Vittorio Zucconi: Presidenziali Usa. Lo sfidante trasformato

15 Ottobre 2004
C´è sempre un momento magico, nella narrazione delle campagne presidenziali americane, quando Pinocchio diventa un bambino vero e si libera del guscio elettorale. I tre confronti diretti tra Kerry e Bush, finiti (purtroppo) mercoledì sera, sono stati lo scalpello che ha liberato un uomo dal burattino della propaganda, e quest´uomo è stato John F. Kerry. Ha vinto la battaglia che doveva vincere, che non era sconfiggere Bush, ma apparire come un presidente possibile.
C´è riuscito usando contro Bush quella paradossale inversione di ruoli che già avevamo notato nelle Convention d´estate, quando i Repubblicani si erano comportati come un´opposizione abbaiante e i Democratici avevano scelto di comportarsi come una forza tranquilla. Quattro anni or sono, negli incontri tra Al Gore e George Bush, era stato "W" il texano a scappare dalla prigione di legno degli stereotipi elettorali nella quale invece Gore era rimasto penosamente intrappolato. Oggi, il contrario è avvenuto. Kerry, che non possiede doti naturali di fascino e di carisma, ha scelto di fare di una debolezza una forza, di rimanere sempre se stesso, un po´ noioso ma coerente, fortunatamente limitato dal cronometro che arginava il suo politichese, poco entertainer ma molto serio, ed è perciò riuscito ad apparire "presidenziale".
L´uomo Kerry ha fatto giustizia della caricatura Kerry. In quasi cinque ore di confronto, l´elettorato americano ha visto sempre un Kerry e uno solo. Può non piacere, potrà essere sconfitto, ma la coerenza un po´ plumbea e iterativa dei suoi argomenti sulla sanità, sulla guerra, sulla repressione del terrorismo, sul bilancio, sull´economia nazionale, soprattutto sull´aborto e l´omosessualità dove ha ripetuto l´argomento fondamentale della separazione tra fede e stato, ciò che ha fatto dell´Occidente l´Occidente, hanno cancellato l´etichetta della banderuola. Di fronte a lui sono invece saliti sul palco tre Bush in tre giorni, tre personaggi marionetta diversi che hanno brancolato cercandosi, senza mai ritrovarsi in una personalità unica. Abbiamo avuto il Bush dissociato e balbettante del primo dibattito (una "miserable performance" l´ha definita uno dei suoi supporter della destra neocon, Bill Kristol), il Bush aggressivo e stridulo del secondo incontro e il Bush gioviale, confidenziale, allegro fino alle risatine da collegiale, costruito per il terzo appuntamento, nel quale voleva giocare la parte del "compagnone di bevute", come ha scritto il critico televisivo del ‟Washington Post” Tom Shales. Tre Pinocchi diversi che non sono mai diventati una persona unica e smentiscono l´immagine di coerenza inflessibile che era il suo manifesto elettorale, messi a confronto con la ferma "gravitas" dello sfidante, sono il vero messaggio arrivato ai 51,2 milioni di spettatori.
Il resto, l´analisi logica di chi le abbia sparate più grosse, delle gaffes e cadute di gusto (la peggiore è stata la gratuita allusione di Kerry alla omosessualità di Mary Cheney, figlia del vice presidente) di chi ha pasticciato più egregiamente le cifre (un sicuro pareggio di fanfaronate e di conti che non tornano) è materia per la coorte di sicari politici spediti negli studi televisivi con le lore facce di bronzo. Ma il pubblico di indecisi chiedeva a questi incontri soltanto una cosa: vedere da vicino se questo in fondo sconosciuto bostoniano potesse apparire come colui al quale affidarsi nei prossimi quattro anni. "Un Presidente è un po´ come un possibile marito" scrive la storica della presidenza Doris Kearns con sensibilità femminile; "la nazione deve, se non innamorarsi di lui, almeno trovarlo accettabile come compagno di letto".
Ora viene, per Kerry, il difficile. Arrivano quelle due settimane e mezzo finali nelle quali i tre piccoli Bush visti nei dibattiti torneranno a ricomporsi e nascondersi, come il Mago di Oz dietro la macchina gigantesca della Presidenza. È qui, negli ultimi minuti di una maratona cominciata da almeno un anno, che il vantaggio implicito nella incumbency, nel potere, diventa formidabile e spiega perché 2 presidenti su 3 siano storicamente stati rieletti. Da oggi Kerry torna a essere un semplice leader di opposizione che i media seguiranno per coscienza e rispetto, non per la forza delle notizie.
Bush è "Mister President", può comandare l´attenzione nazionale rientrando nel guscio del personaggio ufficiale, decollare e atterrare sul cocchio volante dell´Air Force One al suono delle marcette presidenziali, lanciare iniziative politiche, promettere, forse compiere, atti spettacolari, volare nella Kabul liberata, farsi fotografare tra truppe plaudenti per ordine del signor colonnello in una base irachena, tirare fuori dal cilindro il nome grosso di un terrorista arrestato, confezionare, come Reagan in Iran, una "sorpresa d´ottobre". Occupare i teleschermi, non per prepotenza padronale, ma per forza istituzionale. Lo sfidante, Kerry, non può fare altro che sbracciarsi, ma le sua braccia sono troppo corte per riuscire ad afferrare un Presidente che non dovrà più rispondergli nel suo inglese sincopato ("per fortuna ho sposato una donna che parla l´inglese meglio di me" ha tentato di scherzare "W" insultando in un sol colpo la mamma, le maestre e quelle Harvard e Yale che evidentemente non sono riuscite a insegnargli neppure la sua lingua madre). Ma qualcosa, da questi dibattiti, resterà, anche se non dovesse tradursi in voti e in vittoria il 2 novembre, anche se le porcherie elettorali che stanno già affiorando in Florida (di nuovo), in Nevada, in Colorado, in collegi dove si scoprono elettori iscritti in sedici seggi diversi, sporcheranno questa elezione presidenziale come quelle del 2000. Resterà il fatto che l´opposizione interna alle politiche di Bush esiste, è forte, e ha saputo - grazie allo scalpello dei dibattiti in diretta che altri timidi Pinocchi evitano - produrre un candidato credibile. Questa prima campagna elettorale dopo l´11 settembre, bloccata nella "ossessione terroristica" - come l´ha chiamata Tom Friedman sul ‟New York Times” - ha dimostrato che neppure Al Qaeda è riuscita a uccidere, almeno qui, l´opposizione politica.

Vittorio Zucconi

Vittorio Zucconi (1944-2019), giornalista e scrittore, è stato condirettore di repubblica.it e direttore di Radio Capital, dove ha condotto TG Zero. Dopo aver cominciato nel 1963 come cronista precario a …