Vittorio Zucconi: Cosby accusa l'America nera. Basta vittimismo, lavoriamo

07 Luglio 2004
La verità del giullare piomba sull'America nera come l'elefante in cristalleria che tutti vedevano e che nessuno osava evocare. ‟È tempo che noi blacks smettiamo di fare le vittime. Se i nostri figli preferiscono restare asini, bere, mettere incinta ragazzine di 12 anni, menare le mogli e rapinare, la colpa non è dell'uomo bianco, la colpa è nostra”. Soltanto una persona con l'epidermide molto, molto scura, con una storia cominciata nelle più truci mean streets di Philadelphia e arrivata al massimo del successo, soltanto un attore idolo di quasi 70 anni chiamato Bill Cosby poteva permettersi di stracciare il copione della sociologia del vittimismo e, come dice lui, "girare lo specchio e costringere l'America nera a guardarsi dentro". Nella rigida segregazione della satira che negli Usa consente soltanto ai comici ebrei di sfottere gli ebrei, alle donne di scherzare sui tic delle donne, ai latinos di dileggiare la Raza latina, Cosby si può permettere di fustigare i brothers senza essere tacciato di razzismo. Ma quello che dice lascia i leaders ufficiali e sempre più irrilevanti del potere burocratico di colore, come Jesse Jackson o Kwami Nfume, ad ascoltarlo sbigottiti. Perché l'attacco non è diretto contro le povere madri singole che devono allevare teenagers nei ghetti o contro ragazzini risucchiati dal vortice dei marciapiedi. L'attacco vero è contro i professionisti della lamentazione che coltivano l'autolesionismo per il proprio potere. Cosby, che è ormai troppo ricco, dopo il successo della sua carriera culminata nel ‟Bill Cosby Show” televisivo e troppo generoso, avendo già donato più di 20 milioni di dollari per borse di studio ai giovani di colore, per essere prudente, ha ripetuto due volte in un mese la sua tirata contro la seducente sirena della irresponsabilità. Aveva cominciato in un discorso per commemorare i 50 anni della sentenza della Corte Suprema che impose l'integrazione razziale delle scuole. Aveva detto che "noi non abbiamo saputo avvantaggiarci fino in fondo di quanto conquistammo 50 anni or sono e fare la nostra parte". "Se preferiamo lasciare che i nostri figli abbandonino le scuole, che parlino lo slang del ghetto che neppure io riesco a capire, che spendano soldi per le scarpette anziché per libri, poi non possiamo rimproverare agli altri se finiscono in galera a 18 anni o passano la vita a friggere hamburger per il minimo di stipendio". Questa, nella dottrina ufficiale delle lobby politiche afro che addirittura tentarono di introdurre il dialetto dell'ebonics, il black english, come materia di insegnamento universitario, è, semplicemente, eresia. E quando l'establishment si è indignato, il giullare ha ripetuto l'eresia. Fedele al proprio credo, "non conosco la chiave del successo, ma conosco la chiave dell'insuccesso, che consiste nel cercare di non scontentare mai nessuno", è tornato all'assalto. "Mi hanno accusato di esporre i panni sporchi. Fatemi dire una cosa: i nostri panni sporchi escono di casa alle 8 fingendo di andare a scuola, ciondolano sui marciapiedi pronti a spararsi addosso per un giubbotto, imparano a parlare una lingua che nessun dottore parlerà mai, cantano canzoni che raccontano di donne come cagnette in calore da violentare e camminano, camminano senza arrivare da nessuna parte. E quando la polizia mena uno di loro, tutti guardiamo ai manganelli, ma non ci chiediamo che cosa ci facesse quel ragazzino con scarpe nuove da 500 dollari ai piedi comperate dalla mamma e una torta da 5 dollari in mano rubata al supermercato". Sarebbe lo sfogo di un vecchio brontolone un po' qualunquista, il sermone di un quaresimalista che ha scambiato il proprio successo nello spettacolo per il saio di un Savonarola nero, come accade spesso a celebrità che confondono la notorietà con la saggezza. Ma quello che Bill Cosby dice vibra in una comunità nera, dove molti lo pensano senza osare dirlo, per non passare da traditori. Che ormai esiste e cresce una "classe media" di colore, in America, prodotta dai sacrifici di un'altra generazione che non si batté per il gangsta rap e per la richiesta di risarcimenti governativi ai discendenti degli schiavi, ma per aprire ai figli le porte delle scuole. Le porte che hanno prodotto un risultato concreto e sempre ignorato, quel 60% di americani black che oggi hanno redditi e posizione sociale "medio alta". È in fondo la vecchia battaglia fra integrazione e identità, fra separatismo e assimilazione che lui ripropone. I burocrati del vittimismo lo ascoltavano costernati, perché nella rappresentazione delle doleances sta il loro potere. Ma applaudiva il pubblico, che deve lottare contro figli che abbandonano la scuola, al 50%, secondo Cosby, o prendono pessimi voti perché andare bene vuol dire act white, comportarsi da bianco ed essere irrisi dai fratelli di strada. Cosby non è un sociologo, né un profeta. Come il Marlon Brando scomparso venerdì, è semplicemente l'interprete di qualcosa che sta cambiando e che l'attore intuisce e incarna, nella sua irresponsabilità morale.

Vittorio Zucconi

Vittorio Zucconi (1944-2019), giornalista e scrittore, è stato condirettore di repubblica.it e direttore di Radio Capital, dove ha condotto TG Zero. Dopo aver cominciato nel 1963 come cronista precario a …

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