Michele Serra: E talvolta sappiamo creare la pace

30 Agosto 2004
Chi si disinteressa allo sport lo fa, in genere, perché lo considera una fuga dalla realtà, circensi per distrarre il popolo. Esattamente al contrario, queste Olimpiadi sono sembrate un consolante e a tratti nobile ancoraggio alla concreta e pacifica sostanza delle pratiche umane, del sudore e del talento, delle tecniche e del felice sforzo di realizzazione degli individui. Era la realtà, piuttosto, a fuggire, lungo le orride vie della stupidità bellica, dell´odio razzista e della pazzia terrorista: con quei video atroci di ostaggi innocenti, esposti come trofei sotto qualche insegna assassina.
La televisione, nelle nostre case, era spesso e volentieri accesa su Atene per qualche ragione in più rispetto al puro piacere di seguire i Giochi. Si trattava quasi di opporre, in tempo reale, immagini di vita e di bellezza alle bordate mortifere che arrivavano dall´Iraq e da altrove. Non certo (ahinoi) per cancellare la guerra e la violenza, e nemmeno per consolazione imbelle, ma per verificare, in una forma così speciale e suggestiva, che l´umanità sa generare, eccome, anche pace e salute. Che è capace di sublimare l´aggressività e l´istinto di sopraffazione in una gamma quasi incredibile di discipline agonistiche, nella lealtà e nel rispetto reciproco (doping a parte, ovviamente). E soprattutto che l´incrocio tra nazioni ed etnie, che sotto i Cinque Cerchi sfiora davvero l´universalità, almeno una volta ogni quattro anni non è da considerare con l´angosciato sospetto al quale purtroppo ci stiamo abituando, specie dopo la mostruosità dell´undici settembre e la scervellata invasione dell´Iraq.
Nell´ultimo ventennio impratichirci con "nuove" etnie e Nazioni ha significato, quasi ogni volta, prendere atto di una guerra o di una strage, di un attentato o di un genocidio. Nel video domestico, per queste tre lunghe e belle settimane, volti e corpi esotici erano solo avvincenti ragioni di scoperta sportiva, di curiosità per gli altri che finalmente si rinnova. I fenomenali mezzofondisti arabi, gli stoici lottatori orientali, i forzuti caucasici, i caraibici velocissimi, i cecchini baltici del basket, gli americani superagonisti, i cinesi che studiano da futuri americani, perfino i toscani diventati la California del nostro sport: finalmente nessuna (o davvero molto poche) connotazione religiosa o politica poteva disturbare la ricezione dei diversi spiriti nazionali, e inni e bandiere potevano mescolarsi in un clima di unità introvabile altrove.
Si è detto tanto, a proposito dell´ipocrisia olimpica, del professionismo e del business che rodono anima e ossa dello sport. Ma il video di casa, durante le Olimpiadi, ha un´inconfondibile e allegra multicromia, è un collage impagabile di gesti impossibili e di fisiologie stupefacenti, è un Barnum dal quale è utile e anche etico lasciarsi fregare. Nello sconforto degli sconfitti e nel trionfo dei vincitori abbiamo potuto leggere, in primi piani e interviste quasi sempre puntuali, quanto si assomiglino i sentimenti delle donne e degli uomini. Gli anni di sacrifici e di allenamenti ossessivi, l´obiettivo raggiunto o mancato per un soffio: la storia dello sport si assomiglia ovunque, esattamente come quando i grandi viaggiatori ci raccontano, in conclusione delle loro avventure, che al mondo si ride e si piange sempre per le stesse ragioni.
In un mondo devastato come il nostro (o forse ugualmente devastato, rispetto alle epoche precedenti, ma con la penosissima soma, in più, di vedere e sapere molto di più), lo sport ha nuove responsabilità. Non ultima, una responsabilità estetica, che è quella di diffondere immagini di ordine e armonia, specie di ordine e armonia nei movimenti del corpo. Di corpi scempiati, decapitati, bombardati, bruciati, si fa indigestione quotidiana (indigeribile). Per venti giorni abbiamo visto i corpi degli uomini e delle donne esprimere vita, autocontrollo, talento, bellezza. È stata, in una sola parola, una vera gioia per gli occhi e per la mente, e il video di casa, ora che la vecchia fiaccola di Olimpia sta per spegnersi, sarà anche lui più spento, e in balia di ben altri fuochi, quello del disordine e dell´odio tra gli umani.

Michele Serra

Michele Serra Errante è nato a Roma nel 1954 ed è cresciuto a Milano. Ha cominciato a scrivere a vent’anni e non ha mai fatto altro per guadagnarsi da vivere. …