Vittorio Zucconi: Reagan, l´America si ferma

11 Giugno 2004
A volte occorre l´ombra di un grande morto per mostrare la statura dei piccoli uomini vivi. Povero, inutile vertice dei G8 con le sue mediocri esibizioni, spazzato via dall´"uragano Ronald", amaro summit di quelli che si credevano grandi, e per tre giorni si sono scoperti ridimensionati e nanizzati dal rimpianto di chi non c´è più, sono stati praticamente ignorati, ridotti a comparse sotto il sudario che ha coperto l´America da oceano a oceano, invaso le televisioni, sospinto 300 mila famiglie spontaneamente sulla strada di Washington, tutti per raccogliersi attorno alla bara di Ronald Reagan e cantargli l´ultima "serenata", come vuole il nome ufficiale delle esequie organizzate con precisione militare e battezzata appunto la "Operazione Serenata". Non è più soltanto un funerale, un lutto, un addio solenne di stato, questa colossale rappresentazione del cordoglio che l´America vive da quando, sabato scorso, arrivò la notizia che la agonia decennale di Reagan era finita. È una crisi di nervi, nel culto isterico di un grande morto che ricorda le ore folli dell´addio a Diana Spencer e tradisce l´insoddisfazione latente per i vivi.
Non sembra neppure, a noi che da quasi sette giorni viviamo la saturazione 24 ore su 24 del vangelo secondo Ronald e della processione della salma tra coste, stati e oceani, una messa da requiem. Sembra piuttosto la ninna nanna per un grande vecchio, come fosse morto un carissimo nonno, prima che un leader politico di parte e in vita assai controverso. La marcia del feretro, trasportato sul secondo Boeing 747 azzurro e argento con le insegne della presidenza e insignito della menzione ad honorem di Air Force One, ha accompagnato e sovrastato la pantomima degli Otto a Savannah nell´isola dei golfisti ricchi, le loro esitanti passeggiate con scarpe piene di sabbia sulle spiagge del "resort" georgiano, i loro pezzi di carta, persino la sceneggiata dell´unità ritrovata attorno al diktat americano in Iraq e la impuntatura d´orgoglio di Chirac sulla Nato. Gli Stati Uniti non avevano mai visto niente di simile, nella loro storia bicentenaria, neppure per la morte del "padre della nazione", George Washington, per la sepoltura dello schivo e austero Lincoln celebrata proprio nella capitale, per Roosevelt, per Kennedy assassinato o per l´ultimo ex presidente sepolto con l´onore delle armi, Lyndon Johnson, neppure da quando sono le telecamere a scandire e risucchiare il cordoglio ufficiale. Quando il cavallo senza cavaliere, il destriero del sovrano caduto con gli stivaloni di cuoio infilati alla rovescia nelle staffe per segnalare la morte del generale, passa alla testa del corteo, la gente piange davvero, appende bandiere alle finestre, si arrampica sui tralicci e le impalcature dei palazzi in costruzioni, rischiando la vita per portare la mano destra sul cuore o per fare il saluto militare.
Ieri, anche nell´ultima giornata dell´incontro degli Otto a Savannah e come accade dal sabato nel quale una Nancy Reagan scavata e disfatta disse che "Ronnie era ormai in un luogo lontanissimo da noi", tutti i teleschermi, tutte le radio, tutte le prime pagine, spulciavano la lista dei mille ospiti ufficiali per la cerimonia di oggi alle 16 e 30, leader stranieri, pezzi grossi di Camera e Senato, ministri, amici e la "banda delle volpi grigie", i vecchi collaboratori del Presidente, almeno quelli che non sono riusciti a riciclarsi nella amministrazione di George W, vent´anni dopo. Tutti trattavano il vertice come una nota a piè di pagina e il viaggio della salma di Reagan come il vero evento storico. La preoccupazione di Bush e di coloro che si erano offerti volontariamente, sperando di non essere respinti, per andare al funerale di stamane, come il nostro Presidente del Consiglio, era quella di chiudere in fretta la loro sudaticcia presenza nell´umidità asfissiante della Georgia per volare verso il grande evento nella cattedrale di Washington. Per esserci.
Chiuse in fretta le conferenze stampa di rito, vantati i dimenticabili successi, annullati gli incontri inutili come quello fra Bush e Berlusconi che forse ne hanno abbastanza di vedersi, dall´aereoporto militare di Savannah si alzava a metà pomeriggio una straordinaria processione volante di aereoplanini come l´Airbus 319 della Presidenza Italiana e di grandi quadrireattori "747" come quelli di Bush e del premier giapponese Koizumi, tutti con prua a nord, verso Washington, verso la bara di Reagan, per rendere devotamente omaggio al morto e per strappare un´ultima inquadratura elettorale. Soltanto Chirac e Putin, forse perché l´ex maggiore del Kgb non voleva trovarsi nello stesso banco inginocchiato piamente accanto a Gorbaciov che invece ci sarà, ad ascoltare l´eulogia, l´orazione funebre che Bush sta preparando e memorizzando da ormai due giorni, prendevano la rotta di casa, incrociando il principe Carlo, l´erede a vita del trono di San Giacomo, che stava volando verso Washington, in rappresentanza della Gran Bretagna insieme con Margaret Thatcher, malata e anziana, ma che ha voluto esserci.
Cento quarantaquattro nazioni saranno rappresentate tra gli inginocchiatoi della National Cathedral di Washington, il tempio non confessionale che ospita riti solenni di ogni religione, dunque cattedrale della diversità religiosa dell´America. Ogni corona di fiori, ogni accordo musicale della orchestra dei Marines che eseguirà il repertorio più caro a Bush, ripetendo l´inno God Bless America, dio benedica l´America, che del grande vecchio sentimentale era il preferito, ogni posto assegnato tra i banchi saranno stati personalmente coreografati dall´uomo che, mentre il "nonno dell´America" era al potere, produceva, con il puntiglio del regista cinematografico, le apparizione reaganiane, Jim Hooley. Anche lui, come le "volpi grigie" della squadra Reagan negli anni 80, ha saputo organizzare quello show che ora tanto l´America rimpiange, fino a misurare la luce naturale e qualle artificiale a ogni ora del giorno per sapere esattamente quando il capo sarebbe dovuto apparire per mostrare un incarnato migliore, senza ricorrere agli intonaci di trucco che altri devono indossare per sembrare meno vecchi.
Questa serenata finale, questa ninna nanna per il nonno, sarà l´ultima "big production" di gente che seppe costruire un mito e poi renderlo, come tutti i miti, veri per l´eternità. Gli uomini e le donne dell´"Operazione Serenata" stanno occupandosi di tutti, dei sei bauli di Nancy Reagan, invecchiata e stanchissima, ma indomabile quando si tratta di guardaroba, della collocazione della folla ammessa alla base dove la bara è stata scaricata dall´Air Force Two, della disposizione e del colore dei fiori, della continua fornitura di agiografi da talk show televisivo che si danno il cambio su ogni canale per raccontare, con il tono degli evangelisti, le opere, le parole, i miracoli del divino Ronald. Nella speranza che la benedizione di quel mito divorante scenda anche a ungere George W Bush e lo faccia sembrare un po´ più grande, possibilmente ancora da vivo.

Vittorio Zucconi

Vittorio Zucconi (1944-2019), giornalista e scrittore, è stato condirettore di repubblica.it e direttore di Radio Capital, dove ha condotto TG Zero. Dopo aver cominciato nel 1963 come cronista precario a …