Paolo Rumiz: “Made in China”. Intervista a Marco Paolini

13 Dicembre 2004
"La storia della Märklin ricalca la sconfitta del modellismo italiano. Parlo del fallimento recente della Lima, erede della gloriosa Rivarossi. L´hanno rilevata gli inglesi, offrendo il doppio rispetto a una cordata italiana. Ma poi che han fatto? Hanno tenuto solo marchio e stampi, cioè quello che vale. Il resto niente: macchine, personale, fabbrica, magazzino. Tutto finito, chiuso. E la produzione è volata in Cina".
Marco Paolini, attore fanatico di treni e modellista in casa ("Mio padre era macchinista, ho imparato da lui ad amare i nostri treni e il nostro paesaggio ferroviario"), fiuta una brutta aria. è come se l´Europa vendesse un pezzo della sua anima al "pianeta" dove macchine e operai si clonano in un lampo.
"In Cina, se un articolo costa 200, le macchine, i materiali e l´ammortamento degli stampi costano undici. Ma l´inverosimile è che la manodopera costa uno! Uno su duecento! Profitti incredibili?".

Ma i cinesi non hanno tradizione.
Loro se ne fregano delle nostre tradizioni! Hanno complessi grandi come città, capaci di fare trenini e asciugacapelli con la stessa disumana precisione. E di passare come niente da un prodotto all´altro.

Come funziona?
Si rivolgono a un´agenzia di intermediazione che gli trova un progettista, un esperto in stampi e un mini-team che gli elabori il sistema. In un mese il progetto è fatto, in quattro mesi la produzione è avviata.

Tempi da paura.
È un´implacabile organizzazione per nuclei, che lavora sempre e riproduce perfettamente i progetti altrui fornendo il "made in China".

E la qualità com´è?
Eccellente. Arrivano cose impensabili fino a poco tempo fa, specialmente a noi italiani, che ci accontentavamo di prodotti meno sofisticati rispetto a Francia, Svizzera o Germania.

Dunque roba buona.
Decisamente. Oggi nessuno arriccia più il naso di fronte al made in China. Anche nel top di gamma del modellismo.

Figurarsi cosa avverrà nel manifatturiero? emigrerà tutto.
Il destino del modellismo mi provoca cortocircuiti bestiali con quello che succede sulla Riviera del Brenta. Pezzi interi del distretto della calzatura fuggono a Oriente, con accelerazioni da brivido.

Dicono di non avere paura della Cina.
Il problema è la febbre speculativa che ci fa usare il Pianeta come il quartiere di una città, con le sue favelas e i suoi discount. Chiediamoci: se i nostri operai non lavorano, come terranno in piedi la domanda? Non diventeremo più poveri? Credo proprio di sì. E la domanda del superfluo salterà per prima

I trenini, per esempio.
Ovvio. Con un bene voluttuario il ragionamento vale il doppio. I trenini non costeranno di più, vero. Ma noi avremo meno soldi per comprarli. Diventeranno un giocattolo per ricchi.

Evento ineluttabile?
Una settimana fa parlavo con un bravissimo artigiano fer-modellista di Catania. Mi diceva della sua lotta per resistere, per farsi i pezzi in casa. Anche lui non si rassegna...

Come difendersi?
"Anni fa, quando la Lima comprò, oltre alla Rivarossi la francese Jouef e la tedesca Arnold, si fece dare dal governo di Berlino un finanziamento per il rilancio. Quando ebbe i soldi, chiuse e concentrò la produzione in Italia. Ma gli operai non restarono a guardare.

Che fecero?
Presero a martellate gli stampi dei modellini, quelli cui avevano dedicato la loro vita. Distrussero il nucleo del valore aziendale e la furbizia dei nuovi padroni. Un suicidio d´amore, in piena regola. O no?.

Nell´Ottocento si chiamava luddismo.
Il destino del modellismo è esemplare. Dimostra che questa concentrazione della produzione mondiale in un unico Paese può far imballare il sistema. Temo un boomerang che farà molto male.

Paolo Rumiz

Paolo Rumiz, triestino, è scrittore e viaggiatore. Con Feltrinelli ha pubblicato La secessione leggera (2001), Tre uomini in bicicletta (con Francesco Altan; 2002), È Oriente (2003), La leggenda dei monti …