Vittorio Zucconi: 90 minuti per sorridere

22 Giugno 2004
È arrivata l'ora di deporre le asce di guerra. Ora che abbiamo ancora una volta dimostrato la capacità nazionale di renderci ridicoli, riponiamo i sarcasmi, stappiamo l'acqua minerale, parliamo anche noi con gli animali e fumiamo il calumet della pace. (Avvertenza: fumare il calumet della pace nuoce gravemente alla salute come dimostrarono gli Indiani d'America che a furia di fumarlo vennero sterminati dai bianchi).
Oggi non è giorno per miserie tifose, quegli atteggiamenti da parrocchietta che inducono a sperare che la Nazionale perda soltanto perché ci gioca quello che mi sta sulle scatole o perché non hanno convocato il cocco del mio cortile o perché siamo, noi Italiani, tendenzialmente portati a quel drastico ma efficace intervento chirurgico per far dispetto alla gentile signora.
Le prime due partite di qualificazione dovrebbero avere sfogato ampiamente la vocazione all'operetta, al melodramma, all'avanspettacolo e alla commedia dell'arte, insieme con la capacità di prendere a calci (non a calcio) chi sta in ginocchio, come Trapattoni, e di esaltare il nuovo Papa Re, pronti a ripetere il gioco pur di accontentare le folle sulla piazza e salvarci il tronetto.
Il campionario di volgarità, di cafoneria e di cattive maniere che abbiamo offerto al mondo ha rinforzato nel mondo libero e anche quello in libertà vigilata la persuasione che il nostro sia un popolo di tifosi psicolabili, vittimisti, accecati e po' vigliacchetti.
Sono state scalate vette finora mai raggiunte persino nelle ore memorabili del dopo Moreno in Corea, quando una delle principali maschere del Carnevale calcistico nazionale licenziò il coreano Ahn - ammesso che l'avesse mai pagato davvero - colpevole di avere fatto il proprio dovere professionale, cosa che in Italia non si perdona.
Persino l'ormai mitico e indelebile gesto del Pupone (ma perché dovrebbe stupire un Pupo che sbava?), è stato superato dagli avvocati paracadutati dall'Italia come Special Forces in soccorso di donne e bambini ostaggi, quando hanno offerto come attenuante il fatto che lo schizzo non avesse centrato il bersaglio, probabilmente eliminando per sempre il giocatore dalla competizione per l'ambito "Scaracchio d'Oro" 2004. Fossi stato io Totti, avrei immediatamente licenziato quegli avvocati, per "manifesta ridicolaggine".
E non abbiamo fatto neppure tempo a riprenderci dalle risate, che subito i nostri dirigenti, invidiosi, ne hanno aggiunte di loro, ammonendo i torbidi nordici a dare prova di sportività e di fair play, parlando a nome di un Campionato italiano nel quale, dopo anni di truffe, documenti falsi, scommesse illecite, partite vendute e farmacie colossali che potrebbero curare l'intera popolazione afgana se quei medicinali non fossero sprecati, l'anti sportività è permanente e congenita, grazie a disparità di mezzi, di potere e di interessi contorti che permettono a squadre con rosa da 200 milioni di dollari di andare in campo contro club che non dispongono di un decimo di quella cifra. Che sarebbe l'equivalente di un match di boxe tra il miglior Mohammed Ali e il ragioner Carlo Codega dell'ufficio paghe e contributi, sai che fair play.
Ma poiché, fortunatamente, questo è solo un torneo di calcio e non è grande strategia internazionale, - terreno o sul quale altri agguerriti team nazionali provvedono a fare danni - esiste una maniera semplice e immediata di migliorare per almeno un'ora e mezza la nostra immagine. Basterebbe giocare al calcio dignitiosamente contro la Bulgaria, che è una squadra decente ma da nessuno scambiata per il Brasile del giovane Ronaldo o l'Olanda di Cruyff.
Basterebbe essere per 90 o 95 minuti, uomini e non bambini, evitando sceneggiate da psicopatici a ogni fallo dei bulgari un po' pestoni, rincorse in branco verso l'arbitro quando ci negherà l'"evidente rigore" o ne concederà uno "dubbio" a loro, sfuggire a ogni tentazione di alibi (il caldo, la latitudine, il fuso orario, il bacalao, il pizzico di sfortuna, l'igenuità, i brogli elettorali) in caso di risultato avverso, soprattutto accettare la vittoria o la sconfitta, l'eliminazione o la qualificazione, con compostezza. Senza considerare il passaggio eventuale ai quarti di finale come il passaggio del Mar Rosso degli schiavi Israeliti liberati da Mosè o l'eliminazione come un biglietto di sola andata per un soggiorno indefinito nella colonia marina elioterapica di Guantanamo, guinzagli e cappucci a parte.
Sarebbe bello se, in caso di eliminazione, i monatti che oggi scampanellano attorno a Trapattoni predisponendosi a cantare in laude del nuovo ras, prima di sbranare anche lui, dicessero semplicemente grazie per averci provato, piccolo vecchio. E ora goditi il resto della tua vita sapendo che sei stato un valoroso calciatore e un ottimo allenatore, non un porco idiota infame rincoglionito venduto pirla.
Mi accontenterei di vedere non un bel gioco, che non è obbligatorio, ma di vedere un atteggiamento serio, durante e dopo, esteso alle 15 mila 634 ore di trasmissioni televisive tutte perfettamente inani che seguiranno, con il turibolo o il randello in mano.
Per ragioni incomprensibili anche a me stesso, dunque oggi sono stranamente sereno e ottimista dopo la certezza del disastro morale che mi perseguitava dall'inizio. Tutto sembra molto a chi niente si aspetta e mi sono arrivate foto fresche del mio Tommasino che a due mesi sorride per la prima volta alla vita, a gengive sdentate, senza ciucciotto, e un sorriso di Tommasino vale cento grugni di Vieri e cinquanta gol mangiati dal Pierino e che cosa volete che me freghi di Italia Bulgaria.
Dunque, fumiamo il calumet della pace con la nostra tribù dei Manzi Seduti, con questi uomini adulti che i furbacchioni continuano a chiamare "ragazzi" per giustificarli a priori, che si giocano quel poco di faccia che ancora hanno di fronte a coloro che pagano i loro sontuosi stipendi, pronti a essere taglieggati, ricattati, presi in giro, traditi pur di restare aggrappati al ciucciotto. Cioè noi.
Non mi aspetto che vincano sei a zero, che si qualifichino, che diano spettacolo e lezioni, neppure che giochino una partita intera (ma quando mai) soltanto che non mi facciano vergognare di essere ancora qui, dopo tante fregature, a perdere due ore della mia vita per guardarli insieme con decine di milioni di Italiani che hanno troppo tempo da perdere.

Vittorio Zucconi

Vittorio Zucconi (1944-2019), giornalista e scrittore, è stato condirettore di repubblica.it e direttore di Radio Capital, dove ha condotto TG Zero. Dopo aver cominciato nel 1963 come cronista precario a …