Vittorio Zucconi: La destra col sorriso

08 Giugno 2004
Non è il viaggio di un vecchio ex presidente morto, quello che sta portando la salma di "Ronnie" per due volte coast to coast, da Los Angeles a Washington e ritorno, tra la commozione e il rispetto di una nazione intera. È il corso trionfale di un imperatore che salvò la sua Roma, di un grande Papa che protesse la sua chiesa dallo scisma. Ricorda in maniera strabiliante l'ultimo viaggio trionfale delle spoglie del suo idolo e modello, Franklyn Delano Roosevelt sul treno che lo portò nel 1945 dal sud verso la sepoltura e la coincidenza non è soltanto coreografica, perché RR e FDR ebbero in comune un merito politico storico che la coincidenza con il D-Day esalta. Roosevelt "reinventò" la sinistra sottraendola alla morsa del marxismo-leninismo. Reagan seppe "reinventare" la destra strappandola alla fossa dove prima il fascismo europeo e poi il disastro di Nixon e l'estremismo di Goldwater l'avevano confinata. Dunque entrambi, e ciascuno dal proprio campo, salvarono la democrazia americana, e quella occidentale, restituendo dignità alle due ali e quindi equilibrio di volo al bipartismo reale. Di Reagan, per il quale la moglie e vestale, Nancy ha preteso i funerali di Stato nella cattedrale di Washington, come vuole la tradizione che lascia alla famiglia dei capi di stato americani defunti la scelta del rito, si sta parlando e scrivendo negli Stati Uniti come se fosse scomparso un grande Papa, dalla prima all'ultima pagina dei quotidiani, dall'alba al tramonto. E come se fosse mancato non un Presidente che non governava più da ben diciassette anni e negli ultimi dieci era "volato lontanissimo da noi", come ha detto Nancy. Se ne parla come se fosse stato ancora in carica, caduto in servizio, appunto come Roosevelt nel ‘45 o come Kennedy nel ‘63, tanto era ancora forte la sua presa sullo spirito della nazione la sua influenza sulla democrazia americana, fino a quel George Bush che sempre ha detto di ispirarsi a lui, più che al padre. Il sentimento che ispira tanto rimpianto e tanta gratitudine è nella constatazione divenuta chiarissima soprattutto oggi, a bara chiusa, di come lui avesse "reinventato la destra". I "coccodrilli", gli articoli e le analisi sulla bara, si soffermano sulla Guerra Fredda, sulla "rivoluzione fiscale", sulla "reaganomics" che da allora ha imposto a chiunque voglia concorrere a un incarico elettivo il dogma del "meno tasse per tutti". Ma se questi successi, veri o attribuiti, saranno anch'essi giudicati domani dalla storia, il contributo fondamentale di "Ronnie" è già scritto nei diciassette anni trascorsi dal suo addio alla Casa Bianca, nel gennaio del 1987. La sua ascesa, marcata dalla sfida al candidato ufficiale del partito, Gerald Ford scelto dal torvo Nixon, e avversata dall'establishment che lo bloccò nel 76, segnalò non soltanto la rivolta populista di una base che non si riconosceva più nei vecchi "routiniers" rissosi e intossicati ancora dal rancore fazioso per il Watergate, ma chiedeva un leader e un'idea ai quali credere di nuovo, per non lasciare in eterno il monopolio del potere esecutivo alla sinistra. Volevano una destra ottimista, una destra con un sorriso credibile, e li trovò nell'"attorucolo" stoltamente sottovalutato dalla sinistra, nella "spalla" che per tutta la vita aveva fatto sempre le parti di "quello che non si becca la ragazza", come si dice nel gergo di Hollywood, dove il finale riserva sempre l'abbraccio della primadonna per il primattore. Pochi capirono che Reagan aveva, lui davvero, attraversato il deserto dell'opposizione, aveva conosciuto l'America, nei suoi talk show radiofonici di provincia con telefonate degli ascoltatori, nelle piccole città, dove atterrava lontano dalle telecamere, accolto dalla passione prorompente di cittadini, soprattutto cittadine, che si sgomitavano per vederlo. A questa America lui seppe restituire una destra della quale non vergognarsi e della quale non avere paura, come paura aveva fatto il senatore Goldwater, descritto con successo come un pazzo pronto a pigiare sul grilletto nucleare, e battuto. FDR, il suo idolo giovanile, aveva promesso che "non dobbiamo aver paura di altro che della paura stessa" e aveva inventato lo statalismo leggero che poi sarebbe divenuto il modello per rinascita Europea. Reagan rimise ordine e disciplina nel proprio partito, il repubblicano, dove, diceva con una delle sue battute celebri, "sono talmente stupidi e suicidi che se dovessero formare un plotone di esecuzione si metterebbe in circolo con i fucili puntati all'interno". Diede alle forze armate soldi e giocattoli per calmarsi e rifarsi un morale dopo la batosta vietnamita, riesumando dal D-Day vecchie navi da battaglia della seconda guerra mondiale per far numero. Ridusse le imposte dirette, anche se assai meno di quanto la propaganda repubblicana vantava. Lanciò alcune guerre operettistiche e simboliche, spesso attraverso terzi e mercenari, nel segno di un "anticomunismo" esibito con poco prezzo, mentre il pilastro centrale dell'edificio, l'Urss, stava sbriciolandosi. Come puramente immaginarie furono quelle "guerre spaziali" che ancora oggi nessuno riesce davvero a costruire. Diede a quella metà costante di Americani che vorrebbero votare repubblicano qualcuno di cui essere orgogliosi e in cui credere. Il successo della sua "reinvenzione" della destra cominciato con il "primo comandamento" imposto ai repubblicani ("Non parlerai mai male di un altro repubblicano") produsse il tentativo di "reinvenzione" della sinistra fatta da Bill Clinton e purtroppo naufragato sulla sua leggerezza di uomo. E se oggi, mentre la salma attraversa un'America che lo piange e rimpiange davvero, verso la Cattedrale di Washington, del suo salvataggio della democrazia americana rimangono scadenti imitatori all'estero e fanatici in patria che lui aveva saputo controllare, sulla sua bara, al funerale, qualcuno potrebbe finalmente pagargli il tributo che lui avrebbe preferito, da attore quale era sempre rimasto. Alla fine, la bella ragazza America se l'è presa lui.

Vittorio Zucconi

Vittorio Zucconi (1944-2019), giornalista e scrittore, è stato condirettore di repubblica.it e direttore di Radio Capital, dove ha condotto TG Zero. Dopo aver cominciato nel 1963 come cronista precario a …

La cattura

La cattura

di Salvo Palazzolo, Maurizio de Lucia