Vittorio Zucconi: Il mercatino di casa Kennedy

02 Dicembre 2004
Reliquiario prezioso e insieme impudico di un culto che sopravvive quarantuno anni dopo il martirio, gli ultimi detriti venuti dalla vita dei Kennedy arrivano da Sotheby´s, per essere venduti a chi continua a credere e a sperare in un secondo avvento del kennedysmo. Sono briciole di vita, corredi da bagno e pezzi di cristalleria, mobilia e quadri, objects d´art e gioie d´alta bigiotteria, gingilli da due o tre mila dollari, modesti per una signora come Jacqueline abituata a servirsi da Van Cleef&Arpels e da Cartier.
Comunque, oggetti che mani golose e affettuose raccoglieranno, per tentare di ricomporre un´immagine che forse non è mai esistita davvero, ma che esisterà per sempre. L´"America at its best", l´America al suo zenith nell´ammirazione del mondo, serena, giovane, felice e struggente, come il pezzo più bello del reliquiario. Una foto inedita del Presidente con il suo John John, insieme su una barchetta a remi in secca sulla spiaggia di Hyannis Port, a fingere di remare e salpare. Davanti al mare che il John John bambino guarda incantato e dove John John adulto si sarebbe inabissato.
Questo catalogo di oggetti e foto, che l´ultima superstite dei Kennedy veri, Caroline, ha deciso di mettere in vendita dopo avere salvato i pezzi di interesse storico affidati alla Kennedy Library di Boston, non contiene nulla di eccezionale valore commerciale. Le cose più preziose, forse, sono un torso di donna proveniente dalla Cambogia, valutato dai banditori di Sotheby´s tra i quaranta e i sessantamila dollari, e un elegante olio attribuito a Frederick Mayhew che ritrae il capitano Platt davanti al proprio "clipper", al veliero in navigazione. Questo quadro fu lo sfondo voluto da JFK per la sua prima foto ufficiale da presidente eletto, che ‟Life” usò per l´edizione del 16 novembre 1960, il numero speciale dopo l´elezione.
Soltanto collezionisti piuttosto morbosi potranno contendersi il corredo da bagno, salviette e asciugamani blu-azzurri, appartenuti a Jacqueline con le iniziali ricamate per celebrare il suo secondo matrimonio, J.O.K, Onasiss Kennedy, e da lei conservati fino alla morte, nell´appartamento sulla Quinta Strada, come una donna di casa qualunque restìa a disfarsi del proprio corredo anche quando i guardaroba e gli armadi traboccano di biancheria.
Coppe di cristallo, bicchierini da liquore, una bella istantanea di lei studentessa di ideogrammi cinesi quando, vedova da poco, tentò di studiare l´arte della calligrafia orientale per distrarsi, non sarebbero mai entrati da Sotheby´s e presentati all´asta, se fossero appartenuti ad altri. O se John Kennedy se ne fosse andato, come lei, per malattia e vecchiaia. E qualcuno può chiedersi se gli eredi Kennedy, dunque Caroline che è l´esecutrice testamentaria dell´estate, del lascito, avesse davvero bisogno di raschiare il fondo della vita famigliare per vendere asciugamani e bric-a-brac.
Ma la fame dei cultori del kennedysmo è insaziabile. Il bisogno insoddisfatto di una generazione di uomini e di donne che nel novembre del 1963 videro frantumarsi a Dallas l´immagine che si erano costruiti del mito americano, chiede anche queste piccole consolazioni tangibili. Sentire tra le dita la salvietta nella quale Jackie si asciugò il viso, sedersi sulla poltrona dove Jack sistemò la propria schiena scassata dalla guerra e dal morbo di Addison alle ghiandole surrenali, accomodarsi al tavolo attorno al quale il senatore cenava prima di traslocare a Washington è celebrazione di sé stessi, di una generazione perduta che si aggrappa ai resti di un naufragio. Toccare qualche oggetto che la moglie e lui portarono con loro nei family quarters, negli appartamenti privati della Casa Bianca, per portare i simboli della propria vita famigliare nella ufficialità elegante e sempre scostante della residenza ufficiale, come Reagan si portò gli adorati quadri di soggetto "western" e Bush quei sacchi di salatini che per poco non lo uccisero, è partecipare, per qualche dollaro e qualche istante, a una comunione della storia interrotta.
Nel perenne e inconfessato bisogno di regalità che una nazione repubblicana e orgogliosamente plebea patisce, i Kennedy sono stati definiti come la cosa più prossima a una royal family che l´America del nord abbia conosciuto da quando respinsero il re che avevano. Giorgio Terzo d´Inghilterra. E questa nuova - probabilmente ultima - partita di oggetti e di frammenti appartenuti a JFK e ai suoi sono dunque l´equivalente delle suppellettili uscite dalla tomba di un Faraone, tra il fascino e la vergogna di averla violata irrimediabilmente. Le case dei Kennedy, i sacrari del mito e del culto, non ci sono più e questi detriti ne sono la prova concreta. Carolina Kennedy sposata Schlossberg, erede unica di tutto, ha demolito la casa di Hyannis Port, davanti alla quale fu scattata la foto di padre e figli immobili a remare contro il naufragio che non sospettavano, e tutta la iconografia affascinante dei "ragazzi col ciuffo", il luogo nel quale JFK seppe di essere stato eletto.
Ha venduto e svuotato la casa di vacanze nel New Jersey, dove la madre si rifugiò dopo l´assassinio. L´appartamento della Quinta, dove lei morì. Il cottage di Middleburg, in Virginia, dove i ricchi washingtoniani vanno a recitare al Lord inglese con partite di caccia, livree rosse e risuonare di corni. Ha fatto piazza pulita di tutto. Ora, la tomba dell´ultimo faraone americano è davvero vuota e le ultime reliquie sono in vendita, a partire dal prossimo mese di febbraio, per i fedeli di un mito che non ispira più sogni né fa vincere elezioni, come ha dovuto constatare l´ultima e flebile reincarnazione del mito, JFK Kerry. Ma genera ancora, come quella foto sulla spiaggia, come tutte quelle case svuotate dagli eredi, il rimpianto amaro di ogni culto dei morti.

Vittorio Zucconi

Vittorio Zucconi (1944-2019), giornalista e scrittore, è stato condirettore di repubblica.it e direttore di Radio Capital, dove ha condotto TG Zero. Dopo aver cominciato nel 1963 come cronista precario a …