Vittorio Zucconi: Presidenziali. I candidati ai raggi x

12 Ottobre 2004
Se l´America fosse davvero come lui l´ha descritta venerdì sera ? più sicura grazie ai 1.070 soldati uccisi finora in Iraq, più protetta dopo l´arresto "del 75% di Al Qaeda", ormai trionfalmente fuori dalla recessione economica, circondata da un mondo che la ama, popolata da vecchietti ben medicati e scolaretti generosamente istruiti ? non si vede perché dovremmo stare ancora qui a disquisire su chi abbia vinto o perso un dibattito televisivo.
Se l´America fosse quella che Bush racconta, John Kerry la banderuola, il "liberal tassa e spendi", il "senatore Kennedy" come lui lo ha chiamato forse per un lapsus nixoniano, forse per malizia, sarebbe lontano nei sondaggi e queste elezioni presidenziali 2004 sarebbero una formalità plebiscitaria. Il guaio, per lui, è che l´America, e la sua immagine nel mondo, non sono quelle raccontate da Bush, e l´occhio implacabile della telecamera lo ha illuminato.
Le baby sitter del partito repubblicano che si agitano come le fatine nelle antiche favole attorno alla culla del principe, spiegano ora, come ha fatto Karen Hughes, la formidabile signora che cura l´immagine mediatica del piccolo George, che "la guerra produce sempre inquietudine e polarizzazioni". La spiegazione appare persuasiva soltanto a chi non ricordasse che due presidenti di guerra, come Roosevelt nel 1944 e Nixon nel 1972, furono rieletti trionfalmente. Ma ciò che la Hughes, come le altre fatine buone di Bush, vuol sottintendere è un´altra cosa. Non è necessariamente la guerra che taglia in due l´opinione popolare, è la rappresentazione della guerra, fatta dai media ostili, di sinistra e faziosi, a distorcere la verità e creare la polarizzazione, ci vogliono dire. Secondo una strategia applicata con qualche successo e con pari sfrontatezza anche in altre nazioni, sarebbe dunque l´egemonia culturale e informativa dell´intellighenzia cosiddetta progressista a creare una paratia di falsità tra il potere e il popolo e a impedire una onesta valutazione dei trionfi avvenuti e dei progressi in corso.
Poi, sfortunatamente per il potere stesso ma fortunatamente per i cittadini, arriva quell´appuntamento fatale con i dibattiti in diretta che altri leader di governo, se possono, evitano con ogni cura. Per quanto le balie dei candidati si sforzino di limitare i rischi che i propri assistiti si facciano del male, introducendo ogni sorta di limitazioni e imbottiture, e i loro registi abbiano imparato, dopo la debacle di Nixon nel 1960, a "manipolare i manipolatori", l´occhio delle telecamere non chiude mai le palpebre, il microfono non si mette la cera alle orecchie, e qualche verità viene a galla, sulle persone, sulle personalità, sulle loro intenzioni. "La telecamera è una macchina per fare i raggi X alle anime", dice, immaginosamente ma non scorrettamente il commentatore della Cnn, Jeff Greenfield. E il radiologo clinico è quel pubblico di "gente qualsiasi", come si dice con l´insolenza dei privilegiati, che venerdì sera ha posto a Bush e a Kerry quelle domande secche, taglienti, rapide che i professionisti dell´informazione, troppo impegnati ad ascoltarsi, a tromboneggiare e a crogiolarsi nella propria vanità, spesso non sanno più fare.
Così la vetrina delle distorsioni, la desolante cristalleria degli spot, va in frantumi di fronte alla signora che incastra Kerry e gli dice che nel suo ufficio tutti pensano che sia un wishy-washy, un indeciso che cambia idea; alla donna che chiede a Bush di citare tre errori che pensa di avere commesso e non ottiene una risposta perché Bush è incapace di autocritica; allo spettatore che impone a Kerry di impegnarsi formalmente e senza troppe chiacchiere a non aumentare le tasse ai ceti medio-alti e lui lo deve fare, "assolutamente"; alla giovane donna sconcertata dall´antiamericanismo montante nel resto del mondo del quale chiede conto al Presidente ("ma no, il mondo ci ama, non condivide soltanto qualche nostra decisione", balbetta George W.) o al giovane uomo che accusa la nuova legge anti terrorismo, chiamata "legge del patriota", di introdurre elementi incostituzionali da stato di polizia e ottiene da Kerry la risposta forse più bella e rincuorante di tutta la serata: "Non dobbiamo permettere che i terroristi riescano a cambiare la nostra Costituzione".
La tanto esecrata televisione dei deficienti e dei guardoni sa ancora fare il proprio dovere, se vuole. Ha dato un´immagine dell´America vera, che non era quella dipinta da George Bush e neppure quella futuribile di John Kerry, ma è quella incarnata dai volti e dalle 280 domande senza maquillage propagandistico del pubblico. In questo senso, poiché chi governa ha sempre più cose da nascondere e da farsi perdonare di chi sta all´opposizione e può promettere la proverbiale torta in cielo, lo sfidante è oggettivamente avvantaggiato e per questo il Bostoniano ha battuto e continua a battere il Texano, come dimostra il restringersi della forbice nei sondaggi. Sono stati quei due laboratori di radiologia delle anime - il primo in Florida, il secondo in "Misùra", come i locali pronunciano "Missouri" (l´ultimo sarà in Arizona, terra di destra) - a cambiare la dinamica di una gara che per tutto il mese di settembre aveva visto Bush andare in fuga. L´inversione della tendenza è cominciata proprio con il primo incontro e quello di venerdì sera non pare avere fatto nulla per risospingere Bush al largo. Non lo ha fatto perché, ben oltre l´estetica dei dibattiti (ma a chi faceva ripetutamente e nervosamente l´occhietto il Presidente? Alla moglie? Ai suoi addestratori?), gli abiti su misura da 4 mila euro tagliati dal sarto dei potenti, Georges de Paris a Washington, i farfugliamenti, le promesse di fantomatici "piani" e contratti dell´uno e dell´altro per risolvere tutto, l´occhio della telecamera ha visto oltre le fiabe e scollato la realtà dai costumi di scena.

Vittorio Zucconi

Vittorio Zucconi (1944-2019), giornalista e scrittore, è stato condirettore di repubblica.it e direttore di Radio Capital, dove ha condotto TG Zero. Dopo aver cominciato nel 1963 come cronista precario a …

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