Umberto Galimberti: Ai tempi del desiderio quel che resta della vergogna

23 Agosto 2004
Dio non ha pudore perché non ha corpo. L' animale non ha pudore perché non ha il senso della propria individualità. L' uomo, che ha corpo e individualità, esprime nel pudore la dialettica contrastante di queste due dimensioni che così intimamente lo costituiscono e lo lacerano. Ciascuno di noi, infatti, ospita due soggettività. Una che dice «Io», con cui siamo soliti identificarci, e una che ci prevede «funzionari della specie» per la sua continuità. Amore, che gioca sul doppio registro della nostra soggettività, prevede che ad amare e ad essere amato sia il nostro io, ciò che intimamente ci costituisce e ci individua e, contro la sessualità generica e non individuata, erge la barriera del pudore. Per questo le prostitute non baciano i clienti. Pur nell' offerta incondizionata del loro corpo, esse sanno di non essere cercate e volute nella loro individualità, e perciò tengono distinta la sessualità che cerca il piacere (con cui la specie adesca l' individuo per garantire la propria continuità) dalla sessualità che cerca l' individuo nella sua unicità inconfondibile. La stessa cosa può dirsi per quell' uomo o per quella donna che rifiutano di essere amati come qualsiasi altro uomo o qualsiasi altra donna. Nel loro rifiuto è il pudore a ergersi come criterio estremamente preciso per misurare la dinamica dei due tipi di sessualità: la sessualità promossa dalle esigenze della specie che non riconosce l' individuo, e la sessualità promossa dall' individuo che vuole l' altro individuo e nessun altro. Se così stanno le cose, allora possiamo dire che il pudore è quel sentimento che difende l' individuo dall' angoscia di naufragare nella genericità animale e, rinunciando a se stesso, percepirsi come semplice funzionario della specie. Non è quindi vero che il pudore limita la sessualità, il pudore la individua, sottraendola a quella genericità in cui si celebra il piacere nel misconoscimento dell' individuo. Per questo c' è un rifiuto a concedersi sessualmente finché l' amore non è certo e provato. E questo soprattutto nella donna, in cui il legame con il corpo e con la pulsione riproduttiva è più forte di quanto non lo sia nell' uomo. E quindi più incerto il confine del riconoscimento di sé come quella certa individualità da non confondere con le altre. Il pudore allora non è una faccenda di vesti, sottovesti o intimo abbigliamento, ma una sorta di vigilanza dove si decide il grado di apertura e di chiusura verso l' altro. Si può infatti essere nudi senza nulla concedere, senza aprire all' altro neppure una fessura della propria anima. La nudità del nostro corpo non dice ancora nulla sulla nostra disponibilità all' altro. Siccome agli altri siamo irrimediabilmente esposti e dallo sguardo degli altri irrimediabilmente oggettivati, il pudore è un tentativo di mantenere la propria soggettività, in modo da essere segretamente se stessi in presenza degli altri. E qui l' intimità si coniuga con la discrezione, nel senso che se «essere in intimità con un altro» significa «essere irrimediabilmente nelle mani dell' altro», nell' intimità occorre essere discreti e non svelare per intero il proprio intimo, affinché non si dissolva quel mistero che, interamente svelato, estingue non solo la fonte della fascinazione, ma anche il recinto della nostra identità che a quel punto non è più disponibile neppure per noi. Adamo ed Eva, che si aggiravano nel paradiso terrestre in ingenua nudità, non appena gustarono il pomo della sapienza: «s' accorsero di essere nudi e ne provarono vergogna». E' una vergogna che non nasce dalla nudità del loro corpo, ma dallo sguardo di Dio che li mette a nudo. Erano nudi. Ma solo dopo quello sguardo divennero nudi e perciò si nascosero e fuggirono. Il pudore, infatti, non difende il corpo dalla sua nudità, che ricorda all' uomo la sua parentela animale, ma dall' oggettività a cui è ridotto quando uno sguardo, investendolo, lo priva della sua soggettività. Il pudore, allora, è la rivolta del corpo contro la perdita della propria soggettività, e le vesti sono la difesa concreta contro questa minaccia. Il desiderio sessuale, infatti, non conosce incontri, non induce a ridurre la propria soggettività per creare lo spazio indispensabile all' apparizione della soggettività altrui. Il desiderio conosce solo la saturazione per possesso. Nel suo sguardo non ci sono le tracce di un' attesa, ma la smaniosa concupiscenza di incontrare nell' altro solo se stesso, per cui, se spoglia un corpo, è per possederne la carne, è per sottrargli, con le vesti, ogni traccia di soggettività che lo sguardo di desiderio, a differenza dello sguardo d' amore, non sa fronteggiare. Chiuso nella sua solitudine, lo sguardo di desiderio si satura di quelle immagini ossessive e pesanti che solo i corpi, spogliati dalle loro vesti e dalla grazia dei loro gesti, offrono come inerzia della carne. Di qui la rivolta del pudore, o come scrive Hegel: «L' inizio di quell' ira per qualcosa che non deve essere». Ciò che il pudore difende, infatti, non è lo spirito dalla volgarità del corpo, ma la vita del corpo dall' inerzia della carne, la soggettività di un corpo vivente dalla penosa oggettivazione di una carne posseduta. Ma il pudore, non è un sentimento esclusivamente sessuale. Il pudore ha anche una valenza sociale che si pone a difesa dell' individuo contro la pubblicizzazione del privato che, nelle società come le nostre è il mezzo più efficace per sottrarre agli individui il loro tratto discreto, singolare, intimo, dove è custodita quella riserva di sensazioni, sentimenti, significati «propri» che resistono all' omologazione che, nelle nostre società di massa, è ciò a cui il potere tende per una più comoda gestione degli individui. Allo scopo vengono solitamente impiegati i mezzi di comunicazione che, dalla televisione ai giornali, con sempre più insistenza irrompono in modo indiscreto nella parte più discreta dell' individuo, per ottenere non solo attraverso test, questionari, campionature, statistiche, sondaggi d' opinioni, indagini di mercato, ma anche e soprattutto con intime confessioni, emozioni in diretta, storie d' amore, trivellazioni di vite private, che sia lo stesso individuo a consegnare la sua intimità, la sua parte discreta, rendendo pubblici i suoi sentimenti, le sue emozioni, le sue sensazioni, secondo quei tracciati di «spudoratezza» che vengono acclamati come espressioni di «sincerità». Avviene così quell' omologazione dell' intimo a cui tendono tutte le società conformiste con somma gioia di chi le deve gestire perché, una volta pubblicizzata, l' intimità viene dissolta come intimità, e con essa la nostra soggettività segreta e la nostra libertà nella relazione con l' altro. Quando infatti cadono le pareti che difendono il dentro dal fuori, l' interiorità dall' esteriorità, l' anima di ciascuno di noi viene in un certo modo depsicologizzata, e a questa depsicologizzazione ciascuno di noi oggi collabora attivamente con l' estensione spudorata di sé. Ma la spudoratezza, ormai, nel nostro tempo è diventata una virtù. Non aver nulla da nascondere, nulla di cui vergognarsi, ed esser pronti, mani alla chiusura lampo, per interviste, pubbliche confessioni, rivelazioni dell' intimità, passa nel nostro tempo come espressione di sincerità e il pudore come sintomo di insincerità, quando addirittura, soprattutto con l' aiuto degli psicologi, non diventa anche sintomo di introversione, di chiusura in se stessi, quindi di inibizione e repressione. Ma inibizione e repressione, recitano i manuali di psicologia, sono a loro volta sintomi di un adattamento sociale frustrato, quindi il pudore finisce con l' apparire come espressione di una socializzazione fallita. E così la nostra «vita», quella intima, quella segreta, quella difesa dal pudore, minaccia di diventare proprietà comune, come lo è già diventato il «corpo», se è vero che quel che un tempo era prerogativa di alcune dive, farsi misurare seni e sederi e pubblicare le relative cifre sotto la fotografia, oggi è il gioco di qualsiasi ragazzina che non vuol passar per inibita. La stessa cosa può essere detta per il «sesso», a cui senza sosta si dedicano articoli e servizi per conoscere i piaceri e le difficoltà della camera da letto. Si tratta di articoli e servizi redatti sotto forma di consigli, in modo confidenziale, come se fossero rivolti solo a te, e non a un milione di orecchie avide di sapere quel che da sé non sanno più scoprire. Ma quando le istanze del conformismo e dell' omologazione lavorano per portare alla luce ogni segreto, per rendere visibile ciascuno a ciascuno, per togliere di mezzo ogni interiorità come un impedimento, ogni riservatezza come un tradimento, per non permettere ad alcuno di vivere e lavorare in case e uffici che non siano di vetro, per apprezzare ogni volontaria esibizione di sé come fatto di sincerità se non addirittura di salute psichica, allora, come vuole l' espressione di Heidegger: «Il terribile è già accaduto» perché il terribile è l' omologazione totale della società fin nell' intimità dei singoli individui. Di qui la necessità di rivendicare i diritti del pudore: non solo per sottrarre la sessualità a quella genericità in cui si celebra il piacere nel misconoscimento dell' individuo, ma anche e soprattutto per sottrarre l' individuo a quei processi di omologazione in cui ciascuno di noi rischia di perdere il proprio nome.

Umberto Galimberti

Umberto Galimberti, nato a Monza nel 1942, è stato dal 1976 professore incaricato di Antropologia Culturale e dal 1983 professore associato di Filosofia della Storia. Dal 1999 è professore ordinario …