Vittorio Zucconi: New York vista da una tigre

01 Settembre 2004
In una domenica di calura soffocante a fine luglio, dentro quella umidità che le mie nonne attribuivano alla bomba, i loro nipoti attribuiscono all'effetto serra e i nostri nipoti da grandi attribuiranno a noi, Apollo decise di fare due passi. Trovandosi a New York, insieme con migliaia di altri turisti costretti a sopportare le estati sull'isola di cemento e spedire pure cartoline agli amici fingendo di divertirsi, Apollo decise di fare il turista e cominciare da Queens.
Prevedibilmente insoddisfatto dal mediocre quartiere, imboccò un'autostrada provocando con la propria imperizia di automobilista una tonnara di tamponamenti. Disgustato dal traffico, Apollo, cercò refrigerio ai propri 230 chili di peso in un parco pubblico. Essendo di carattere affabile, si mescolò alle famiglie sdraiate sull'erba per partecipare ai loro pic nic. Ma sollevò un putiferio che costrinse il delusissimo Apollo a fermarsi e a stravaccarsi sul prato. Dove gli inservienti del circo dal quale se ne era andato lo trovarono, riportando Apollo, la tigre bianca, nella gabbia dalla quale era fuggito.
Non era neppure la prima volta che una tigre aveva passeggiato per le strade di New York, o che altri animali più inoffensivi degli abitanti medi della città avevano cercato di stabilirsi a Manhattan, come il celebre alligatore di due metri e mezzo sfrattato da un appartamento in ottobre perché non aveva pagato l'affitto. Il padrone, s'intende, non l'alligatore.
Se la presenza di tigri, leoni, leopardi, coccodrilli, alligatori, pitoni, anaconda, gorilla, tarantole e altre bestioline tenute illegalmente nelle case private è un po' eccessiva anche per New York o Los Angeles, la convivenza fra animali meno preoccupanti e umani è una tragedia in quotidiana esplosione, anche in una nazione che pure occupa lo spazio di un continente.
Famiglie di cervi con cerbiatti pattugliano frequentemente il quartiere residenziale dove abito, che non è un villaggio tra le Montagne Rocciose ma una zona residenziale nel centro della capitale americana. Procioni, "raccoons", quelli con la mascherina nera da Banda Bassotti, venivano puntualmente a lavarsi nella piscina gonfiabile dove i miei bambini spaperazzavano durante il giorno, bucando con le loro unghiette di notte quello che io gonfiavo di giorno.
Un'aquila calva, la celebre "bold eagle" che è il simbolo dell'America guerriera, è ricomparsa dopo anni di assenza qui a Washington, dove volava ormai soltanto sui simboli e le bandiere, volteggiando sui nostri tetti. Nel fiume Potomac, che attraversa la capitale, lambisce il Pentagono e accoglie i canottieri dell'Università di Georgetown in allenamento, guizzano allegri i velenosissimi serpentelli chiamati "mocassini".
La mia scarsa passione per il gioco del golf si freddò dopo che, tentando di colpire la stramaledetta pallina in Arizona, disturbai un paio di serpenti a sonagli che frequentavano, con pieno diritto, lo stesso campo, e fu poi abbandonata del tutto quando, frugando in un boschetto della Pennsylvania sempre alla inutile ricerca della sopraddetta pallina, mi trovai faccia a faccia con un cucciolo di orso bruno. Avevo visto abbastanza documentari del National Geographic per sapere che dove c'è un piccolo orso bruno, c'è sempre a poca distanza una robusta orsa bruna di pessimo umore.
Muoiono ogni anno quasi duemila automobilisti nel West, andando a sbattere contro un cervo, una mucca o un alce, e gli allevatori di bovini fanno battute per dare la caccia ai pochi lupi renitrodotti per controllare la proliferazione degli alci, ma che, essendo animali selvaggi ma non cretini, preferiscono cenare con le mucche piuttosto che sfidare le corna degli alci medesimi. E se le tigri bianche a passeggio per i quartieri di New York come Apollo, o gli alligatori nel bagno, sono rari, gli incontri e scontri con ogni altra specie di animali sono quotidiani. Compresi i cani, dei quali io porto ogni sera al guinzaglio un esemplare massiccio e di origine tedesca, che considera ogni altro cane nella galassia come un nemico da annientare a vista, senza neppure degnarlo di un'ispezione preventiva alle parti intime.
Da compagno umano sensibile (guai a farsi chiamare "padroni" è ormai politicamente scorretto), ingaggiai un costoso specialista in botoli feroci che mi lasciò con questo consiglio: "Deve imparare a pensare come un cane, a vedere le minacce del mondo coi suoi occhi". Fu un ottimo consiglio. Non necessariamente un consiglio che valesse i 3 mila dollari, allora 6 milioni, della parcella, ma ottimo: da allora il pastore tedesco e il mondo sembrano coesistere in uno stato di incerto armistizio.
Quanto costerà imparare a pensare come una tigre bianca?

Vittorio Zucconi

Vittorio Zucconi (1944-2019), giornalista e scrittore, è stato condirettore di repubblica.it e direttore di Radio Capital, dove ha condotto TG Zero. Dopo aver cominciato nel 1963 come cronista precario a …