Vittorio Zucconi: Usa in Iraq, due morti al giorno

04 Marzo 2005
La vittoria continua a uccidere. La missione di pace continua a essere guerra. Il calvario della "meglio gioventù" americana ha superato ieri, nei calcoli sempre prudenti del Pentagono, la cifra simbolica di quota 1.500.
Sono 1.502 caduti, da quel 20 marzo di due anni or sono quando le colonne dell´invasione mossero dal Kuwait verso Bagdad, per snidare e distruggere arsenali che non c´erano.
Sono due morti al giorno e quindici feriti in media. La guerra è vinta. La pace finta uccide.
Come accade puntualmente da quel 20 marzo 2003, i momenti di ottimismo e di speranza, come la facile caduta di Bagdad, lo squagliamento dell´esercito iracheno, l´annuncio di "missione compiuta" fatto da Bush, la cattura di Saddam, le prime elezioni, i segnali di disgelo nel ghiacciaio delle autocrazie regionali, vanno a infrangersi contro la realtà della pace che uccide. Mille e cinquecento soldati ammazzati, seimila feriti disabili e mutilati, cinquemila feriti leggeri, e decine di migliaia di soldati, poliziotti e civili iracheni massacrati da un nemico implacabile e sempre sottovalutato, sono cifre da battaglie di altri tempi che la nuova guerra "high tech" con i suoi gadget intelligenti aveva promesso di rendere obsolete. Nella prima guerra del Golfo, quella del 1990-91 per sloggiare Saddam Hussein dal Kuwait, erano morti 320 soldati americani, molti dei quali sepolti sotto le rovine di una caserma casualmente colpita da un missile "Scud".
E soltanto la somministrazione di caduti in piccole dosi omeopatiche a rendere ancora tollerabile per l´organismo America un bilancio che ormai avvicina le proporzioni di una strage. Mille e cinquecento cittadini americani in uniforme uccisi sono una quantità che avrebbe inorridito l´opinione pubblica, se George Bush, Donald Rumsfeld e i teorici della guerra preventiva per "risparmiare vite" l´avessero preannunciata o prevista. Neppure i pessimisti, come l´ex capo di stato maggiore generale Shinseki che in udienza parlamentare aveva capito le enormi difficoltà dell´occupazione e perse il posto, avevano immaginato che dopo due anni di combattimento, con 150 mila truppe americane e trentamila alleate, meno Ukraini e Polacchi, gli ultimi a ripensarci, l´emorragia di vite sarebbe continuata, nella evidente incapacità di controllare il proprio territorio. In un suo editoriale sul ‟New York Times”, poco dopo l´inizio della guerra, uno dei massimi tifosi della guerra, il columnist William Safire, aveva scritto che la eliminazione di Saddam e la democratizzazione in punta di baionetta dell´Iraq sarebbe state imprese necessarie e giustificabili, "anche se ci costassero mille morti". Era stato largo, Safire, ma anche quella pietra tombale è stata scavalcata di slancio.
Mille e 500 caduti, senza contare gli iracheni uccisi negli attentati del terrorismo all´ingrosso e nei danni collaterali delle operazioni militari, sono la metà del numero di americani e di stranieri uccisi nel cratere delle Torri Gemelle. Sono la quantità di perdite belliche più alta dal Vietnam, anche se neppure il Vietnam bruciò tante vite nei primi due anni di presenza americana in Indocina. E se le dosi omeopatiche ancora non sembrano scuotere l´opinione pubblica, certamente esse pesano nell´atteggiamento di questa amministrazione, costretta ad acrobazie di spiegamento e rotazione con le unità regolari, i riservisti e la Guardia Nazionale per mantenere quei 150 mila al fronte e spiega quel nuovo atteggiamento esibito dal Presidente nel suo passaggio in Europa, quello che il fedele Toni Blair ha capito, riconoscendo la "positiva evoluzione" di Washington.
Ma scuotono invece la grande famiglia dell´America in uniforme, che ammirevolmente regge alla incompetenza, alla impreparazione, alla vulnerabilità e dunque al rischio immenso che il fronte presenta, ma non è più quel blocco marmoreo che ci veniva descritto due anni or sono. I dati sul deficit di reclutamento dei corpi più fragili, come la "Guardia Nazionale" e la "Riserva" e addirittura i marines, i "sempre fedeli", dicono che qualcosa sta cedendo. I marines, che sono il 13 per cento delle truppe al fronte, hanno dato il 21% dei caduti. Sempre fedeli e sempre in prima linea.
Ignorati dalla grande stampa e soprattutto dalle reti tv, parenti e amici di soldati al fronte o di soldati tornati a casa nelle bare scaricate quotidianamente e alla chetichella nella base aerea di Dover, nel Delaware, organizzano piccole, patetiche manifestazioni di protesta, mentre anche soldati insospettabili di codardia o di pacifismo segnalano la propria inquietudine. Lo scorso anno, quello della vittoria e della missione "compiuta" 61 soldati, originariamente volontari come tutti i militari Usa, si sono dichiarati obbiettori di coscienza, rifiutandosi di partire.
In queste ore, si prepara la Corte Marziale per il sergente Kevin Benderman, quarantenne veterano di dieci anni nella fanteria corazzata, che proprio nell´aprile di due anni or sono entrò con il suo "Bradley" a Bagdad. Richiamato per un secondo turno, ha "disertato", secondo l´accusa, ha "visto la verità", secondo le sue parole. "Mi sono persuaso che la guerra non è la soluzione a nulla, è soltanto il peggio di quanto l´umanità sappia fare. Ho visto bambini con le braccia carbonizzate dalle nostre armi, che ci guardavano passare via sui nostri carri, chiedendoci in silenzio un aiuto che noi non potevamo dare. Molti miei compagni la pensano ormai cosi, ma non osano dirlo". Come quei 1502 che non potranno più protestare.

Vittorio Zucconi

Vittorio Zucconi (1944-2019), giornalista e scrittore, è stato condirettore di repubblica.it e direttore di Radio Capital, dove ha condotto TG Zero. Dopo aver cominciato nel 1963 come cronista precario a …