Gabriele Romagnoli: Zarqa,la città violenta del boia di Al Qaeda

05 Ottobre 2004
L'uomo, dicono, ha preso il nome dalla sua città. E in realtà, la città gliel'ha dato. E fa differenza, perché non ci sarebbe probabilmente stato al Zarqawi senza Zarqa, è diventato jihadista, si racconta, perché è stato in Afghanistan. Fondamentalista e messianico, per gli anni trascorsi in carcere in Giordania. Potente e spietato, infine, perché è andato in Iraq. Ahmed Fideel el Khalayleem era zarqawi, un uomo venuto da Zarqa, prima di essere Al Zarqawi, il presunto tagliatore di teste per la cui cattura gli americani offrono quanto per Bin Laden: 25 milioni di dollari. La storia di ciascuno è specchio dei luoghi e dei tempi in cui vive. Poi, esistono scarti che modificano qualche connotato, ma non c'è nulla che non sia ricollegabile alle radici. Solo a Zarqa, allora, si può trovare il calco su cui è modellato Zarqawi. Per arrivarci bisogna partite da Amman, che dista circa mezz'ora d'auto. Significativamente, la svolta avviene davanti a un macello. Poi, la strada passa accanto al fiume dove "Giacobbe si riposò con gli angeli" e, più visibile, a un gigantesco cimitero di auto. Dicono di Zarqa che sia la Detroit del Medio Oriente. Ospita infatti più di metà delle fabbriche giordane, ma è una Detroit in agonia, dove cresce la popolazione e cala il reddito. Nel 1949 allestì il primo campo per profughi palestinesi in Giordania. Qualunque storia di rabbia e violenza si ricostruisca in questa parte del mondo è sempre alla Palestina che si risale. Benché la Giordania offra ai rifugiati condizioni molto migliori di Libano e Siria, ne importa comunque la disperazione e la vocazione a una qualsiasi rivalsa. Nel 1970 Ahmed che sarà Zarqawi è un bambino di quattro anni, parte di una numerosa famiglia (ha due fratelli e sette sorelle), mantenuto da un padre che lavora in ospedale, gestito da una madre che lui adorerà a vita. In quell'anno un commando palestinese dirotta tre aerei, li fa atterrare a Zarqa, li svuota e li fa esplodere. È un atto fine a se stesso, ma capace di accendere fantasie in chi nelle strade della città gioca inevitabilmente alla guerra e si sceglie una parte e un modello di comportamento. Negli anni '80 Ahmed è un ragazzo violento in una città violenta che più diventa povera, più si avvicina all'Islam. Tra i palestinesi senza futuro, tra i figli degli operai che hanno perso la fabbrica, attecchiscono dottrine radicali. In una Giordania che cerca di modernizzarsi, Zarqa arretra. Ci sono molti episodi che lo dimostrano. Quello di Big Joe è il più ferocemente assurdo. Viveva in città un uomo che, non potendo avvicinare l'amata perché le restrittive usanze non glielo concedevano, le mandava lettere legandole al collare del proprio cane, Big Joe. L'animale aveva imparato la strada e i tempi per la consegna e consentito un lungo carteggio. Finché un giorno il fratello della donna non lo scoprì e uccise il cane lapidandolo nella pubblica strada, prima di andare a cercare il padrone. In quel tempo Ahmed è già diventato, da bullo di strada, fervente islamista. è stato in prigione per possesso d'armi, ha imparato a memoria il Corano, ne è uscito con un piano preciso, che non è il Jihad contro l'Occidente, ma l'avviamento di un'attività di vendita di frutta e verdura. Questo ha confessato ai suoi compagni di cella per i quali è stato un leader: vuole comprarsi un furgoncino e andare in giro a vendere mele e pomodori. Poi, qualcosa va storto. La sua misera famiglia è parte di un clan, Beni Hassan, che annovera avvocati e possidenti, ma nessuno gli presta i soldi per il camioncino. All'angolo della casa che conduce alla sua abitazione, per una curiosa inversione dei destini, oggi staziona una bancarella gestita da un profugo iracheno la cui madre siede sul marciapiede. Negli anni Novanta l'Iraq è già nel destino di Ahmed che sarà Zarqawi e, ovviamente, di Zarqa. Qui un gruppo di agenti di Saddam tenta di avvelenare l'acqua destinata alla guarnigione americana di stanza al confine. In cerca di una causa per cui combattere, Ahmed si trasferisce, con la madre, in Pakistan. Durante uno dei suoi rientri in patria, a giugno del 2001, vede la città addobbata a festa: dovunque sono appesi ritratti con l'immagine del giovane Said Hotari e la scritta "21 e altre ancora". Non è un compleanno. Said, rifugiato palestinese, si è fatto esplodere in una discoteca di Tel Aviv, provocando ventun vittime. Che, poco tempo dopo, sia Zarqawi a creare una rete capace di fornire carne da autobomba per le strade di Bagdad prelevandola dai campi profughi, è una inevitabile conseguenza. Mentre lui affila la sua ferocia, la rabbia di Zarqa esplode in modi non controllabili: nel novembre 2003 un camionista del luogo guida fino al confine con Israele e qui, estratto un fucile, fa fuoco su un gruppo di pellegrini venuti dall'Ecuador, uccidendone uno e ferendone cinque. Nessuno ha mai amato Saddam qui, ma alla manifestazione precedente alla guerra ne cantano improvvisamente il nome. Partecipano in quattromila. Una foto scattata nella circostanza mostra un padre con il mitra che tiene per mano e in spalla i due figli muniti di armi giocattolo. Gli studenti urlano: "I kamikaze sono i nostri proiettili!". Un loro insegnante celebrerà pubblicamente l'uccisione di un americano in Giordania e, poi, le esecuzioni attribuite a Zarqawi in Iraq. Oggi Zarqa è una città che ha acquisito notorietà in modo macabro, ma non sembra preoccuparsene. I pareri su Zarqawi che fu Ahmed sono discordi. Il cugino Ala vorrebbe "essere come lui". Il verduraio Nazal ritiene che sia "un mito fabbricato dagli americani". Mohammed al Dwerk, che fu suo avvocato, pensa "che sia sopravvalutato" e di una cosa si dice certo: "Qualunque cosa dica la Cia, quella nei video non è la sua voce". Molti pensano che non sia neppure in Iraq, ma se c'è e fa quel che gli attribuiscono, poi lo condannano. Paradossalmente, proprio a Zarqa c'è un campo di addestramento per futuri agenti della polizia irachena che diploma soprattutto donne. Il corso dura appena otto settimane. Durante un pranzo finisco a tavola con un poliziotto in pensione, venuto dagli Stati Uniti per seguire la preparazione delle reclute. Gli chiedo: "Saranno loro a catturare Zarqawi?". Fa una smorfia e risponde: "Per quel che valgono questi qua, la sola speranza è che non lo incontrino mai".

Gabriele Romagnoli

Gabriele Romagnoli (Bologna, 1960) Giornalista professionista, a lungo inviato per “La Stampa”, direttore di “GQ” e Raisport è ora editorialista a “la Repubblica”. Narratore e saggista, il suo ultimo libro è …