Michele Serra: Rifugiarsi nel complotto

09 Marzo 2005
Ora che le emozioni forti vanno decantandosi, salutato l´uomo di Stato Nicola Calipari e riabbracciata Giuliana Sgrena, non va perduta l´occasione di riflettere, anche duramente, sulla facilità sconcertante, da riflesso pavloviano, con la quale si è diffusa a sinistra, già nelle ore successive ai fatti, la tesi dell´agguato e/o del complotto per ‟far tacere Giuliana”.
Ha scritto Adriano Sofri, con precisione e cuore, che già l´ipotesi di un "fuoco amico" accidentale, e orribilmente disinvolto, basta e avanza a ferire a morte il senso di giustizia, nonché a gettare ulteriore cattiva luce (la luce che merita) sulla logica di guerra. Perché, dunque, imbellettare questa ferita forte, e vera, con il sangue finto e inverosimile del teatrino dietrologico, della verità precostituita?
Possibile che un comfort ideologico di pronto effetto, come quello che stramaledice l´America a prescindere, e la fa consapevole mostro piuttosto che (come è) maldestra e ingombrante fino al disastro, funzioni ancora, per parecchie coscienze di sinistra, più della prudenza intellettuale, più del rigore critico, più del faticoso e famoso amore per la verità?
Sì, è possibile, se è vero che la voce del complotto politico ha avuto, a caldo, una fortuna largamente superiore alla sua verosimiglianza. Tra l´altro, per uno di quegli sgradevoli paradossi che scaturiscono dal dogmatismo ideologico, questa tesi ha grandemente soddisfatto i filoamericani a prescindere, quelli che "la guerra è guerra, non facciamo tante storie", ai quali non è parso vero poter liquidare l´ennesima, oscena sparatoria di Bagdad come una fatalità volgarmente strumentalizzata dagli "amici dei terroristi". E proprio in un momento di evidente, clamorosa difficoltà di chi sostiene che il prezzo della guerra è comunque da pagare, il mugugno "complottista" ha grandemente impoverito le ragioni evidenti di chi accusa la guerra irachena di avere innescato caos e distruzione, instabilità politica e sangue a fiumi.
Ovviamente, solo i distratti o i faziosi possono ignorare che, specie nel nostro Paese, la scia dei misteri di Stato, delle menzogne ufficiali, dei depistaggi pelosi perfino a fronte di stragi abominevoli, è lunga quanto la nostra storia recente. Che la Cia non è una leggenda metropolitana, ma un attore decisivo in molte trame. Che la verità è un macigno spesso mai disseppellito. E però, non è proprio la gravità di questa coscienza che dovrebbe suggerire un suo uso accorto, per non svilirla, per non trasformarla in uno slogan per tutte le stagioni, in una macchinetta automatica che produce titoli di giornale e frasi conturbanti ma ostacola, infine, proprio quell´urgenza morale di verità che episodi come questo impongono?
C´è qualcosa di irriflessivo e sventurato, nella facilità consolatoria con la quale a sinistra spesso si rileggono fatti e misfatti alla luce dei propri schemi fissi. È come se ci fosse un traduttore automatico che corregge in senso "grato" ? confermando cioè la bontà immutabile del proprio lessico e della propria grammatica politica ? l´ingrato succedersi degli avvenimenti. Ed è addirittura madornale che perfino l´uccisione di Nicola Calipari, pesantissimo e invincibile capo d´accusa contro il partito del grilletto facile e dell´ordine imposto con qualunque mezzo, anche criminale, abbia rischiato di essere trasformato in caricatura. Fanti ventenni, non si sa se più furiosi o più terrorizzati (ma è poi lo stesso) hanno crivellato di colpi, ultimi di una lunga serie, cittadini italiani appena scampati alla violenza di un sequestro. Questo è quanto sappiamo, e se è ancora pochissimo (e lo è), il molto che manca non verrà certo alla luce per la meccanica attribuzione di colpe, e retropensieri, e raffinati piani di eliminazione, a un esercito invasore che dà un´idea di panico, non certo di efferato raziocinio. Il raziocinio dovrebbe essere, se possibile, di chi si domanda come e quando uscire da quel tritacarne. Se la domanda include risposte preoconfezionate, è del tutto inutile farsela. La verità in tasca (basta leggere quello che scrivono) ce l´hanno già gli amici della guerra. Più che imitarli, sarebbe meglio distinguersi da loro, donando prima di tutto a se stessi la facoltà di ragionare, evitare le scorciatoie, le spiegazioni semplici che infiammano i sentimenti ma annebbiano lo sguardo.

Michele Serra

Michele Serra Errante è nato a Roma nel 1954 ed è cresciuto a Milano. Ha cominciato a scrivere a vent’anni e non ha mai fatto altro per guadagnarsi da vivere. …