Eva Cantarella: Atlantide e l’arca di Noè: gli tsunami dell’antichità

28 Dicembre 2004
"Dapprima - raccontava il vecchio sacerdote - si erano verificati terremoti e sconvolgimenti. Poi, nel breve corso di un giorno e una notte, un cataclisma di indicibili proporzioni inghiottì la terra e gli abitanti di Atlantide. Sepolta dalle acque, l’isola sprofondò nel mare. È per questo che ancor oggi quella parte del mare è impraticabile e inesplorata, a causa dell’enorme deposito di fango formatosi sul fondo dell’isola, quando questa si è adagiata sul fondale". Così raccontava il sacerdote, e Solone ascoltava: recatosi in Egitto, voleva conoscere le più antiche storie del mondo. E il sacerdote stava raccontandogliene una, antichissima, la storia di una civiltà scomparsa, distrutta da un’onda gigantesca, che aveva fatto sparire, per sempre, le tracce di una meravigliosa civiltà, la cui storia era stata legata a quella di Atene. Ma gli ateniesi, disse il sacerdote, non ne avevano più memoria, non sapevano più che 9000 anni prima la loro città era stata forte, gloriosa, giusta, una città dalle istituzioni perfette. Senonché, verso Occidente, al di là delle Colonne d’Ercole (il nome che gli antichi davano allo stretto di Gibilterra) esisteva un’isola su cui dominava una potenza violenta, che minacciava di sottometterli. Questa potenza era Atlantide, che aveva già conquistato parte del continente africano ed europeo. Ma a coloro che governavano l’isola questo non bastava: volevano il territorio greco. Alla minaccia solo Atene si era opposta, riuscendo a sconfiggere il nemico. I Greci, che mai erano stati schiavi, avevano mantenuto la loro libertà. Senonché, un giorno, era accaduto quel che il sacerdote aveva appena terminato di raccontare: terremoti, cataclismi, Atlantide era stata inghiottita dal mare (Platone, Timeo 23c-25d). Più esattamente, da uno tsunami. Questo, ovviamente, non ce lo dice Platone, che mitizza la storia collocando Atlantide in un luogo lontano, per i greci praticamente oltre i confini del mondo. Nella realtà, invece, secondo un’ipotesi accolta da famosi studiosi, Atlantide si trovava nel Mediterraneo. Più precisamente era l’isola di Creta, o, secondo alcuni, la vicina Thera (oggi Santorini): le isole nelle quali fiorì la splendida civiltà minoica, che i greci antichi avevano dimenticato, e che - riscoperta nel secolo scorso, grazie agli scavi condotti da Arthur Evans - si rivelò così splendida da indurre quasi inevitabilmente a pensare ad Atlantide. Accolta con entusiasmo dalla stampa, l’ipotesi fu accreditata dalle ricerche condotte a partire dal 1939 dell’archeologo greco Spiridion Marinatos. Il racconto di Platone, diceva Marinatos, era una sintesi di tradizioni storiche diverse, e raccontava una catastrofe avvenuta nell’età del Bronzo, quando l’eruzione del vulcano sull’isola di Thera aveva sconvolto il Mediterraneo. Le proporzioni del maremoto provocato da questa eruzione, secondo gli esperti, erano paragonabili solo a quello legato all’eruzione del vulcano Krakatoa, a Giava (il 27 agosto del 1883), seguita da un maremoto che cambiò radicalmente la geografia delle isole circostanti. Attorno al 1400, concluse Marinatos sulla base di questi dati, l’esplosione del vulcano di Santorini aveva determinato la scomparsa della intera civiltà minoica. Il racconto di Platone, insomma, è il racconto - il primo della letteratura occidentale - delle conseguenze di uno tsunami. Ma ci sono altri racconti, molto più antichi, che adombrano catastrofi paragonabili a quella di Atlantide. Sono i racconti dei "diluvi universali". Di uno di questi era a conoscenza anche Solone, che ricorda al sacerdote egiziano la storia di Deucalione e Pirra (poi raccontata da Ovidio, nelle Metamorfosi): una coppia così virtuosa che Zeus, nell’inviare un diluvio per punire i mortali troppo corrotti, aveva deciso di salvare, consentendo loro di trovare riparo su un’arca che Deucalione stesso aveva costruito. La coincidenza con il racconto del diluvio biblico è impressionante: "Nel seicentesimo anno della vita di Noé - racconta la Genesi - il diciassettesimo giorno del secondo mese, tutte le sorgenti delle vaste acque dell’abisso si ruppero e le cateratte dei cieli si aprirono. E sulla terra piovve a dirotto per quaranta giorni e quaranta notti... E le acque inondarono a tal punto la terra che tutti i monti sotto i cieli furono coperti. Così gli uomini empi e violenti, e tutti quelli che non prestarono attenzione all’avvertimento di Dio furono distrutti... Al diluvio sopravvissero soltanto Noè il giusto e la sua famiglia, otto persone in tutto, e un numero limitato di esemplari di ciascuna specie animale, in un’arca immensa, costruita per volere di Dio". Leggende, si disse per tanto tempo. Ma sul finire dell’Ottocento si cominciò a conoscere la traduzione del testo assiro (risalente al terzo millennio a. C.) che raccontava l’epopea di Gilgamesh, e si venne a conoscenza di un altro "diluvio universale": e, ancora una volta, di alcuni giusti, salvati dal dio. I ricordi, stranamente coincidenti, di distruzioni legate alla furia delle acque erano troppi. Se non si trattava di "diluvi universali", doveva trattarsi, comunque, del ricordo mitizzato di eventi catastrofici realmente accaduti. Il vecchio sacerdote egiziano lo aveva detto a Solone: "migliaia e migliaia di esseri umani sono stati distrutti da sciagure causate dalle acque: periodicamente, infatti, gli dei usano l’acqua per purificare il mondo e allora tutti coloro che vivono vicino ai fiumi e ai mari sono travolti e scompaiono tra i flutti". Ahimè, continuano a scomparire. Ma questo non purifica il mondo.

Eva Cantarella

Eva Cantarella ha insegnato Diritto romano e Diritto greco all’Università di Milano ed è global visiting professor alla New York University Law School. Tra le sue opere ricordiamo: Norma e sanzione …