Michele Serra. Come rottamare le scarpe a punta

08 Ottobre 2004
La splendida notizia, tanto inutilmente attesa per anni dagli uomini di buona volontà, si è diffusa quando nessuno più ci sperava: le scarpe con la punta acuminata e i pantaloni con la vita bassa stanno passando di moda. Come molte invenzioni di successo, anche le scarpe a punteruolo sono nate per puro caso: il lavorante mentecatto di uno scarpificio, per errore, montò un tacco a spillo sulla punta di una scarpa anziché sul tallone. Siffatta, la scarpa misurava 70 centimetri e pareva una trivella. Ma piacque molto a una stilista rumena che ne indossò un paio al 'Costanzo Show'. Non passò inosservata, anche perché accavallando le gambe ferì alla tempia un cameraman.

Il look da baldracca sadica ebbe un immediato e prevedibile successo tra le baldracche sadiche. Imprevedibile, invece, la diffusione delle scarpe a punteruolo tra studentesse, ragazze da marito, madri di famiglia e perfino pensionate, tra le quali hanno avuto rapida diffusione anche come arma da difesa contro gli scippatori. Psicoanalisti e psicologi si sono scervellati a lungo per cercare di venire a capo del fenomeno. Scartata l'ipotesi dell'invidia del pene (non esistono peni a forma di trapano da dentista), si è optato per la Teoria della Decadenza, secondo la quale ogni civiltà in disfacimento genera capi d'abbigliamento orripilanti, grotteschi, disgustosi o ridicoli. Per alcuni studiosi si tratta di segnali auto-immuni, piccoli allarmi grazie ai quali una società malata manifesta a se stessa il proprio disagio. Secondo altri, la spiegazione sta nel fatto che la gente ha gusti di merda.

L'invasione mondiale delle scarpe a punta ha portato a una rivoluzione dell'accessoristica e dell'indotto. Le tradizionali scarpiere sono state sostituite da portaogive in dotazione all'artiglieria leggera, oppure da grossi portaspilli di polistirolo nei quali conficcare le scarpe ottenendo un simpatico effetto-istrice. Ogni kit per la pulizia delle scarpe si è arricchito di un temperamatite, di un tornio e di una confezione di cerotti. Grande rimbalzo economico anche tra pedicure e ortopedici, che si sono trovati a dover trattare piedi ridotti a poltiglie sanguinolente (il famoso piede tartare), o con le cinque dita saldate in un unico filamento calloso.

Il look suggerito dalle scarpe a punteruolo andava comunque perfezionato. È stata un'altra stilista rumena a mettere a frutto l'esperienza fatta quando lavorava come guardiana di gabinetti in un autogrill: osservando le clienti che uscivano dalla latrina con le braghe parzialmente calate, ha inventato i pantaloni a vita bassa. Completati da numerosi accessori per ombelico scoperto (tatuaggi, piercing, campanelli da bicicletta, diapositive da proiettare sul ventre nudo), i pantaloni a vita bassa hanno avuto l'effetto collaterale di aumentare moltissimo la socialità diffusa: negli uffici, negli ascensori e per la strada, milioni di persone hanno potuto fare conoscenza grazie alla frase "guardi signorina che le stanno cadendo i pantaloni".

Non è chiaro perché queste due icone del terzo millennio, scarpe acuminate e brache pendule, stiano per finire nel dimenticatoio. Il fatto che facciano schifo anche ai cani è una sicura concausa. Sta di fatto che milioni e milioni di capi d'abbigliamento dovranno essere riciclati, e l'impresa non sarà facile.

Per le scarpe a punta si pensa a un uso immediato nel comparto dell'utensileria di precisione: cavaturaccioli, siringhe, macchine perforatrici. Alcuni esemplari saranno custoditi a Tubinga, nel Museo della Tortura. Più difficile il recupero dei pantaloni a vita bassa: dopo l'uso, assumono una caratteristica forma da bigoncio sformato. Cucendo il fondo delle gambe, possono essere usati per il trasporto delle sementi, ma prima devono essere sterilizzati. Uno stilista rumeno sta pensando di ritirare tutti gli stock invenduti, aggiungere in vita una fascia di tessuto alta un metro e rilanciarli sul mercato come pantaloni a vita alta, con la cintura sopra le tette. Il pubblico femminile non vede l'ora.

Michele Serra

Michele Serra Errante è nato a Roma nel 1954 ed è cresciuto a Milano. Ha cominciato a scrivere a vent’anni e non ha mai fatto altro per guadagnarsi da vivere. …