Michele Serra: Quando a vincere non è la Ferrari

28 Maggio 2004
Jarno Trulli, pilota italiano, ha già capito tutto. Lo si capisce, che ha capito, dalle sue struggenti dichiarazioni patriottiche dopo avere vinto a Montecarlo: un "viva l'Italia" neanche troppo in pilotese, anzi piuttosto aulico e quasi dotto per uno sportivo. Il classico tentativo disperato d'ingraziarsi la Patria tifosa e ribaltare un destino già segnato. perché la Patria tifosa, a Trulli, può concedere al massimo un buffetto complimentoso. La sera stessa, al bar, cominceranno i calcoli che contano: e cioè quanto disturbo può dare, Jarno l'italiano, all'unica Italia davvero degna d'entusiasmo, la Ferrari. E dire che Trulli ha appena vinto la gara automobilistica più famosa del mondo, quel Gp di Monaco che rimbalza tra i grattacieli esentasse di Montecarlo. E l'ha vinta bene, Jarno, ha guidato bene la sua Renault, calmo e sicuro lungo quelle curve pazzesche, da rampa di garage. Ma già sapeva che se vincere a Montecarlo è difficile, la vera impresa lo aspettava dopo il traguardo: come scalfire lo spietato monocolore ferrarista, come riuscire a far radicare il suo attimo di gloria sportiva almeno fino al prossimo Gp? Ci sarebbe da misurare quantità e qualità dei titoli di giornale, per qualche giorno. Ci vorrebbe un piccolo Osservatorio di Pavia anche per l'automobilismo, che controlli la quantità di spazio riservata a ogni pilota, a ogni macchina. Ma la risposta è scontata: un pilota italiano che vince senza guidare una Rossa è un fantino che ha sbagliato cavallo. Bravo quanto si vuole, ma d'una bravura spuria, mercenaria. E l'Inno di Mameli, alle orecchie dei tifosi italiani, suona più giusto se sul podio c'è il tedesco Schumacher o il brasiliano Barrichello. Quando suona per Trulli (e quando suonò per Riccardo Patrese, ultimo italiano vincitore a Montecarlo, anche lui caparbiamente e inutilmente non-ferrarista) è pur sempre in onore di un intruso. La circostanza deve inquietare parecchio, oltre Trulli, anche il direttore sportivo della Renault, l'arcitaliano Flavio Briatore, da anni vero e proprio archetipo del viveur di provincia che è riuscito a sfangarla alla grande. Ha un bel fidanzarsi con Naomi Campbell, onore che nei bar sport deve pesare non poco. Ha un bel vincere gare (e in Formula1 ha vinto parecchio) e per giunta con un pilota italiano. Niente da fare, è il francese Todt, ds della Ferrari, l'icona delle prime pagine nazionali. Meno fotogenico, mai abbronzato, sprovvisto di panfilo, Todt è una specie d'antibriatore antropologico, un impiegato tetragono, un culo di pietra che lavora di brutto. Ma lavora alla Ferrari, fa vincere la Ferrari, è della Ferrari, e tanto basta per far squillare, ogni volta che compare o apre la bocca, l'arrivano i nostri. Fosse davvero la Renault di Trulli e di Briatore, il solo possibile antagonista della Ferrari stravincente di quest'anno, la sfida aggiungerebbe parecchio sale allo spettacolo un po' bollito della F.1. Due italiani, su una macchina francese, che remano contro. Chiedere consigli a Patrese, che quando sorpassava le Ferrari (gli capitava, ogni tanto) veniva fischiato. Il vantaggio della F.1 è che, con il casco e con quel fracasso, i fischi non si sentono.

Michele Serra

Michele Serra Errante è nato a Roma nel 1954 ed è cresciuto a Milano. Ha cominciato a scrivere a vent’anni e non ha mai fatto altro per guadagnarsi da vivere. …