Vittorio Zucconi: In cella il killer del Ku Klux Klan

10 Gennaio 2005
Le braci del Mississippi sembravano fredde, spente sotto la cenere di quarant’anni, ma la fiamma dell’odio razziale che consumò una generazione si rialza e raggiunge l’uomo con il cappuccio che credeva ormai di averla fatta franca. Quarant’anni, appunto, sono passati dal giugno 1964, quando furono uccisi tre studenti, due bianchi e uno nero, calati dal Nord sul Mississippi per aiutare a organizzare la protesta civile. Furono ritrovati cadaveri sotto l’argine di un fiume, i due bianchi uccisi con un colpo di pistola in testa, il nero invece, per schifo e disprezzo, pestato a morte; e tutti, in paese, nella contea, nello stato, sapevano chi era stato il mandante, il cervello, forse anche l’esecutore, Edgar Ray Killen, leader del Ku Klux Klan locale. Ma la giuria bianca rifiutò di condannarlo e Killen tornò libero di predicare il suo odio, di vantare il suo razzismo, di mobilitare i buoni cittadini della contea nella crociata per salvare, proclamava allora e ancora proclama, l’America bianca "dai comunisti che vogliono integrare bianchi e neri". Fino a ieri, quando una nuova giuria fatta dai figli di coloro che lo liberarono ha autorizzato la procura dello Stato a riarrestarlo e processarlo. E il Mississippi brucia ancora. Nella fornace umana e morale degli anni '60, quando le fiamme dell’integrazione razziale, dei diritti civili, della ribellione, ardevano ovunque fino a divorare i piccoli come i tre studenti in Mississippi e i grandi come i Kennedy o Martin Luther King, nessun incendio abbagliò la nazione come il caso della contea di Neshoba e dei tre attivisti desaparecidos. Michael Schwerner, Andrew Goodman e James Earl Chaney erano arrivati da Chicago a Neshoba, in Mississippi, per organizzare la gente di colore, iscriverla alle liste di voto, educarla in scuole improvvisate, tenendo lezioni di educazione civica e di diritti costituzionali. Un pugno nello stomaco dei ‟good old boys”, dei bravi ragazzi bianchi per i quali, in quel sottofondo del Sud più profondo, ‟once a slave always a slave”, schiavo una volta, schiavo per sempre e la guerra di Secessione, l’abolizione della schiavitù, le nuove leggi anti-discriminazione erano passate come l’acqua del fiume padre, del Mississippi, nelle paludi e nelle marcite del Delta, senza lasciare traccia. Il "Klan", come lo si chiama da quelle parti, si assunse la sacra responsabilità di fermare l’infezione, con la propaganda, con le lugubri sceneggiate intimidatorie delle croci bruciate e dei pestaggi e, nei casi estremi, con l’eliminazione fisica dei "comunisti", che ovviamente comunisti non erano affatto, scesi dal Nord per stravolgere "la nostra comunità e i nostri valori tradizionale", come Edgar Ray Killen, allora giovane predicatore battista, concionava dietro il cappuccio appuntito ai raduni del KKK. E quando il trio di Schwerner, un ebreo, Goodman, un cristiano e Chaney, un nero, aprirono nella sua contea una scuola volante per insegnare a leggere e scrivere ai bambini dei braccianti neri, la spada del Klan colpì. Nella fornace del tempo, questo delitto sarebbe potuto anche passare inosservato e divenne invece un caso nazionale. Da Washington, il successore di Kennedy, Lyndon B Johnson, mobilitò lo Fbi, che si abbatté sui languidi, corpulenti e spesso complici sceriffi locali per cercare prima i corpi e poi i colpevoli. In sequenze da Calde Notti dell’Ispettore Tibbs, un altro film esemplare di quei climi come poi Mississippi Burning con la storia romanzata dei tre attivisti uccisi, l’omertà e la complicità della gente furono scosse e spezzate, quando uno degli assassini confessò e denunciò gli altri. Le prove erano di ferro, ma nell’aula del processo una foto dell’epoca mostra uno dei principali imputati, lo sceriffo della contea, Lawrence Rainey, che ride stravaccato su una poltrona masticando serenamente tabacco "Red Indian", indiano rosso, sapendo già quello che sarebbe accaduto. La giuria, 12 abitanti della contea, nel 1967 condannò sette dei 18 imputati a pochi anni di carcere con la condizionale per il reato minore di "violazione dei diritti civili" dei morti ammazzati, l’equivalente di una condanna per mobbing a un uomo che sgozzi una donna dopo averla violentata. Gli sceriffi furono assolti e Killen, il capo del Klan locale, fu liberato perché la giuria non riuscì ad accordarsi su un verdetto. Uscì come un messia salvato dalle grinfie degli infedeli. Per 40 anni, anziché dare segni di riflessione e di maturazione, Killen ha continuato a vivere nella certezza di avere combattuto la battaglia giusta e di doverla combattere fino alla morte. Ha dato interviste, partecipato a fiere e sagre di paese nel Mississippi ripetendo che "integrazione uguale comunismo", fino ad accusare lo stesso George Bush di essere un uomo di sinistra travestito da conservatore, un’accusa che sorprenderebbe il Presidente, per il suo non voler annullare o cambiare le leggi sui diritti civili della minoranze ereditate, appunto, da "comunisti" come Kennedy, Johnson, Reagan e Clinton. Ha seppellito una moglie. È sopravvissuto al cancro. Vive delle offerte dei seguaci che ancora lo ammirano e lo sovvenzionano. E nei giorni scorsi ha avuto la conferma che "il complotto comunista contro l’America bianca di Dio", come dice lui, non si placa. In una umanissima ed edificante storia di contrappasso storico, un gruppo di studenti di giurisprudenza proprio di Chicago, la città dalla quale vennero i tre giovanotti uccisi 40 anno or sono, ha riaperto il caso, rivisitato gli atti del processo, riesaminato le prove, per un progetto scolastico simile a quello che proprio a Chicago salvò la vita a condannati a morte risultati innocenti. Hanno trovato appoggio nel nuovo, giovane direttore del quotidiano locale della contea, che ha riaperto la campagna per la giustizia e il procuratore generale del Mississippi, Jim Hood, ha ottenuto da una giuria popolare una nuova incriminazione per assassinio premeditato e plurimo. Magrissimo e fragile, nel suoi 79 anni acciaccati, il profeta del KKK è stato pubblicamente ammanettato e portato dentro, vestito nella tuta arancione dei carcerati troppo larga per lui, sotto gli sguardi dei cittadini di Philadelphia, il paesotto del Mississippi dove vive. Questa volta, a differenza di 40 anni fa, nessuno lo ha applaudito, nessuno ha gridato insulti agli agenti e nessuno sceriffo ha ridacchiato masticando tabacco "Indiano Rosso". Almeno questo incendio, fra tanti nuovi che scoppiano, sta forse per essere domato per sempre.

Vittorio Zucconi

Vittorio Zucconi (1944-2019), giornalista e scrittore, è stato condirettore di repubblica.it e direttore di Radio Capital, dove ha condotto TG Zero. Dopo aver cominciato nel 1963 come cronista precario a …