Vittorio Zucconi: Una vittoria a orologeria

10 Giugno 2004
Se in Europa ancora resiste la sensazione - o l’illusione - che Francia, Germania, Russia, abbiano costretto Bush a piegare la testa e ad accettare finalmente le briglie dell’Onu sull’America imbizzarrita, la storia dell’ultima settimana di avvenimenti viene letta dalla corte di Bush esattamente al contrario. Questo di Savannah è venduto e raccontato come lavindication, il riscatto completo di un presidente che è sopravvissuto a un anno di fuoco e di orrori e ne è uscito più che mai padrone del mondo, alle soglie di un nuovo "secolo americano".
Che le parti in causa in un negoziato si proclamino entrambe "soddisfatte", come ha detto Chirac e si presentino come vincitrici è normale ed è solitamente segno di un buon esito della disputa. Ma l’immagine di un Bush "andato a Canossa" è smentita obbiettivamente dal ricordo che 14 mesi or sono, dopo l’indecente show di Colin Powell al Consiglio di Sicurezza sulle armi fantasma, George Bush era divenuto il pària della comunità internazionale.
Ancora qualche settimana fa doveva rispondere all’occidente sdegnato della barbarie dei propri soldati nelle carceri e nei lager, con la sempre più ovvia connivenza dei superiori e il paria di ieri è oggi il benevolo King George che tiene corte in maglietta o camicia senza cravatta su un isola per golfisti spensierati. Può ricevere l’omaggio di tutti facendo addirittura sapere benevolmente, per vie private, che in fondo lui ha sempre provato per Cirach "molta simpatia personale", come ci riferisce la rete televisiva di riferimento per la Casa Bianca, la Fox, mentre Chirac definisce "eccellenti" i rapporti tra la Francia e gli Stati Uniti, dove per mesi i demagoghi pilotati dalla Presidenza invitavano i patrioti cittadini a svuotare Beaujeolais nelle fogne e gettare il Camembert nei cassonetti per vendicarsi dei "mangiatori di rane" infidi e traditori.
Da anni ormai questi anacronismi diplomatici detti G7 e poi G8 da quando la Russia di Gorbaciov fu agganciata al convoglio, dove la "G" non sta per "Grandi", come dicono i propagandisti, ma per "Gruppo" non producono più effetti concreti e immediati sulla vita politica ed economica del mondo. Sono soltanto occasioni per martirizzare le incaute città che accettano di ospitarli attendendosi benefici che non si materializzano mai o degenerano nella violenza come fu a Genova e pretesti per misurare le temperatura dei rapporti tra i membri del Gruppo degli Otto e questo fanno con un notevole fedeltà. Di quanto fu scritto a Evian, lo scorso anno, delle carte che le fotocopiatrici dei summit a 8 producono direttamente per gli archivi nessuno ricorda più nulla, neppure chi li scrisse, come nessun peso avrà la "iniziativa per il più grande Medio Oriente" che Savannah avrebbe dovuto sfornare e le due nazioni più importanti della regione, Arabia Saudita ed Egitto, hanno già respinto boicottando il G8.
Ma tutti ricordiamo ancora benissimo il gelo tremendo che attanagliava la cittadina francese, il disprezzo manifestato da Bush, che si soffermò appena qualche ora fuggendo via dopo una brusca stretta di mano a Chirac, l’imbarazzo degli europei davanti alla collera del signore. Lo stacco della telecamera tra le Alpi glaciali dell’immediato dopoguerra e il tepore umido di queste isole subtropicali in Georgia non potrebbe dunque essere più netto e più a beneficio di Bush il quale, anche nella risoluzione Onu, non ha concesso nulla che le circostanze, e non la anemica diplomazia europea, avessero imposto. E la presentazione alla corte del nuovo premier iracheno, al-Yawhar sembra, in un chiave da antichi imperi e lontani regimi cambiati a piacimento, un elemento di coreografia trionfale preso dagli studi di Hollywood più che dalle cancelleria diplomatiche. Ciò che questa America vuole, questa America ottiene.
Minimizzare la apoteosi di Bush e la sua resurrezione favorita anche dalla morte del suo "maestro" Reagan della quale il Presidente sta cercando freneticamente di appropriarsi, sarebbe sbagliato. Il vero nemico, per lui, non sono più la Francia, la Russia, l’Onu, è questa vittoria a orologeria, questo successo con scadenze e date formali entro il quale ticchettano cariche esplosive che la risoluzione unanime del Palazzo di Vetro e l’omaggio dei potentati minori qui in Georgia non ha disinnescato. Onu ed Europa non hanno dato una cambiale in bianco sine die a Bush. Il terrorismo non ha firmato nessuna resa. I tempi rimangono, il calendario per trasformare un regime finto in un governo eletto e sovrano restano come restano, nell’ombra, i piani dei grandi attori del futuro Iraq, gli ayatollah che aspettano pazienti il momento di fare pesare le proprie fazioni sul piatto elettorale. E sempre nuove verità, sempre piu in alto, affiorano dal capitolo torture.
Avere ottenuto dagli europei riottosi l’imprimatur dell’Onu, ma non ancora le truppe della Nato, legittima e insieme vincola Bush, che non potrà più violare nei tempo e nei modi il mandato a governare l’Iraq. Ha legato gli altri al proprio carro, ma ora anche il suo carro è legato agli altri.
L’essenziale, per lui, è che la vittoria a orologeria non esploda per cinque mesi, fino alle elezioni presidenziali per spremere qualche voto in più. I grandi orizzonti strategici dei leader della nuova destra mondiale, partita con intenti millenaristici, si restringono a pochi giorni per sopravvivere, come in Italia o a pochi mesi per vincere o essere licenziato, come per George.

Vittorio Zucconi

Vittorio Zucconi (1944-2019), giornalista e scrittore, è stato condirettore di repubblica.it e direttore di Radio Capital, dove ha condotto TG Zero. Dopo aver cominciato nel 1963 come cronista precario a …

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