Daniel Pennac: Garcia Màrquez e la magia

09 Febbraio 2004
Sono un appassionato lettore di Màrquez, non un suo amico. Non ho questo onore. Quando sono stato invitato a partecipare al primo atto del progetto per Genova 2004 capitale europea della cultura, "Gabriel Garcìa Màrquez. Verso Macondo", non ho risposto con un "sì", ma recitando a memoria, in francese, tutto il primo capitolo di "Cent´anni di solitudine".
La prima cosa che ho letto di Màrquez è stato "Cent´anni di solitudine". Vivevo a quell´epoca in Brasile. Aprii il libro, sdraiato sulla mia amaca, e cominciai a leggere: "Molti anni dopo, di fronte al plotone di esecuzione, il colonnello Aureliano Buendìa si sarebbe ricordato di quel remoto pomeriggio in cui suo padre lo aveva condotto a conoscere il ghiaccio". Stavo leggendo, e c´era un muro lì vicino. C´era qualcuno, alle mie spalle, che leggeva il libro con me. Mi sentivo osservato, ma continuai tranquillamente a leggere: "Macondo era allora un villaggio di venti case d´argilla e di canna selvatica costruito sulla riva di un fiume dalle acque diafane che rovinavano per un letto di pietre levigate, bianche ed enormi come uova preistoriche". Mi voltai e vidi una mìgale, un enorme ragno tropicale, che leggeva con me. E qui rientriamo nel realismo magico di Màrquez: il ragno tropicale era un amico, addomesticato, che viveva con me. Perché la prima volta che sono stato in Brasile, molto tempo prima, stupidamente avevo ucciso una mìgale. Fanno molta paura questi ragnoni, ma molto presto capii che andava fatta una scelta, in Brasile. O le mìgale, che leggono con te, o le zanzare che ti impediscono di leggere.
Così ho letto, in tre mesi - leggo molto lentamente - "Cent´anni di solitudine", in compagnia della mìgale, in uno stato dell´interno, nel nord-est brasiliano. E nonostante sia un paese di lingua portoghese, mi sentivo nella patria del realismo magico.
Quando ho letto "Cent´anni di solitudine", in francese, ho avuto la sensazione che Màrquez lo avesse scritto proprio nella mia lingua. Anche leggendo altre traduzioni, ad esempio quella italiana, ho avuto lo stesso pensiero. Questa voce, questo ritmo, questa grande ispirazione di Màrquez, questa poetica permane anche attraverso il filtro della traduzione. A esempio. Prendendo la sua autobiografia, "Vivere per raccontarla", leggiamo: "Cadeva una pioviggine insonne fin dall´inizio del XVI secolo". Questa pioggia insonne è la firma di Màrquez. Non è Mutis, non è Amado, e non è Quiroga. Può essere solo Màrquez. "Al termine di una giornata a base di scossoni mortali, lungo una strada non asfaltata, l´autobus dell´agenzia postale esalò l´ultimo respiro lì dove meritava. Impantanato fra un gruppo di mangrovie fetide, di pesci marci, a mezza lega da Cartagena". Si può aprire in qualsiasi punto l´autobiografia di Màrquez, che neanche è un romanzo. E immediatamente si riconosce questa firma, il suo segno, il suo respiro. Naturalmente questa sensazione si ha anche con altri scrittori, con Faulkner, con Miller, non è solo specifica di Màrquez. Ma è veramente una voce, la sua, che passa attraverso la scrittura, traghettata attraverso ogni traduzione.
È una poetica che non assomiglia a nessuna. La puoi totalmente adorare, ed è il mio caso. Ma può anche esasperarti completamente, come succedeva a mio padre. Che non riusciva a leggere neppure tre righe di Màrquez e adorava Nabokov. E non deve stupire, perché Nabokov è il contrario assoluto (intellettuale, stilistico) di Màrquez. È il rifiuto totale della magia, del caso felice, Nabokov vuole completamente controllare. C´è una definizione di "caso" in Nabokov, che dà il segno dell´opposizione siderale dello spirito dei due autori. Nabokov dice che ciò che ama nel "caso", è legato a un aneddoto. Immaginate un uomo, su una nave, nella notte, che attraversa l´oceano ed è sul ponte - racconta Nabokov - pensa e sogna, appoggiato alla balaustra. Due gemelli gli chiudono i polsi della camicia, fatti di diamanti, platino, oro, li ha ereditato da suoi antenati. E l´uomo tiene a questi gemelli come alla propria vita. Egli è lì, appoggiato che sogna, ma ha freddo, starnutisce e i gemelli, zac, gli cadono in mare. Nel mezzo dell´oceano Pacifico, vanno a fondo. Sei mesi dopo, lo stesso uomo, va a New York, nel miglior ristorante degli Stati Uniti in cui si cucinano specialità di pesce. Ordina un pesce d´alto mare, glielo portano su un piatto meraviglioso. Prende il coltello, la forchetta, apre il pesce. E i gemelli non ci sono. Nabokov dice che questo racconto spiega, meglio di ogni altro, ciò che lui ama del caso. E siamo agli antipodi più assoluti dell´universo di Màrquez. Dove tutto si lega poeticamente, magicamente.
Il realismo magico è fondato sull´ignoranza. Ignoranza non nel senso intellettuale del termine, perché naturalmente Màrquez è coltissimo, ma la non conoscenza dei confini, l´impossibilità di comprendere questa sua terra infinita, il Sudamerica. Misterioso, pericoloso, fatto di montagne altissime, foreste illimitate, deserti, terremoti. In cui la natura crea e modifica continuamente l´intorno, e la pioggia nasconde le tracce precedenti. E questa pioggia, reale, assomiglia molto alla pioggia apocalittica di Màrquez, può continuare per cinquanta giorni. Oppure c´è un´aridità che pietrifica i cadaveri. Le piante che crescono al contrario pur di recuperare l´umidità, con i rami che la cercano vicino alle radici. Ecco il continente di Màrquez, dove la natura spazza via le tracce dell´uomo. Una terra che, vista poeticamente, è votata all´amnesia. Ecco perché il personaggio più importante, al centro dell´opera di Màrquez, è la memoria. Non come la intendiamo noi, il dovere e la necessità di ricordare. È una memoria che si carica del dovere di ricostituire ogni volta la realtà, ricreandola. Ed è buffo, perché Màrquez è uno smemorato cronico e suo nonno lo prendeva in giro, dicendogli che non sarebbe mai potuto diventare uno scrittore senza avere memoria.
Anche l´immaginazione ha un ruolo protagonista, perché attraverso di essa Màrquez ricostruisce la verità poetica, permanente, del mondo. Partendo dall´associazione poetica di minimi dettagli, apparentemente realistici, che però sono cuciti dalla fantasia.
In Europa Màrquez piace a tutti, universalmente riconosciuto, ma certi critici razionalisti, culturalmente iper-referenziali, non ce la fanno a immergersi nei suoi libri. Noi invece non possiamo che essere condizionati, colpiti, da questo grande uragano poetico marqueziano.
C´è qualcuno, tra di voi, che è mai riuscito a riconciliare due nemici giurati? Màrquez c´è riuscito, con il suo realismo magico. Lo racconta nella sua autobiografia. Parla di un duello, e delle morti gemelle di Plinio Balmacedas e Tasio Ananias. Fu un duello formale in piena strada, entrambi ne uscirono malconci. Plinio riacquistò lucidità quasi subito, la sua prima preoccupazione fu sapere della sorte di Ananias. E questo fu colpito dalla sollecitudine di Plinio. Ognuno supplicò Dio perché l´altro non morisse. Tutto il paese partecipò, sforzandosi d´allungare il più possibile le due vite. Dopo 48 ore d´agonia le campane della chiesa suonarono a morto, perché una donna del paese morì. Plinio e Ananias, ciascuno nel suo letto, pensarono che suonassero la morte dell´altro. Ananias morì di dolore, per Plinio. E pochi giorni dopo, lo venne a sapere e morì piangendo, Plinio. Ecco il realismo magico di Gabriel Garcìa Màrquez.

Daniel Pennac

Daniel Pennac, nato a Casablanca nel 1944, già insegnante di lettere in un liceo parigino, dopo un'infanzia vissuta in giro per il mondo, tra l'Africa, l'Europa e l'Asia, si è …