Umberto Galimberti: Se un filosofo ti prende in cura

17 Dicembre 2004
Le nostre sofferenze psichiche, i nostri disagi esistenziali dipendono sempre da conflitti interni, da traumi remoti, da coazioni a ripetere esperienze antiche e in noi consolidate come vuole la psicanalisi, o qualche volta, e magari il più delle volte, dipendono dalla nostra visione del mondo troppo angusta, troppo sclerotizzata, troppo irriflessa per consentirci da un lato di comprendere il mondo in cui viviamo e dall’altro per reperire un senso per la nostra esistenza e quindi delle buone ragioni per vivere in accordo con noi stessi? Se questa seconda ipotesi è vera, perché non prendere in considerazione una "terapia delle idee"? Alla mente le idee piacciono, anzi la mente ne ha di continuo bisogno, ne chiede di fresche, non per ritardare il declino delle funzioni cerebrali, visto che le idee non sono semplici vitamine o utili integratori, ma per comprendere e, se è il caso, cambiare il nostro modo di essere al mondo che le idee determinano e condizionano. Ma chi si prende cura delle idee oggi che le chiese sono deserte, gli insegnamenti filosofici si sono ritirati nella quiete delle aule accademiche, le pratiche psicoanalitiche hanno perso il loro referente, ossia la realtà, dal cui esame si individua per scostamento la nevrosi? Senza religione, senza filosofia, senza psicoanalisi, a trarre profitto è l’industria farmaceutica che seda l’anima e riduce l’inquietudine dell’individuo. Un’inquietudine che ha cambiato forma. Non più generata dal conflitto interiore tra passioni e ragione che, su larga o su piccola scala, era stato il campo di gioco dei riti religiosi e delle cure psicoanalitiche, il conflitto tra la propria visione del mondo e il modo in cui oggi accade il mondo. Un mondo che consegna all’individuo il senso della sua radicale impotenza. Infatti cos’è mai la mia vita e la mia realtà se la prima non è più scandita dalle dinamiche della mia esistenza e la seconda da quello spessore stabile e concreto su cui finora era possibile misurarsi, se l’una e l’altra si sono dissolte e volatilizzate in quegli unici misuratori di tutte le misure che sono la giovinezza, la bellezza, il successo, il denaro, i nuovi valori da vendere? è collassata la realtà come la tradizione ce l’aveva fatta conoscere e la nostra mente, che nella realtà aveva la sua misura sia per il suo equilibrio, sia per il suo squilibrio, non ha più referente. Il lettino psicoanalitico, ultima metafora del raccoglimento prima religioso e poi filosofico, è vuoto, e le parole che giungono alle spalle degli ultimi pazienti ancora sdraiati sono parole fuori dal mondo, perché vanno a cercare l’origine del dolore esclusivamente nella patologia e nella biografia, mentre oggi sono la geografia e la storia a disanimare l’anima, a istillare sussulti d’angoscia. L’individuo, nozione nata in Occidente con il concetto di anima, su cui l’Occidente ha costruito la sua cultura nella forma dei diritti e delle libertà individuali, non ha più molto senso se in gioco è l’indifferenza per la vita in generale, la sua sprecabilità, la sua inincidenza nell’andamento truculento del mondo. Il passato, in cui la psicoanalisi fa i suoi affondi per reperire le trame del disagio, è diventato così antiquato, diverso, quasi archeologico rispetto al presente, da non offrire nessuna chiave di lettura per riorientare l’anima nell’indecifrabilità dell’oggi, dove tutte le chiavi di lettura si sono perse nel disordine del mondo. Il futuro poi ci è stato semplicemente tolto, sia quello religioso perché dio è morto, sia quello laico perché la rivoluzione è impossibile, l’utopia è lontana, la scienza progredisce in modo afinalizzato, spiazzando l’etica su cui avevamo costruito le nostre regole di condotta e conosciuto le nostre deroghe. Il futuro-promessa, che alimentava in chiave religiosa la fede nella salvezza e in chiave scientifica il progresso, si è trasformato in futuro-minaccia, e anche l’ipotesi di Freud secondo cui la consapevolezza sarebbe subentrata e avrebbe preso il posto delle forze scatenate e sconvolgenti dell’inconscio (scrive letteralmente Freud: "Dov’era l’es deve subentrare l’io. Questa è l’opera della civiltà") si è rivelato un sogno, una vuota profezia. Per usare una metafora di Umberto Eco, questo può sembrare il discorso tipico degli "apocalittici", ma quale altro discorso è possibile se gli "integrati" hanno trovato il loro rifugio tra i decerebrati a cui la televisione, lo stadio, la moda, lo shopping hanno fornito gli opportuni strumenti di rimozione e di ottundimento di sé. E chi si rifiuta di consegnarsi all’ottundimento, perché ancora dispone di una discreta consapevolezza di sé, a chi si rivolge quando incontra non questo o quel dolore, intorno a cui si affollano le psicoterapie, ma quell’essenza del dolore che è l’irreperibilità di un senso? Qui le psicoterapie non servono perché non è "patologico", come si vorrebbe far credere, porsi domande, sottoporre a verifica le proprie idee, prendere in esame la propria visione del mondo per vedere quanto c’è di angusto, di ristretto, di fossilizzato, di rigido, di coatto, di inidoneo per affrontare i cambiamenti della propria vita e i mutamenti così rapidi e imprevisti del mondo. Se non tutto il dolore è patologia, una risposta a questo genere di sofferenza e di disagio, meglio della psicoterapia, la può dare la filosofia, nata in Grecia nel V secolo a. C. non solo come conoscenza, ma come pratica di vita. Tali erano le scuole filosofiche greche prima che la filosofia, amputando se stessa, si disinteressasse della vita e divenisse solo conoscenza teorica, assestandosi su un terreno che oggi le scienze di giorno in giorno erodono. Nessuno di noi abita il mondo, ma esclusivamente la propria visione del mondo. E non è reperibile un senso della nostra esistenza se prima non perveniamo a una chiarificazione della nostra visione del mondo, responsabile del nostro modo di pensare e di agire, di gioire e di soffrire. Questa chiarificazione non è una faccenda di psicoterapia. Chi chiede una consulenza filosofica non è "malato", è solo alla ricerca di un senso. E dove è reperibile un senso, anzi il senso che, sotterraneo e ignorato, percorre la propria vita a nostra insaputa se non in quelle proposte di senso in cui propriamente consiste la filosofia e la sua storia? Fu così che nel 1981 il filosofo tedesco Gerd Achenbach aprì in Germania il primo studio di Consulenza filosofica, a cui seguì la fondazione di una Società per la pratica filosofica, divenuta poi internazionale per la sua diffusione in Olanda, Francia, Stati Uniti, Israele. Nel 1999 sorge anche in Italia l’Associazione Italiana di counseling filosofico, si traducono i libri di Pierre Hadot, Esercizi spirituali e filosofia antica e di Lou Marinoff, Platone è meglio del Prozac e Le pillole di Aristotele che avvicinano il grande pubblico alla figura del filosofo che si occupa degli individui senza proporsi come "terapeuta". Nel 2003 la Facoltà di Scienza della formazione dell’università di Catania promuove il primo Convegno di studi sulle pratiche filosofiche, mentre l’università di Venezia ha allestito un primo corso entro un più generale progetto sulle pratiche filosofiche che prevede anche l’istituzione di un master sulla materia. L’ospedale torinese Le Molinette ha affiancato un consulente filosofico allo psicologo in uno sportello d’ascolto per i propri dipendenti, mentre il Quartiere 4 del Comune di Firenze ha istituito un servizio pubblico di consulenza filosofica come ampliamento dell’offerta di servizi sociali ai cittadini. A questo punto serviva una letteratura sulla consulenza filosofica un po’più seria di quella diffusa al grande pubblico dai libri di Marinoff. E a ciò hanno provveduto l’editore Bruno Mondadori con la pubblicazione del libro di Romano Madera e Luigi Vero Tarca, La filosofia come stile di vita. Introduzione alle pratiche filosofiche, e in maniera sistematica l’editrice Apogeo che mi ha affidato la direzione di una collana di Pratiche filosofiche di cui in questi giorni sono usciti i primi tre volumi di Gerd Achenbach - La consulenza filosofica -, di Ran Lahav - Comprendere la vita - e di Neri Pollastri - Il pensiero e la vita - che è la guida più completa, oggi esistente, alla consulenza e alle pratiche filosofiche, di cui consiglio vivamente la lettura a quanti sentono un "bisogno di filosofia" o si sono persuasi, come ammonisce Platone, che "una vita che non mette se stessa alla prova, non è degna di essere vissuta". Sarà per questo che Socrate diceva di sé: "Non faccio nient’altro che andare in giro a persuadervi, giovani e vecchi, a capire che la vostra prima e maggiore preoccupazione non deve riguardare il vostro corpo o le vostre ricchezze ma la vostra anima, in modo che sia la più eccellente possibile". Per chi ha simili aspirazioni, che sono poi le aspirazioni che dovrebbe avere ogni uomo che voglia essere all’altezza della sua natura pensante, l’incontro con la consulenza filosofica potrebbe essere l’occasione che lo differenzia, che lo porta all’altezza della sua vita, nell’ottundimento del mondo.

Umberto Galimberti

Umberto Galimberti, nato a Monza nel 1942, è stato dal 1976 professore incaricato di Antropologia Culturale e dal 1983 professore associato di Filosofia della Storia. Dal 1999 è professore ordinario …