Umberto Galimberti: Il prezzo della civiltà è l'assedio dell'anima

07 Giugno 2004
"Abbiamo barattato un po' di felicità per un po' di sicurezza" diceva Freud nei primi anni del Novecento. Un secolo dopo, di felicità se ne vede in giro davvero poca, mentre le leggi, le norme e i sistemi di sicurezza sono aumentati a dismisura. Risultato: la nostra libertà decresce. Ma tolto qualche automobilista allergico alle cinture di sicurezza, qualche fumatore che deve uscire dal ristorante per fare due tiri, tolto qualche amante clandestino che deve farsi più accorto, nessuno si lamenta eccessivamente, perché, per la sicurezza, siamo disposti a rinunciare anche ai nostri margini di libertà. E questo perché siamo la popolazione più debole della terra, per la semplice ragione che siamo la più ricca e la più tecnicamente assistita. La ricchezza non è solo il possesso e la disponibilità dei beni, ma anche la capacità di mantenere questo possesso e questa disponibilità. Per questo occorrono leggi, norme e sistemi di sicurezza che ci garantiscano la ricchezza, che non è fatta solo di denaro in banca, ma da tutte quelle infrastrutture di servizi che si chiamano luce, acqua, gas, elettricità, viabilità, trasporti, supermercati, mezzi di comunicazione, in assenza dei quali, la nostra vita quotidiana si interrompe e in un attimo noi siamo smarriti. Per garantirci queste, che sono le condizioni minime d'esistenza in Occidente, dobbiamo lavorare ad alti costi che entrano in collisione con i bassi costi con cui si produce fuori dall'Occidente. Il pericolo di essere spiazzati incombe. E la minaccia che preme ai nostri confini, in termini di concorrenza o in termini di belligeranza, cresce al punto che siamo disposti a pagare qualsiasi prezzo di libertà personale pur di garantirci la sicurezza collettiva. Una solida rassicurazione ce la offre il nostro apparato tecnico che è la difesa più potente che abbiamo nei confronti della crescente ostilità del resto del mondo. Ma la potenza della tecnica è proporzionale alla sua capacità di controllo che, per essere un controllo serio, deve essere generalizzato. Le prime vittime siamo noi con le nostre telefonate registrate, le nostre immagini riprese dalle telecamere all'angolo di ogni strada, i nostri movimenti controllati a ogni pagamento con carta di credito per la paura di portare contanti con sé, i nostri pensieri ben allineati dalla nostra pigrizia che si accontenta dell'informazione allestita in Tv, i nostri sentimenti atrofizzati dal timore che ogni eccesso possa essere frainteso. E così la bandiera della libertà, che l'Occidente sventola ai quatto venti, ha come suo rovescio un sistema così rigoroso e minuzioso di controlli che assedia l'anima. E più l'assedio si fa stringente, più i nostri comportamenti si fanno guardinghi e ossessivi, e se riusciamo a evitare la depressione, che sembra interessi il 40 per cento della popolazione occidentale, non riusciamo a evitare lo stress da lavoro perché in Occidente bisogna essere benestanti, le fatiche delle diete e delle palestre perché bisogna essere magri, i sonniferi perché bisogna dormire, gli week-end fuori casa perché bisogna riposare, la rigida sequenza delle nostre collaudate abitudini perché ci rassicurano. Tra i sistemi generalizzati di controllo, a cui ci sottoponiamo per garantirci la sicurezza collettiva, e i sistemi individuali di condotte che ci imponiamo per raggiungere i livelli standard di benessere e di presentabilità, abbiamo non solo drasticamente ridotto gli spazi di libertà, sia collettivi sia individuali, ma anche incrementato il tasso d'ansia che, per essere placata, invoca regole più certe, norme più restrittive, condotte ancor più regolate. E così la spirale si attorciglia su se stessa, e le mura dell'assedio intorno a noi e dentro di noi si fanno sempre più spesse. E non c'è via d'uscita, perché, piaccia o non piaccia, questo è il costo della nostra civiltà a cui nessuno di noi è disposto a rinunciare. Circolo vizioso? No, spirale assurda.

Umberto Galimberti

Umberto Galimberti, nato a Monza nel 1942, è stato dal 1976 professore incaricato di Antropologia Culturale e dal 1983 professore associato di Filosofia della Storia. Dal 1999 è professore ordinario …