Umberto Galimberti: Un filosofo dell’azione. La scomparsa di Nicola Badaloni

24 Gennaio 2005
Ogni tanto si incontrano filosofi a cui la disciplina, nella sua formulazione scolastica e professionale, va stretta, e allora, senza rinunciarvi, sfondano gli argini e mettono il loro sapere nella vita sociale per interpretarla, scavarla, coglierla nei suoi vincoli e condizionamenti, onde poter individuare vie di liberazione e quindi di emancipazione individuale e sociale. Uno di questi filosofi è stato Nicola Badaloni scomparso ieri a Livorno dove era nato. A lui gli amici e gli allievi del Dipartimento di filosofia dell’Università di Pisa, solo un mese fa, gli avevano fatto omaggio di una raccolta di suoi saggi: Inquietudini e fermenti di libertà nel Rinascimento italiano, in occasione del suo ottantesimo compleanno. La filosofia italiana dal Rinascimento a oggi è stato il grande campo di lavoro di Nicola Badaloni. La sua ricostruzione differisce radicalmente da quella di Gentile e anche da quella di Garin, per l’attenzione rivolta non solo alla storia delle idee, ma a quel mondo della vita, attraversato da passioni e da conflitti sociali, di cui molto spesso le idee sono figlie, capaci di sprigionare visioni del mondo che condizionano la storia e meglio consentono di intenderla. Lo storicismo, infatti non era per Badaloni una "teoria della storia", come lo era per Gentile e per la cultura idealistica da lui scaturita, ma, ce lo ricorda Remo Bodei nell’Introduzione alla citata raccolta degli scritti di Badaloni, una sorta di filosofia della "ragione impura", che tiene conto delle imperfezioni e delle possibilità del mondo che di solito l’astrazione delle idee trascura. E in questo trascurare c’è la rimozione della concretezza che, come vuole il suo significato etimologico, deriva dal verbo "concrescere" che indica ciò che cresce insieme ad altro, insieme alle condizioni materiali che ispessiscono e densificano le idee, evitando di diventare idee esangui. Questo modo di fare filosofia, che ha trovato le sue espressioni più grandi in Marx e da noi in Gramsci, a cui Badaloni ha dedicato diversi saggi tra cui ricordiamo: Per il comunismo. Questioni di teoria (1972), Il marxismo di Gramsci (1975), Marx e la ricerca della libertà comunista (1978), Dialettica del capitale (1980), Gramsci: la filosofia della prassi (1981), Forme della politica e teoria del cambiamento (1983), questo mondo "concreto" di far filosofia Badaloni lo individua come tratto tipico della filosofia italiana, a partire da Campanella (a cui ha dedicato il volume Tommaso Campanella del 1965) che per il suo impegno politico, oltre che per le sue idee, passò trent’anni della sua vita nelle prigioni ecclesiastiche. Concreta e non solo visionaria era anche la filosofia di Bruno (a cui Badaloni ha dedicato diversi saggi che vanno dal 1955 al 1994). Un Bruno che difende la libertà religiosa e la libertà di coscienza contro l’intransigenza di una Chiesa che lo metterà al rogo. Lo stesso dicasi di Galileo di cui Badaloni mette in evidenza la grande attenzione dello scienziato per la coscienza comune che bisogna educare alla nuova scienza, contro le resistenze ecclesiastiche che, a quanto pare, a sentir le cronache di questi giorni, perdurano indefesse. E poi Vico (oggetto della tesi di laurea con Cesare Luporini nel 1945) che della storia aveva fatto la sua filosofia, convinto com’era che le idee nascessero dalle contingenze storiche, quindi idee grondanti di materia, più amiche della contingenza che della verità, la quale, guardata da vicino, non è mai eterna, ma sempre filia temporis. E il tempo di Badaloni era il tempo del fascismo e della resistenza, a cui il filosofo prese parte con il nome di "Marco". Dopo la guerra divenne sindaco di Livorno dal 1954 al 1966, quindi presidente dell’Istituto Gramsci e Preside della facoltà di lettere di Pisa negli anni duri del movimento studentesco e del terrorismo. Al fianco di Pietro Ingrao nel Partito comunista, Badaloni cercò sempre la sintesi tra solidarietà sociale e libertà dell’individuo, che è reperibile alla sola condizione che non si considerino le leggi economiche come un immutabile perché, se così fosse, alla libertà e alla democrazia non resterebbero che quegli esigui margini che le leggi di mercato, bontà loro, concedono. Questa è la cifra di Badaloni che negli ultimi anni della sua vita insistette molto sulla necessità di perforare quegli incondizionati che sono per Marx l’economia, per Nietzsche la volontà di potenza, per Freud l’inconscio, non per negarli, ma per ridurne l’ineluttabilità e, attraverso la coscienza e la buona volontà, per condizionarli in maniera che la libertà dell’uomo possa affermarsi sempre di più contro quelle forze anonime che Marx, Nietzsche e Freud hanno avuto il merito di segnalare.

Umberto Galimberti

Umberto Galimberti, nato a Monza nel 1942, è stato dal 1976 professore incaricato di Antropologia Culturale e dal 1983 professore associato di Filosofia della Storia. Dal 1999 è professore ordinario …