divieto del tabacco. Il risultato è una tensione crescente, una febbre che sale nelle città: aumenta il numero degli incidenti, quello delle liti per futili motivi. Si assiste a risse scatenate dal nulla. "O dormo o mi arrabbio - mi ha detto un pur religioso commerciante - E allora quando sento l´ira che bolle, chiudo bottega, mi sdraio su un meterasso nel retro e aspetto l´ora del pasto".
È un´attesa lunga, uno stress che vibra e ha i suoi studiosi. Muhammad Shalan, psichiatra all´università di Al Ahzar ne paragona gli effetti all´assunzione di Lsd: "Si alterano gli stati di coscienza e le percezioni, ci si sente assonnati e confusi. Teoricamente il fedele dovrebbe acquistare un maggior controllo di sé, in realtà lo perde. È un mese sospeso, in cui tutto si pospone, per non farlo malamente. Sono giornate fuori dal tempo e dalla regola".
La regola, quella, ha un grado di rigidità variabile. Al Cairo ci sono ristoranti aperti anche durante il giorno e, purché non in pubblico, uno straniero può bere o fumare. In Arabia Saudita è un rischio pagabile con l´arresto e successive punizioni corporali. Noi infedeli attraversiamo questa stagione come una bizzarria, utile però a dimostrare che la scansione della vita è una convenzione a cui dovremmo poter scegliere se sottometterci o no. Cerchiamo, dietro i segni esteriori della gioia, il riflesso interiore e quasi mai lo troviamo. Vediamo accendersi nei terrazzi e negli androni le lampade colorate della festa, ci passiamo accanto e notiamo la targhetta: made in China. Neppure la loro tradizione, sono riusciti a vendersi tra loro. I cinesi sono arrivati, hanno preso nota, aggiunto lucine rotanti ai manufatti senza vita degli arabi, abbassato i prezzi e conquistato il mercato. Una volta ho sollevato l´orlo di un tappetino da preghiera verde in una moschea-garage in un villaggio disperso al confine con il Sudan e c´era scritto made in China, perfino lì. Non riescono a vendere, ma neppure a comprare. I prezzi salgono, la valuta locale scende, le misure antispeculazione decise dal governo restano sulla carta: riso e farina più 50%, frutta secca alle stelle. Gratifiche festive nello stipendio: non previste. L´anno scorso un uomo non poté permettersi di comprare i dolcetti che aveva promesso alla moglie e lei gli bruciò la casa.
Tutti corrono per tornarci, a casa, quando il tramonto si avvicina. Mai prendere un taxi a quell´ora: ha troppa fretta di scaricarti, vivo o morto. Nelle strade, sotto i cavalcavia, lungo i fiumi, vengono apparecchiati i "tavoli della carità". Di tutti i momenti della festa, è il più sincero. Sono tavolate lunghissime e semplici: assi, cavalletti, panche, collane di piatti e lucine appese sopra. Chiunque può sedersi e mangiare senza pagare. Chi non ha famiglia né soldi si sente parte di qualcosa. A Natale aumentano i suicidi, durante il Ramadan diminuiscono i reati. Vanno ai tavoli della carità anche persone che potrebbero stare altrove, anche non religiosi che, tuttavia, digiunano. Dicono: "Lo facciamo per capire, un mese all´anno, che cosa significhi essere poveri". Ma è una motivazione così diffusa da essere sospetta e lascia comunque il dubbio: poi negli altri undici mesi ci si può girare dall´altra parte?
Gli occhi di chi cena in casa sono girati verso il televisore. È, anche quella, una tradizione: gli sceneggiati del Ramadan, da guardare tutti insieme, seduti a tavola. Terribili e convenzionali. Santi e fanti, come nella trita fiction italiana. L´anno scorso andavano in onda, tra decine di altri, la vita romanzata dello "sceicco buono", Muhammad Metwalli Sharawi e la saga del "Cavaliere senza cavallo" che combatteva, trionfando, contro i sionisti. La pseudo rivincita è nell´immaginazione, nel battesimo dei datteri al mercato, nella favola sullo schermo che dura un mese e va a finire diversamente dalla realtà. Ma, qualche volta, anche dal mondo della fantasia viene un richiamo al presente. Hanno tenuto al Cairo, alla vigilia della festa, la seconda conferenza sul romanzo arabo. Alla fine hanno premiato il migliore, azzeccandolo: Sonallah Ibrahim. Lui, che non si era mai fatto vedere, è salito sul palco, ha salutato il ministro della Cultura, ricevuto la busta con 100mila lire egiziane (lo stipendio medio non arriva a 1.000), preso il microfono, detto: "Non ho niente da festeggiare, non avete niente da festeggiare voi, né tutto il mondo arabo. Siamo sottomessi, non abbiamo voce, né dignità. Non abbiamo libertà". Poi ha posato la busta sul tavolo, ha spento il microfono, se n´è andato tra un brivido di applausi. E buon Ramadan a tutti.

Gabriele Romagnoli

Gabriele Romagnoli (Bologna, 1960) Giornalista professionista, a lungo inviato per “La Stampa”, direttore di “GQ” e Raisport è ora editorialista a “la Repubblica”. Narratore e saggista, il suo ultimo libro è …