Paolo Rumiz: Fuochi, santi e serpenti per esorcizzare la pioggia. Diluvi o siccità, tornano riti antichi contro il tempo 'matto'

17 Maggio 2004
"Tuone e lampe fatte arrasse / Chesta è casa e' Santu Vasse / Santu Vasse ieva pe'’e campe / nun ce puteva né tuone né lampe". Tuoni e lampi state lontani, questa è la casa di San Biagio, San Biagio andava pei campi, non funzionavan né tuoni né lampi". A Sarno, Bracigliano, Baiano, sui monti della Campania dove ogni temporale diventa un fiume di melma, lo sanno pure i bimbi che quando piove troppo si invoca San Biagio, Santu Vasse, con una preghiera che è mezza filastrocca mezzo esorcismo. Ma in questo maggio 2004, tradito da tanto freddo e temporali, è stata, per riportare ordine in terra e in cielo. A Maggio, il mese "maggiore", quello dello scontro finale tra inverno e primavera, acqua e luce, freddo e caldo, c'è da sempre una densità speciale di riti propiziatori della stagione. In tutta Europa. Calendimaggio, fuochi, ceri, fiori, danze, serpenti, processioni. Ma stavolta, con le grandi piogge, c'è qualcosa di speciale. S' è rotto un argine, non si parla che del tempo matto che fa, delle previsioni che non funzionano, del freddo che persiste. E così, in mancanza d'altro, le vecchie credenze tornano. Liberate, per uno scherzo del cielo, da una grande siccità, quella del 2003. Un anno fa, processioni con cardinali e vescovi, persino un Papa in preghiera, per implorare l'acqua. Quest'anno, un maggio agli antipodi. Tutto dedicato al ritorno del sole. è successo un po' dappertutto. A Somma Vesuviana, il 3 maggio, quando per la festa della Croce s'è occupata ritualmente la cima del vulcano e si sono accesi fuochi per chiedere la stagione buona. A Cocullo in Abruzzo, il 7, alla festa dei serpenti (simboli della fertilità), le bestie hanno detto che forse il tempo andrà meglio semplicemente attorcigliandosi in un certo modo alla testa lignea di San Domenico. E poi le danze occitane sulle Alpi del Nordovest, in Val di Susa, dove, se la stagione è indietro come stavolta, la terra è percossa con violenza per far scappare il freddo. E ancora i fuochi di San Floriano, sulla frontiera a Nordest, accesi il primo maggio sotto una gran pioggia per salutare l'ingresso della Slovenia nell'Unione Europea. Floriano, patrono della primavera, che caccia i diavoli e fa entrare i ragazzi nell'età adulta. Medioevo che torna? "Niente affatto - protesta l'antropologo napoletano Marino Niola - è solo un'esigenza simbolica che fa parte dell'uomo e l'Illuminismo aveva creduto estinta. Un bisogno che non nega affatto quello tecnico-strumentale. Quando sale il livello del Po, si fanno le veglie in chiesa, ma intanto si rinforzano gli argini". Spiega, Niola, che nelle tradizioni antiche il diluvio è collegato al cattivo rapporto dell'uomo con dio, e la tradizione non fa che semplificare il concetto, attualissimo, della natura che punisce l'uomo, quando non la rispetta. In Abruzzo la curia dell'Aquila pensa da due anni a ridare alle feste del dopo Pasqua l'antico collegamento - quasi estinto - col paesaggio, la protezione della terra e della semina. Accade con l'Ascensione, quando le comunità appenniniche costellano il terreno di croci e candele per garantire la fertilità. Si ripete con le Rogazioni, quando il prete benedice i terreni. "Sono usi nuovamente sollecitati dalla dottrina", spiega il professor Vincenzo Battista. E già qualcuno vorrebbe riportare in chiesa le pecore, come si faceva fino a 50 anni fa, quando i preti bollarono come blasfema l'usanza che sacralizzava la partenza delle greggi per la montagna e il tempo doveva per forza girare al bello. L'orazione per avere la pioggia è prevista da tempo nel codice canonico romano e ha ripreso vigore l'anno scorso, l'anno della Grande Sete. Il rituale per far smettere la pioggia, al contrario, non ha sostegni ufficiali su cui poggiarsi. Ma l'acqua, quando è troppa è troppa, e oggi in Marsica e Ciociaria qualcuno vorrebbe rimettere Sant'Antonio Abate con la testa nel fiume, come si faceva una volta, perché capisca che schifo è la pioggia, quando esagera. Pare che nelle risaie tra Birmania e Cina si faccia la stessa cosa con Buddha. Qui l'usanza è considerata blasfema ed è stata sempre osteggiata dai vescovi. Figurarsi, una processione per annegare Antonio Abate. Fino a ieri il santo appenninico si tirava fuori dalla chiesa a ogni emergenza climatica, specie a maggio, il mese della vita. Se non funzionava, racconta Niola, la colpa non era del santo ma di un errore rituale. Nell'emergenza opposta - la siccità - si usa ancora mettere il santo "in castigo". Specialmente in Sicilia. Girato con la faccia al muro, come una volta i ragazzini a scuola. Lasciato seccare al sole. O con una sarda salata in bocca, a morir di sete. Sulle Dolomiti friulane, in zona Vajont, hanno conosciuto dell'acqua la peggiore furia omicida. Ma già prima del disastro della diga recitavano esorcismi anti-pioggia. Lo scrittore-alpinista e boscaiolo Mauro Corona se li ricorda. La nonna diceva: "Santa Ana Santa Ana / tien la piova nela tana / San Simon San Simon / a starlup in tal segiòn". Sant'Anna, tieni la pioggia nella tana, San Simone, tieni il fulmine nel secchio. Ora piove da mesi, sulle montagne vengono giù fulmini da matti, e i vecchi tornano a ripetere la formula perché il miracolo si ripeta. "Santa Anna e San Simon", dicono bruciando sul "feuc" (il fuoco) il rametto d'ulivo sopravvissuto alla domenica delle Palme. Ieri a Gubbio si son portati in processione i ceri di Sant'Ubaldo, una corsa pazzesca in salita che è diventata, stavolta, una corsa contro la pioggia. "è la grandiosa messa in campo di una prestazione rituale rischiosa" dice Paolo Apolito, un altro studioso di tradizioni, dell'università di Salerno. "è l'esorcismo contro un rischio, che in questa stagione diventa il prolungarsi del freddo". Gubbio, anticipo dei Gigli di Nola, in giugno, dove si corre con pesantissimi campanili di cartapesta e legno. O degli obelischi che si porteranno in Irpinia a settembre, in nome della Madonna del Pianto. Scene diverse, ma con significato analogo. Se l'impalcatura cade, vuol dire che il clima andrà male. Il diluvio continua. "Santa Barbara barbarata / cu doie palle carrecate / una d'acqua e una de viento / Santa Barbara mia nun fa succede niente". Attorno al Vesuvio che fino a ieri ha grondato di pioggia, si invoca Barbara, signora degli elementi, ex divinità cristianizzata del tuono e del fulmine, patrona del fuoco e degli scontri atmosferici. Barbara con due palle caricate, una piena d'acqua e una piena di vento, da tener buona. Ma non è finita. Di nuovo in Irpinia, contro i temporali, si tornano a mettere candele a testa del letto, roba che pare di avere il morto in casa. Nel Beneventano e nell'Appennino Centrale la lotta per il clima si rappresenta con la drammatizzazione di un conflitto cosmico. Da una parte il dragone-serpente simbolo dell'acqua eccessiva, dall'altra una giovane che lo deve battere nel segno di San Giorgio, quello che uccide il mostro. Altrove, la battaglia è fra diavolo e angelo, oppure fra due parti del paese. è la sopravvivenza di miti antichissimi, dell'Europa pre-cristiana, che possono condurci lontano, fino alle terre artiche degli sciamani. Ovviamente, nessuno ha idea di che tempo farà tra una settimana. Tanto, chi sbaglia ha il proverbio di riserva. "Fino ai santi fiorentini - recita per esempio un detto toscano - non pigliare i panni fini". I santi sono Zanobi, Filippo Neri, e Maria Maddalena de' Pazzi, e ricorrono il 25, 26 e 27 maggio. Ancor più prudenti i montanari dell'Appennino tosco-romagnolo: "Maggio fa belle le figliole, ma giugno se le gode al sole". Ma comunque vada, con il clima nuovo tornano i riti vecchi. E le parole antiche.

Paolo Rumiz

Paolo Rumiz, triestino, è scrittore e viaggiatore. Con Feltrinelli ha pubblicato La secessione leggera (2001), Tre uomini in bicicletta (con Francesco Altan; 2002), È Oriente (2003), La leggenda dei monti …