Vittorio Zucconi: Sarà in mezzo a due regine il sepolcro di Papa Wojtyla

07 Aprile 2005
L´odore che mi prende al naso è quello forte di pittura fresca, che fa immediatamente famiglia che nasce, speranze e casa nuova e dunque si sprigiona anche da questa, che sarà la nuova casa di Karol Wojtyla. Piccola, modestissima, con le pareti bianche, il pavimento in porfido, qualche sbavatura di vernice sullo zoccolo nero scappata a un imbianchino frettoloso, ha il soffitto basso fatto a volte a crociera e solo una stupenda Madonna quattrocentesca con Bambino e angeli in bassorilievo appesa sulla parete di fondo. La tomba di "Johannes Paulus P. P. II", come dicono le lettere nere incise sulla lastra di marmo bianco che la chiuderà, dove P. P. sta per Papa, è finalmente come lui era e come non sembrava nel trattamento funebre fatto per resistere 5 giorni. È un messaggio di serenità. Un piccolo rustico di campagna tirato a calce, che solo la fossa rettangolare nel mezzo, ricavata nel pavimento, che mi sporgo a vedere sulla punta dei piedi dietro le spalle dei due cerimonieri pontifici, l´arcivescovo Marini e l´altissimo monsignor Camaldo, mentre decidono quali preghiere dire, riporta alla realtà di quel che è.
Un sepolcro fra gli altri 62 sepolcri di Papi sepolti qui nei sotterranei, nelle Grotte di San Pietro.
Ma neppure la fossa nuda e vuota che attende da domani alle due del pomeriggio Giovanni Paolo, Papa II dopo il rito di addio sul sagrato della cattedrale, riesce a opprimere lo spirito di chi prova l´emozione di vederla vuota e da vicino con i propri occhi, quando le Grotte Vaticane sono ormai sigillate e riservate ai cerimonieri e al nuovo Ospite.
Scavata nella terra per un metro e 70 centimetri, ma ormai verniciata e ripulita dai muratori come una piccola piscina bianca, perfettamente rettangolare nelle sue misure di due metri per un metro e mezzo, ricorda una cella di frati, una stanzetta di pensione, un luogo di autentico riposo, con anche una presa di corrente di plastica beige tipo Ticino con presa di terra incastrata un po´ storta nella parete alla destra della fossa, come se l´occupante volesse una sera attaccare una lampada e leggere il breviario prima di dormire. Ci ero arrivato con il timore di sprofondare nel funereo, nel quale la Chiesa Barocca e Ottocentesca si crogiolava con voluttà. Ne uscirò, dopo la mia visita ormai a poche ore dalla tumulazione, potendo dire che la nuova casa di Wojtyla non parla affatto di morte come le statue magniloquenti di Pio VI Braschi in estasi di marmo o come i torvi sarcofagi in bronzo annerito di Benedetto XV Della Chiesa, vicini. Parla di cucina famigliare, di conversazioni affettuose. È addirittura accogliente.
Non per richiesta di Wojtyla, ma forse neppure per caso, questa nicchia dove sarà deposta la bara di legno, zinco e piombo, è infatti quella che ospitò un altro Papa molto caro al suo gregge e molto tenero, Angelo Roncalli, Johannes P. P. XXIII, traslato, misticamente e materialmente, al grado e al livello superiore, tra i Santi e Beati nella basilica di San Pietro. E se il più grande oceano di persone mai visto nella storia di Roma e della Chiesa che sta allagando la città significa qualcosa oltre le emozioni di massa, non ci può essere collocazione più meritata di questa. Essa è fra tutte le reliquie di Papi, la più vicina a quell´altare di San Pietro collocato esattamente sull´asse della tomba romana scoperta dagli scavi con l´iscrizione "Petrus hic est", Pietro sta qui e con le ossa di un vecchio dentro.
Per raggiungerla, per vedere l´abitazione finale di un uomo che per 27 anni aveva vissuto nella magnificenza dei Palazzi Apostolici e per secoli vivrà nei cinque metri per quattro trattati a calce della nicchia, ho percorso il sentiero di marmo in discesa che in 40 metri conduce dalla piazza della chiesa di San Carlo alla fossa spalancata e vuota. Dietro al piccolo gruppo di prelati che discutevano i dettagli della sepoltura, lasciati alla loro discrezione dopo la chiusura delle rigide esequie canoniche, accompagnati da un piccolo monsignore con fascia e zucchetto cremisi che dietro un´età apparentemente giovane nascondeva la memoria istituzionale di quel luogo ("l´ultima volta facemmo così", l´ho sentito dire, dunque nel 1978) sono sceso attraverso le sale archeologiche, fino alla navata centrale delle Grotte, che poi grotte non sono, ma austeri, freschi e ordinatissimi sotterranei. Dopo avere superato il sarcofago di Urbano VI e girato attorno al monumento di Pio Braschi il "Cesenate", come volle fare incidere orgogliosamente sul basamento della propria statua, si piega a sinistra e comincia il breve rettilineo che sarà l´ultimo tragitto sulla terra di Giovanni Paolo II. Almeno fino a quando sarà, come quell´oceano umano che cammina sopra la nostra testa si aspetta, beatificato dal successore.
Lo accoglieranno per primo il piccolo Papa che amava Pinocchio, Luciani, alla sinistra, chiuso in un sarcofago di marmo colorato, quasi troppo grande per lui. Alla destra, in un tuffo all´indietro di secoli, riposa Marcello II Cervini, Papa del tardo ‘500. Di nuovo alla sinistra, ormai arrivati quasi di fronte alla sua casa, dorme un Papa con il quale, nel silenzio delle Grotte dopo la chiusura, Wojtyla potrà dialogare e intendersi, quel Benedetto XV che detestava le "inutili stragi" della Guerra, la Grande Guerra, come le detestava Giovanni Paolo II quando ripeté anche a George Bush il Giovane "lei conosce bene il mio pensiero sulla guerra". A destra, nell´archetipo della modernità e dunque della estrema sobrietà che si è imposta ai Pontefici Romani, è il sepolcro di Paolo VI Montini, simile a quello del Pontefice Polacco, con la pietra tombale in marmo rosso.
Ma prima di arrivare finalmente a destinazione, Wojtyla dovrà ancora faticare un poco e salire tre gradini. Passerà, dopo averli saliti, davanti alle due sole donne che siano sepolte fra i Pontefici maschi, Carlotta Regina di Cipro e Cristina, Regina dei Goti, dei Visigoti e degli Svezii, accanto alle quali finalmente potrà riposare, con due donne a fargli da sentinelle, lui che fu accusato di "anti femminismo" e che invece, come mi rammenterà più tardi uno dei suoi amici e confidenti più cari, Joaquin Navarro-Valls, arrivò a benedire tranquillamente le mogli incinta di seminaristi di rito cattolico orientale, dunque appartenenti alla Chiesa di Roma, in una sua visita in Ungheria. La bara si fermerà qui, calata con le funi nella piccola piscina bianca tagliata su misura, con quattro supporti di legno nei bordi interni, verniciati anch´essi di bianco, a fare da supporto, perché il labbro basso dell´apertura a doppia larghezza era troppo abbondante e si è dovuto restringere con i listelli di fortuna. Il cerimoniere capo, anzi, l´Arcivescovo Maestro delle Celebrazioni Liturgiche Pontificie Piero Marini, come vuole il suo titolo completo, reciterà per un´ultima volta la preghiera del Signore, il "Pater Noster" e poi il lastrone di marmo bianco chiuderà la porta con un tonfo discreto, lasciando i Pontefici e le due sante donne, la regina di Cipro e la regina convertita dei Visigoti alle presentazioni e ai loro dialoghi silenziosi.
Più oltre, Papa Wojtyla non andrà e può darsi che questo gli dispiaccia, perché, superato il cancello di una cappella Mariana (un´altra Donna, dunque, la terza, attorno e quella che lui più adorava, a fargli compagnia, come fino a poche giorni prima lo assistevano le tre Marie Polacche) si arriva subito all´altare di San Pietro, sulla verticale della piccola necropoli circolare formata da tombe sistemate attorno a quelle ossa di vecchio e a quella scritta, "Petrus hic est". Sarebbero pochi passi, una ventina dei miei o forse meno per Wojtyla che da giovane camminava con il passo lungo del montanaro, fino alla vetrina che chiude il luogo più indispensabile della legittimità cattolica e romana, la tomba di Pietro, una distanza divenuta impossibile.
Davanti a quella vetrata, vicinissima e ora lontanissima, su un inginocchiatoio che il fruscio discreto e onnipresente delle suore posava per lui, Giovanni Paolo tornava sempre, dopo ogni viaggio, non importa quale ora della notte o del giorno fosse, o quanto stanco si sentisse. Mentre gli accompagnatori, i prelati, i portaborse, i giornalisti se ne andavano a dormire esausti ("e ora che ci ripenso, mi sento un po´ in colpa, perché anche io lo salutavo e andavo a dormire", mi dirà Navarro Valls che come tutti noi quando perdiamo un padre vorremmo avere ancora un giorno con chi se n´è andato) il Papa si inginocchiava qui davanti al vetro che chiude la cripta di Pietro e pregava, a volte per ore, dimenticando tutto. Un´immagine che mi riporta a quell´affresco del Perugino del Cristo che consegna le chiavi a Pietro, davanti al quale sempre si arrestava, passando nella Cappella Sistina.
Esco dalla grotta dei Papi con l´odore della vernice fresca che mi insegue attraverso sarcofagi enormi di Pontefici non sempre grandi come le loro tombe e di Papi grandi in tombe piccole, come Paolo VI. Via di corsa seguendo le sottane nere dei prelati che hanno deciso gli ultimi dettagli e ai funerali hanno sempre fretta, e ora volano via verso la luce della Piazza che il 18 aprile prossimo diventerà parte del Vaticano "sotto chiave", del Conclave, perché divide la Basilica dall´ostello di Santa Marta, dove i 117 cardinali elettori saranno rinchiusi. Un po´ nascosto, nell´ombra dei riflettori incassati nei soffitti che illuminano le antiche tombe e la casa nuova di Wojtyla, vedo in disparte il muratore, colui che ha imbiancato e un po´ sbavato lo zoccolo attorno alla pietra sepolcrale. È o stesso che già scavò e finì la tomba gemella di Papa Montini 27 anni or sono e quella sua tuta un po´ schizzata di vernice, quell´odore appiccicoso ma rassicurante di muratori al lavoro, danno anche ai meno mistici fra di noi, la sensazione finale di che cosa sia la Chiesa Cattolica Romana. Un eterno cantiere.

Vittorio Zucconi

Vittorio Zucconi (1944-2019), giornalista e scrittore, è stato condirettore di repubblica.it e direttore di Radio Capital, dove ha condotto TG Zero. Dopo aver cominciato nel 1963 come cronista precario a …