Gabriele Romagnoli: Arriva il Grande fratello arabo

05 Dicembre 2003
Beirut - Uno si illude che vivere fra le tribolazioni e le urgenze del Medio Oriente significhi, almeno, tenersi alla larga dall' Isola dei famosi e sfuggire con l' occhio al Grande Fratello, poi un giorno, esattamente ieri, s' imbatte nella sigla iniziale della prima puntata di «Hawa Sawa» («In onda insieme») ed è costretto ad arrendersi: il reality show è globale. Di più: sa essere, perfino, pan-arabo. E, paradossale: è capace di vendersi al pubblico locale usando il linguaggio, per altri versi fallimentare, della propaganda di Bush e Rumsfeld. L' esportazione della democrazia, per ora, si limita a un televoto di massa per decidere quale concorrente debba vincere un marito, una casa, un' auto e abbastanza soldi per vivere, se questo basta, felice e contenta. Da ieri mattina otto donne nubili sono entrate in una casa in Libano infestata di telecamere e microfoni. Fra due mesi una, l' ultima, ne uscirà per sposare l' uomo con lo share più alto. La cerimonia sarà, ovviamente, trasmessa in diretta. La selezione è stata severa. Gli annunci del programma sono apparsi sui giornali di tutti i Paesi arabi, inclusi quelli in cui alle donne è vietato uscire di casa se non le accompagna il mahran (guardiano maschile: padre, fratello o, poi, marito). Nessuna candidata è arrivata dal Golfo, dove potranno soltanto seguire la trasmissione sintonizzandosi sul canale satellitare Nilesat: in una casa-prigione vivono già, anche senza andare in tv. In compenso, ci sono egiziane, siriane, tunisine e, va da sé, libanesi. La multinazionalità è un segreto del successo. Fa leva sulla vocazione alla litigiosità che trasforma ogni riunione della Lega Araba in una feroce riunione di condominio. Il nazionalismo ha già pagato nella prima edizione della versione locale di «American Idol». L' eliminazione in semifinale della concorrente libanese provocò tumulti nelle strade, la vittoria finale della cantante giordana fu sottolineata da congratulazioni personali del giovane re Abdallah: una tappa sul percorso della sua «rivoluzione bianca». Questo è successo per decidere chi cantava meglio. Figurarsi ora che si tratta di stabilire quale «figlia» di una nazione debba sposarsi per prima. In cinquantamila si sono presentate alle selezioni. Il campione prescelto non appare rappresentativo: nessuna delle donne porta il velo. Coprirsi e apparire al tempo stesso non sarebbe stato il principale dei controsensi di tutta l' operazione. Le otto candidate hanno capigliature vaporose (una bionda ossigenata), visi truccati, abiti e sembianze occidentalizzate. Sono tutte maggiorenni. Scampate alla piaga del matrimonio minorile, alcune di loro vengono probabilmente già considerate dalle famiglie talmente senza speranza da approvare il tentativo dell' ultima spiaggia televisiva. Da ieri mattina potranno essere viste e valutate in ogni istante della giornata. I produttori del programma hanno ammesso di essersi ispirati agli show occidentali, ma hanno aggiunto di aver voluto salvaguardare le tradizioni locali: niente telecamere in bagno e nelle camere da letto. Quindi trasmetterano ventiquattro ore di donne che chiacchierano e cucinano, per un pubblico in prevalenza composto da donne che chiacchierano e cucinano. Le prime due settimane saranno dedicate a conoscere le otto concorrenti. Poi scatterà il televoto per eliminarne due, nubili per sempre. A questo punto entreranno in scena i pretendenti, anche loro selezionati dalla rete sulla base di precisi requisiti. Primo: il reddito. Nella casa arriveranno le videocassette in cui si propongono, a una qualunque. La televisione, altrimenti muta come la radio e il telefono, verrà accesa e le sei ragazze passeranno in rassegna i messaggi filmati, facendo zapping da un possibile marito all' altro. «Sarà una battaglia per la conquista dei cuori e delle menti», ha annunciato la produzione, esprimendosi come l' amministrazione americana sul precipizio dell' Iraq liberato. E, al tempo stesso, «un grande esperimento di democrazia partecipativa». Le donne nella casa potranno suggerire con quale pretendente preferirebbero accoppiarsi, ma ad avere l' ultima parola sarà il parere espresso dalla grande famiglia seduta davanti al video. Si compie così una elaborata transizione che poco ha di liberatorio: dal dispotismo dei matrimoni combinati dai genitori a quello che trasferisce il potere ai telespettatori. Nell' ultima fase del programma soltanto due donne resteranno nella casa: poche chiacchiere, pasti consumati in fretta, il resto del tempo a riguardare a turno le videocassette e immaginare come potrebbe essere la vita fuori da una casa-prigione in cui si è spiate ovunque tranne che in bagno, pronte ad affidarsi, pur di ottenerla, a un tizio qualsiasi che garantisce una bella cerimonia, una casa e un' automobile. Mai metafora fu più scoperta. Una sola donna passerà dal reality alla realtà: uscirà infine dalla casa e abbraccerà con entusiasmo un perfetto sconosciuto. Il pubblico si commuoverà per il miracolo d' amore che ha contribuito a realizzare, lo sponsor registrerà un picco commerciale, qualche imam tuonerà, emettendo fatwa che riconosce solo a Dio e non agli utenti dotati di parabola satellitare il potere di decidere il corso degli umani destini. In una parodia di sopravvivenza del libero arbitrio alla coppia teleformata sarà lasciata la possibilità di pensare ancora per qualche giorno se intende davvero celebrare le nozze. La presunta suspence reggerà il filo che porta a un' ulteriore puntata e a uno scontato «sì». Di lì a poche settimane, giusto il tempo di preparare le riprese e lanciare la pubblicità (i promessi sposi appariranno sotto uno striscione con la scritta «Missione compiuta») e le nozze s' avranno da fare. Saranno così vere da sembrare finte e così finte da essere, a tutti gli effetti, vere. Le seguiremo con il senso di spaesamento che si prova cercando la genuinità e trovando la copia della copia e la stessa amara vertigine provata in ogni angolo del mondo quando, dentro uno schermo blu elettrico tagliato da identiche luci, sudato in presenza di risposte individuate da lettere in caratteri diversi e talora incomprensibili, abbiamo visto un essere umano cercare con spasmo di ricordare qualcosa perché voleva essere milionario.

Gabriele Romagnoli

Gabriele Romagnoli (Bologna, 1960) Giornalista professionista, a lungo inviato per “La Stampa”, direttore di “GQ” e Raisport è ora editorialista a “la Repubblica”. Narratore e saggista, il suo ultimo libro è …