Umberto Galimberti: Educati dai figli

21 Novembre 2003
Caro Galimberti, da quando ho un figlio vedo il mondo in modo radicalmente diverso, forse distorto, e vorrei che lei con la sua profondità mi aiutasse.

Si parla tanto della denatalità e delle difficoltà che scoraggiano le coppie italiane dal fare, quando lo fanno, più di un figlio. Per essere genitori basta un figlio, l'affermazione non è pleonastica come sembra. Che sia biologico, adottivo, o adottato a distanza non importa, un figlio è sufficiente per cambiare la visione del mondo. Chi è padre o madre cerca di essere degno di tale ruolo e desidera un mondo migliore per la sua creatura. Vuole l'aria pulita, un mare dove si possa fare il bagno, scuole e ospedali che funzionino, strade che riportino a casa, persone per bene. Tale aspirazione all'armonia durevole delle cose e delle persone, davvero totalizzante, è sentita meno drammaticamente al di fuori della paternità, a meno che non si di-sponga di immaginazione o di altruismo straordinari. Come il contadino che si prodiga per la terra, e dopo la semina trepida per una nube all'orizzonte, così chi ha un figlio sa che dovrà lavorare e soffrire molto di più rispetto al tempo che ha preceduto la semina. Il raccolto non è garantito, ma fatica e felicità si confondono. Chi non ha eredi che interesse può avere a lasciare un mondo migliore? Mi spaventa un'umanità di singoli aggricciati sul lavoro inteso solo come affermazione personale, con l'automobile "cult", il locale in, la palestra trendy e il prozac e il viagra per quando la chimica naturale non sarà all'altezza. Non vorrei sembrare integralista, conosco un sacco di gente che senza fare figli si è adoperata per gli altri, ed è come se li avesse fatti. Caro Galimberti, ha capito che sono padre da troppo poco tempo. Le scrivo mentre mio figlio è attaccato al seno, io e mia moglie siamo esausti per le notti insonni e il lavoro che non aspetta, e la città è indifferente. Ma solo ora, toccando il vero sudore, l'utile sudore, sentiamo di essere vivi. Gabriele Bronzetti - Bologna La generazione è sempre doppia. Non solo i genitori generano i figli, ma i figli generano i padri e le madri e consegnano loro diversi doni che riconfigurano la loro personalità. Se vogliamo fare un piccolo elenco possiamo dire: 1. Il futuro. I figli consegnano ai genitori la dimensione del futuro, non più come tempo che semplicemente deve accadere, ma come tempo che si vuole accada in un modo piuttosto che in un altro, affinché sia più favorevole alla crescita del figlio. Un futuro alla cui qualità si è interessati perché da essa dipendono le condizioni più o meno propizie. Non più un futuro anonimo dove uno si ritaglia le proprie opportunità, ma un futuro alla cui costruzione si collabora. 2. L'accudimento. I figli costringono a uscire dal proprio io e da quella progettualità egocentrica che non oltrepassa i confini delimitati dall'istinto di autoconservazione. Qui l'apertura all'altro trova quella solida base che non è la voluttuarietà del volontariato, ma l'altruismo che affonda nella nostra radice biologica. Vero fondamento della morale, come si può leggere in quel mai abbastanza elogiato libro di Eugenio Scalfari che ha per titolo: Alla ricerca della morale perduta (Rizzoli). Accanto infatti all'istinto di conservazione, c'è l'istinto altruistico, senza il quale l'uomo, animale sociale, non potrebbe sopravvivere. Questo istinto altruistico, fondamento di tutte le morali, sono i figli a farcelo sperimentare, e senza troppe mediazioni. In presa diretta. 3. L'amore incondizionato. Tutti gli amori sono un do ut des, uno scambio di bisogni e soddisfazioni, un tacito contratto. Sempre negato, ma in realtà sempre a fondamento anche delle più appassionate e, all'apparenza, disinteressate relazioni d'amore. Questo scambio, questo tacito contratto con i figli non c'è. Qui la cascata d'amore conosce un suo pendio senza ritorno. L'amore per i figli, infatti, non conosce contropartite, precede tutti i nostri calcoli, e, quando li facciamo, li fa tutti miseramente naufragare. Ne è prova che quando gli uomini hanno cercato di addolcire il volto tremendo di Dio non hanno trovato metafora migliore di quella del padre. Diventare genitori è aprirsi a questi scenari, che richiedono una certa negazione o ab-negazione di sé. Sembra infatti che solo il sacrificio di sé consenta di allargare la propria visione e comprensione del mondo.

Umberto Galimberti

Umberto Galimberti, nato a Monza nel 1942, è stato dal 1976 professore incaricato di Antropologia Culturale e dal 1983 professore associato di Filosofia della Storia. Dal 1999 è professore ordinario …

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