Vittorio Zucconi: La “Convention” repubblicana. Metamorfosi del presidente

03 Settembre 2004
Per un "cristiano rinato" come lui, salvato a 40 anni dalla conversione che lo liberò dalla bottiglia, la Convention repubblicana assediata dalle folle ribollenti di collera contro Bush e le sue guerre, è la perfetta occasione per l'ennesima metamorfosi. Per rivincere, o meglio sarebbe dire per vincere finalmente, un terzo Bush dovrà emergere dal crogiolo del Madison Square Garden circondato da cortei ostili e prendere il posto dello screditato "conservatore compassionevole" inventato per la Convention 2000 e del condottiero-giustiziere delle "guerre preventive" impantanate nel sangue. Deve nascere, anche per contrasto coreografico con la rabbia delle strade, un Bush saggio e moderato, orgoglioso ma non arrogante, che sappia rassicurare una nazione scossa e confusa. Bush e le sue baby sitters politiche avevano concepito questo Congresso cacciandolo in gola a New York proprio a settembre - il 52% dei newyorkesi rispondono che non lo avrebbero voluto - come un passaggio trionfale, un Te Deum cantato per saldare l'immagine del presidente di guerra con le emozioni dell'11 settembre, anticipando le manifestazioni di protesta non temute, ma al contrario auspicate per esaltare le doti di calma leadership del loro uomo. Quando, mesi or sono, fu scelta una città ostile ai repubblicani per sfruttare l'emozione del ricordo, le baby sitter, il partito, Bush stesso mai avrebbero immaginato che l'apoteosi sarebbe diventata una battaglia per la vita, e che gli scomposti avversari democratici avrebbero scelto non un radicale pacifista alla McGovern, ma un moderato sfuggente e tranquillo, capace perciò di insidiare le frange centriste dell'elettorato repubblicano. Il senso di trionfo con la quale il clan Bush aveva anticipato l'incoronazione di Manhattan è divenuto il senso di paura, se non di panico, che fa dire a tutti, anche agli osservatori più tifosi, che "W" non può andare al Garden per fare melina, ma deve "battere una pallina fuori dallo stadio", come si dice nel linguaggio del baseball per indicare il colpo migliore. La controffensiva lanciata con l'operazione Vietnam per smontare le credenziali eroiche di Kerry è stata efficace, come sono tutte le campagne di calunnie reiterate, e i sondaggi dicono che il modesto vantaggio acquisito dai democratici dopo il loro show di Boston è svanito. Ma un Presidente in carica non può accontentarsi di un pareggio nell'ultimo quarto della partita, perché esperienza insegna, come ricorda lo storico migliore della statistica elettorale Bill Schneider della Cnn, che gli indecisi, se restano indecisi fino alla fine, tendono a riversarsi sempre sul candidato meno ideologicamente definito, in questo caso Kerry. Ecco dunque la necessità di confezionare un "nuovo Bush". Le vecchie versioni dell'uomo di gomma che si finge di ferro mentre ha cambiato nella propria vita più posizioni e forme dell' avversario, lo hanno portato al pareggio. "Le sbalorditive metamorfosi" vissute nei tre anni e mezzo di governo, come le definisce un osservatore equilibrato come il vecchio David Broder sul Washington Post, hanno spiazzato molti elettori repubblicani e turbato chi aveva creduto al personaggio del conservatore buonista. Quindi il primo impegno del nuovo Bush sarà quello di moderarsi abbastanza per coprirsi al centro, ma di confezionare il cambiamento in maniera tanto equivoca e trionfale da permettere ai fedelissimi di sostenere che lui non ha tradito. E ottenere, infine, una vittoria vera e legittima. Per risolvere il dilemma tra cambiare senza mostrare di aver cambiato, rivendicando i non molti successi della sua presidenza, i Repubblicani hanno copiato quello che i Democratici avevano fatto a Boston che avevano a loro volta copiato quello che Bush e i suoi avevano fatto quattro anni prima a Filadelfia, a conferma del fatto che in politica nulla di nuovo s'inventa mai. Hanno organizzato anche loro un "ballo in maschera" di conservatori presentabili, segando i radicali di destra proprio come Kerry aveva escluso i radicali di sinistra. Dunque niente falchi di guerra, niente savonarola del moralismo sessuale e delle battaglie anti-abortiste, ma personaggi universalmente popolari e gradevoli come Rudi Giuliani, stelle del cinema prestate alla politica come Schwarzenegger che in California sta lavorando bene, finti democratici con il cuore a destra come il senatore della Georgia, Miller. Da questo show dovrebbe uscire quel "bounce", quel rimbalzo nei sondaggi di sei o sette punti percentuali che metterebbe al riparo il Presidente e gli darebbe la spinta verso l'approdo elettorale, oltre gli scogli dei dibattiti in diretta a ottobre. Come nello sport, quando il detentore del titolo prende un vantaggio, la rimonta dello sfidante diventa spesso impossibile. E la contesa elettorale per guidare la democrazia americana e il resto del mondo al traino nei prossimi quattro anni oscuri, sarà così una scelta malinconica fra due bugie "terziste" come si direbbe nella trita semantica della politica italiana, tra la bugia del nuovo Bush moderato alla guida di un partito che invece slitta sempre più a destra e del Kerry anti pacifista, leader di un partito pacifista. Ogni elezione presidenziale americana vede una corsa convergente finale verso il centro dell' elettorato, ma in questo 2004 segnato da una guerra contro nemici tanto spettrali quanto letali, la finzione ha raggiunto traguardi nuovi e inediti. Per la amara, quanto ovvia ragione, che nessuno, né il governo né l'opposizione, può dire la verità, che non sanno davvero come vincere quella guerra che proprio a New York, in un settembre di tre anni or sono, fu dichiarata nel braciere di Ground Zero.

Vittorio Zucconi

Vittorio Zucconi (1944-2019), giornalista e scrittore, è stato condirettore di repubblica.it e direttore di Radio Capital, dove ha condotto TG Zero. Dopo aver cominciato nel 1963 come cronista precario a …