Vittorio Zucconi: Salute a suon di dollari

01 Settembre 2004
La signora dai capelli turchini che mi ospitava nella sua villa del Missouri (signora di terza età, già quasi promossa in quarta, chiariamo subito, visto che anche mia moglie legge questa rubrica) esibiva il "giornalista straniero" alle amiche nel circolo femminile del country club di Kansas City.
Prati da manicure. Splendida argenteria, tovaglie di lino sensuale, buffet abbondante, gioielleria da ricca polizza sulla vita del coniuge estinto, domande e risposte col "foreign journalist". Lei viaggia molto fuori dagli Stati Uniti, vero? Vero. Deve essere molto coraggioso, lei. Beh, insomma. Come fa se le capita di ammalarsi in Europa? Chiamo uno stregone italiano che danza attorno a me spargendo salvia, tabacco, pipì di pipistrello, latte di pappagallo, risposi offeso. "Seriamente, signora, abbiamo qualche buon medico e qualche ospedale anche noi".
Mi parve più scettica sui buoni medici europei che sul latte di pappagallo.
In materia di medicina, ogni americano è incurabilmente persuaso che soltanto negli Usa sappiano praticare l'ars medica. "Abbiamo la migliore medicina del mondo" proclama ogni Presidente in carica, trascurando il fatto che per lui è vero, avendo un medico personale e un intero ospedale della Marina a disposizione, ma che 40 milioni di cittadini, uno su sette, non riescono a goderne, perché non hanno i soldi per comperarsi la salute.
Le statistiche dicono che in America non si vive affatto più a lungo che in Europa occidentale o in Giappone. Al contrario; che gli americani sopravvivono a malattie banali o importanti nelle stesse proporzioni dei pazienti lapponi o siciliani; che per ottenere esattamente gli stessi risultati pratici degli ospedali canadesi o spagnoli qui si spende, a testa, più di ogni altro essere umano sulla Terra.
I debiti di natura medica sono la prima causa di bancarotta individuale, e una diagnosi grave è spesso una sentenza di morte finanziaria, mentre i medici gemono sotto il peso di polizze di assicurazioni mostruose, di avvocati insaziabili e dei debiti accumulati per pagare rette universitarie ormai da almeno 30 mila dollari l'anno. Un ostetrico è responsabile per eventuali danni cerebrali del bambino fino al compimento del 16esimo anno.
Entrare in un gabinetto medico, con sempre più rare eccezioni, produce la sensazione che tante donne lamentano, quella di essere guardati non come una persona, ma come un insieme di pezzi, caviglie, cosce, chiappe, sedere, seno, bocca, da soppesare separatamente. La "medicina difensiva", praticata per non rischiare una diagnosi senza avere scannerizzato, irradiato, centrifugato, magnetizzato, perforato, esplorato, frugato, grattato, penetrato ogni organo e orifizio del corpo, scatena una sarabanda di analisi che producono un solo risultato clinico sicuro: un conto da stroncare un cavallo.
Ma l'aggressività sfacciata diviene pudore virginale quando il paziente non ha assicurazione privata, né fondi. Fu Bill Clinton, pungolato dalla moglie, a imporre per legge che una puerpera dovesse restare in ospedale almeno due giorni dopo il parto. I reparti di maternità avevano cominciato, negli anni Novanta, a buttarle fuori il giorno stesso della nascita.
La signora del Missouri aveva ragione. Questa, che viviamo in America, è davvero la medicina del futuro, la sanità privata a puro scopo di profitto, "cash and carry", paga e vai, nella quale tutti sembriamo condannati a entrare. Magnifica, se te la puoi permettere. Peggiore della nostra peggior "malasanità", se non te la puoi permettere. Come sanno quelle migliaia di vecchi che ogni giorno attraversano in processione la frontiera per andare in Canada o in Messico, a comperare, a metà prezzo, le stesse pillole che comprerebbero in Usa.
Portai a un esimio chirurgo ortopedico di Washington un mio ditino infastidito da un chicco di miglio spuntato dopo una botta. Il luminare mi esaminò con mani sapienti i calzoni. "Ah, frescoh dee lahna" esclamò in un italiano sartoriale, rivoltandomi la cinta per vedere il marchio, "Lohro Paiana of Biella", diagnosticò. Ottima marca, un po' cara, aggiunse poi preoccupato.
Mi asportò il chicco, al Washington Hospital. Conto finale, 7 mila dollari, e il chicco, come uno stregone italiano in camice bianco mi aveva pronosticato, puntualmente si riformò, prima di scomparire di propria iniziativa. Spero che l'ortopedico abbia almeno investito quei soldi in un paio di brache italiane.
Lezione per chi sta per entrare nel mondo della medicina del futuro, all'americana, da noi che già ci siamo dentro. Diffidare del chirurgo che si appassiona più ai calzoni che alle articolazioni.

Vittorio Zucconi

Vittorio Zucconi (1944-2019), giornalista e scrittore, è stato condirettore di repubblica.it e direttore di Radio Capital, dove ha condotto TG Zero. Dopo aver cominciato nel 1963 come cronista precario a …

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