Vittorio Zucconi: Fort Boston, su il sipario. E ora diamoci da fare

28 Luglio 2004
La pallina da baseball lanciata da John Forbes Kerry, detto maliziosamente "Kerredy", affonda corta nella polvere rimbalzando davanti al ricevitore accosciato e gli schizza dal guantone. "Buuuuuu" gli ululano i trentamila dello stadio, raccolti per vedere le "Red Sox", le "calze rosse" di Boston e irritati dallo spot perditempo. Ridono contenti i tifosi repubblicani, ricordando quanto più tesa e virile voli la palla quando a lanciarla è Bush, s'aggrondano i tifosi democratici, che leggono in quella traiettoria flaccida e corta un presagio elettorale infausto, ma il JFK bis è un uomo fortunato. Le "calze rosse" vincono 9 a 6 il derby contro i detestati "Yankees" di New York e almeno la fama di menagramo, micidiale in un città di fanatici tifosi, gli è risparmiata. La Convention del suo partito, l'incoronazione che lo ungerà giovedì sera a sfidante ufficiale di Bush è potuta partire sotto il segno di un derby vinto. "Happy days are here again", soffia la banda nell'inno dei Democratici dai tempi di Roosevelt, sono tornati i giorni felici. Forse, non proprio, perché sopra la felicità di plastica, cartongesso, e alcol che scorre nei party e discorsi in scatola che da ieri sera rotolano giù dal grande palco tecno-assiro-faranoico, grava l'ansia politica di un partito che non ha più la certezza della propria vocazione e della propria base. E pesa, fisicamente, la cupezza di una città occupata, sorvegliata, trincerata, frugata da un apparato poliziesco a mille strati pasticciati, in una confusione implacabile di servizi segreti, questurini locali, tiratori scelti, gorilla in affitto, agenti dell'Fbi, guardia nazionale, tutti decisi a difendere le proprie prerogative poliziesche e tutti sicuri di non potersi fidare gli uni degli altri. Un apparato da Olimpiade a Mosca, che ha segretamente ricattato e arruolato come informatrici, secondo il vecchio stile Kgb, anche molte delle cinquemila "escort girl" (squillo) e qualche vivace "boy" calati per allentare la tensione dei 35 mila invitati e dei 25 mila giornalisti. L'hanno battezzata "Fort Boston", Tartari e Ombre Rosse là fuori, questa bellissima città madre e incubatrice della storia americana, per la visibile ossessione da minaccia terroristica che ha armato anche i parcheggiatori dei garage nella "zona dura" attorno alla Convention di quegli specchi su rotelle usati per guardare sotto le automobili, come oggi attorno alla fortezza degli occupanti americani a Bagdad, la zona verde. Boston come Bagdad. Mai vista, una città americana ridotta a Genova del G8, con guardie di infinite uniformi davanti a ogni ascensore di ogni albergo, gabbioni e metal detectors, walkie-talkie che gracchiano senza posa, elicotteri Huey e Cobra che volteggiano in cielo, motolance della Guardia Costiera che accompagnano come cani da pastore ansiosi le portacontainers e le navi cisterna che hanno il permesso di entrare in porto. La rete invisibile dei computers, la decantata tecnologia del "wi-fi", dei collegamenti senza fili, e della "banda larga" va in tilt, proprio qui nella terra del ‟Mit” e di Harvard, della "Silicon Valley" atlantica, schiacciata da decine di migliaia di utenti che tutti contemporaneamente cercano di collegarsi, ostentando il "palmare", il mini computer-telefono tascabile, meglio se di marca "Blueberry", mirtillo, senza il quale nessuno che voglia sembrare qualcuno osa farsi vedere. Ci si consola con i "party", (leggi: le sbronze) organizzate e sponsorizzate da chiunque voglia attirare un poco l'attenzione dei media, dei delegati e dei pezzi grossi e acquistare crediti col futuro presidente, caso mai vincesse, come i 140 miliardari del posto che hanno sganciato 40 milioni di dollari per finanziare il Barnum. Si approfitta del fatto che niente di minimamente importante accade sotto il tendone del Barnum politico prima delle 7 di sera, per coincidere con i telegiornali delle network e il "prime time", dunque le sbornie e le emicranie possono essere smaltite dormendo fino a tardi. Sui tavoli degli alberghi dove si rintanano delegati e giornalisti, volontari offrono inviti per ogni festa immaginabile, metalmeccanici e gay, autoferrotranvieri e lesbiche, animalisti e produttori di polpette, sindacati di insegnanti e cantanti hip-hop, Mtv "un rock per un voto" e Fox News di Murdoch, tutti accomunati dalla speranza che tra un martini e un bourbon faccia una comparsata il grande uomo, il "big", la signora Clinton, o la signora Kerry Heinz, che comincia a perdere la pazienza e ha risposto a un gruppo di persone, giornalisti e delegati, che la assediavano con un "shove it", "andate a ficcarvelo", meglio non dire dove. E tutti vorrebbero lui, sognano lui, vogliono sfiorare lui, che non è il sempre funereo Kerry e neppure il biondino Edwards, per essere trattato come una supermodel e lodato per i capelli folti e lustri e per la carnagione che non dimostra 50 anni e forse prova quello che le donne in politica ben conoscono. Il "lui" è l'indimenticato Bubba, William Jefferson Clinton, che ieri sera ha acceso gli occhi dei delegati con la sua voce appannata e tanto, tanto sexy, il grigiore cremoso della sua chioma, il rimpianto di un amore grande e finito male. "Bubba", resta l'idolo delle folle democratiche, l'uomo per il quale, domenica, mille e cinquecento persone, tra le quali almeno mille e quattrocento donne, hanno fatto la fila davanti alla libreria "Barnes and Noble" in centro per farsi firmare una copia delle sue indigeribili memorie e per toccargli la mano, con sguardi che non sognavano una notte a discutere di riforma della sanità. Ora i Democratici hanno messo la testa a posto, hanno scelto un possibile marito in Kerry nella speranza che li porti all'altare della Casa Bianca. Ma il vuoto e la voglia sono rimaste, anche nell'ora grigia della finta festa a "Fort Boston".

Vittorio Zucconi

Vittorio Zucconi (1944-2019), giornalista e scrittore, è stato condirettore di repubblica.it e direttore di Radio Capital, dove ha condotto TG Zero. Dopo aver cominciato nel 1963 come cronista precario a …