Umberto Galimberti: Nel gioco dell'apparire e sparire nasce l'acuto desiderio dell'altro

29 Luglio 2004
Se il corpo nudo è la realtà, il corpo che si lascia intravedere sotto la trasparenza delle vesti non è abbastanza definito per bloccare l'immaginazione, e non è abbastanza nascosto per non suscitarla. In questo frammezzo tra il visibile e l'invisibile, io scopro il mio desiderio nelle peripezie che solo il gioco ambiguo della presenza e dell'assenza inaugura come desiderio dell'oltrepassamento e quindi dell'aldilà. Identico è il meccanismo che oltrepassa il mondo in cerca di Dio senza incontrarlo, o che oltrepassa le vesti per afferrare un corpo che, solo sfuggendo, alimenta il desiderio. Il desiderio, infatti, non sa cosa vuole. È un atto infondato che trova insopportabile ogni gesto della ripetizione con cui la realtà conferma se stessa, e perciò si trova in ogni inciampo, in ogni atto mancato, in ogni fessura della realtà, che lascia trasparire, rispetto a ciò che è presente, un'ulteriorità di senso che, misurato sul reale è "irreale" o "dereale". Ir-reale è la situazione che, per concessione della trasparenza, scruta e fruga il corpo dell'altro come se volesse scoprire qualcosa che va al di là della sua anatomia, qualcosa che assomiglia al gioco dei bambini che smontano l'orologio per scoprire che cos'è il tempo. De-reale è la sorte dell'orologio distrutto nella sua realtà per dar corpo al desiderio di una scoperta. Quando, infatti, per concessione della trasparenza, ci si incammina lungo quel percorso che culmina nella fascinazione di un corpo, che le vesti lasciano trasparire, allora si scopre che ciò che affascinava non era quel corpo, ma l'incarnazione che esso realizzava del nostro desiderio. La trasparenza non è allora un percorso che, partendo dall'avidità del nostro sguardo, giunge a toccare il corpo dell'altro. La trasparenza è un modo inverso: deopacizza il corpo dell'altro per trasformarlo in uno specchio che riflette il nostro desiderio. Sembra infatti che non possiamo conoscere i nostri desideri se il corpo dell'altro non ce li riflette, ma per questo è necessario che il corpo dell'altro rinunci alla sua opacità, che avidamente assorbe ogni sguardo senza restituirlo, e si faccia superficie di riflesso, in modo da consentire al desiderio di chi guarda di trasparire. Si capisce a questo punto perché la seduzione non si fida della natura. Un corpo nudo come natura l'ha fatto, non è seducente senza l'intervento dell'artificio, in grado di scongiurare la semplice nudità e cancellare la naturalità di un corpo in sé e per sé insignificante. Senza l'ammiccamento, senza il gioco dell'apparire e dello sparire, senza la provocazione del desiderio in vista della sua delusione, senza un oltrepassamento del corpo e del suo essere semplicemente nudo, in vista di quel vuoto che è poi l'anima dell'altro sognata sempre nella sua ingannevole complicità, non si dà a vicenda erotica. Qui il rinvio alla trascendenza che la seduzione dischiude può essere arrestato da quella messa in scena che della seduzione è solo la parodia. È il caso della bocca chiamata dal parossismo della seduzione a simulare il sesso femminile. È una bocca semiaperta e semichiusa che non può parlare, né mangiare, né baciare, perché solo nella negazione delle sue funzioni naturali può fare la sua comparsa la finzione erotica. Lo stesso vale per gli occhi, sofisticati e disposti in modo che non si aprano su niente e non guardino nessuno, per cui chi li ammira non incontra un soggetto, ma uno oggetto seducente che impegna solo il proprio onanismo. Il corpo spogliato e artificialmente prodotto per la seduzione non dispiega infatti una "scena" intorno a sé, in cui anche le cose dicono le sue intenzioni, ma è semplicemente "messo in scena", e perciò è o-sceno, perché è offerto secondo quelle regole del gioco che lo fanno più nudo di quel che sia. Nudo della nudità del cerimoniale erotico che rende il corpo inespressivo, perché ogni espressione è demandata alle vesti, agli accessori, ai gesti, alla musica, alle luci, secondo le tonalità che la tecnica sapientemente distribuisce, per creare il desiderio al solo scopo di arrestarlo davanti alla "messa in scena", dove non si celebra la trascendenza del corpo, ma la sua opacità. In questo caso la seduzione gioca con la morte, e quindi, per sadica che sia, è sempre irrimediabilmente masochista. Infatti, se il modello di riferimento della seduzione è il corpo nudo della donna-copertina che gli stilisti della moda incessantemente ci propongono, ebbene si tratta di una donna desessualizzata nel momento stesso in cui gli stilisti la rivestono o la spogliano, mettendo così in scena una sorta di spettacolo della paura, come se l'erotismo dovesse arrestarsi alle soglie dei loro abiti, portati con quei gesti rituali che vogliono a un tempo provocare l'idea del sesso e insieme la sua esorcizzazione. E allora a fiumi quell'esotismo stereotipato che allontana il corpo della donna nel favoloso e nel romanzesco, all'unico scopo di ridurre la donna a puro e semplice oggetto travestito, al punto che, se il nudo traspare, resta anch'esso un nudo irreale, perfettamente chiuso come un bell'oggetto sfuggente e astratto, per la sua lontananza e stravaganza, rispetto alla consuetudine umana. Nella moda, infatti, tutto ciò che è femminile, seducente e invitante è avvolto in quella atmosfera di purezza diafana che spranga la femminilità come potrebbe fare una porta trasparente e blindata di una gioielleria, dove la donna è esposta come una pietra preziosa e, in questa preziosa esposizione, irriducibilmente ridotta a oggetto totale e inutile. Questo tipo di donna, così guardata ed esposta, così sessualmente indifferenziata, se da un lato ci dispensa dal ricevere profondamente l'immagine nel suo scandalo, dall'altro diventa il modello di milioni di donne, che più non sanno se devono mangiare o non mangiare, accrescersi o ridursi il seno, avvitarsi la pancia o torcersi il collo, dipingersi la faccia o intonacarla, nel tentativo di raggiungere quell'idea platonica di femminilità che l'ambiguo sguardo della moda ha messo in circolazione tra l'asessuato e l'equivoco, e che, malamente imitato dalle donne di tutti i giorni, approda a quei visi da totem a quegli occhi da triste vegetale, dove la ricerca dell'essenza rarefatta della bellezza cancella irrimediabilmente le ultime tracce di una possibile bellezza che abbia ancora qualche parentela con la seduzione. Eppure niente di meglio del gioco erotico della finzione seduttiva distoglie la pulsione sessuale dal suo fine naturale che è l'unione dei sessi, per trattenerlo in quello spazio estetico che si alimenta e si esaurisce nell'esibizione del nascosto, nella sottolineatura paradossale del segreto. Per il fatto stesso che il vestito copre, esso suscita il desiderio irresistibile di scoprire. Questa curiosità spinge a rinnovare incessantemente gli artifici per coprirsi e scoprirsi, affinché la tentazione, che tende sempre più a riassorbire nel suo attimo l'episodio sessuale, non si affievolisca. A questo tipo di seduzione siamo giunti perché il corpo è stato liberato da due catene che hanno sempre accompagnato il suo incedere nella storia, dove abbiamo conosciuto un "corpo di fatica" e un "corpo di riproduzione". Maschile il primo, femminile il secondo, il corpo era segnato da queste due mansioni che scandivano il suo senso per la vita. Ora tutto questo non è più necessario. La riproduzione è sempre meno essenziale, la fatica è sempre più delegata alla macchina, per cui sempre più abbiamo a che fare con corpi liberi da codici. Eppure, anche se oggi il corpo si apre in un campo di libertà espressiva mai finora conosciuta, non per questo è impossibile utilizzarlo come energia produttiva. E ciò avviene incanalando i desideri e mettendo in scena lo spettacolo della se-duzione in vista della pro-duzione. Nella nostra società, infatti, che più non conosce il corpo di fatica e il corpo di riproduzione, ogni corpo "liberato" è liberato solo perché è già stato catturato dalla rete del mercato e dall'ordine delle sue parole. Tutta la religione della spontaneità, della libertà, della creatività, della sessualità gronda infatti del peso del produttivismo, anche le funzioni vitali si presentano immediatamente come funzioni del sistema economico. La stessa nudità del corpo, che pretende di essere emancipata e progressista, lungi dal trovare la naturalezza al di là degli abiti, dei tabù e della moda, passa accanto al corpo come equivalente universale dello spettacolo delle merci, per scrivere i suoi segni univoci, che si evidenziano nel linguaggio dei bisogni indotti e dei desideri manipolati. La vera seduzione, invece, è possibile solo quando il corpo mantiene tutta la sua "polivalenza di senso", e non si riduce a quel significato univoco che è il sesso, così come nella nostra cultura attuale è stato codificato, per cui la "liberazione sessuale" si riduce alla liberazione dell'indumento, che già a sua volta, lungi dal vestire il corpo, era lui ad essere vestito di sessualità. Per rendercene conto basta un confronto con i primitivi. Essi giravano nudi perché tutto il loro corpo era volto, cioè espressione simbolica dove i corpi, guardandosi, si scambiavano tutti i loro segni che si consumavano in una relazione reciproca, senza riferirsi al solo codice della sessualità. Noi abbiamo solo il volto scoperto, perché il resto del corpo lo abbiamo reso inespressivo, per averlo consegnato per intero al codice della sessualità.

Umberto Galimberti

Umberto Galimberti, nato a Monza nel 1942, è stato dal 1976 professore incaricato di Antropologia Culturale e dal 1983 professore associato di Filosofia della Storia. Dal 1999 è professore ordinario …