Vittorio Zucconi: Tra le vesti scomposte dal vento il volto del nuovo Pontefice

11 Aprile 2005
Tra di loro ce n´è uno che guarda il proprio funerale, ma ancora non lo sa. Un uomo che sarà Papa e un giorno verrà chiuso in quella stessa cassa di cipresso poggiata sul marmo, benedetto dallo stessa cortina di seta rossa dalla quale oggi è circondato. Visti da una finestra della piazza che ieri non aveva confini, i 160 cardinali di Santa Romana Chiesa presenti formano un mar rosso vivente che le raffiche di vento cercano di dividere e scompigliare con rabbia, gonfiando sottane e palli; facendo volare via la mitra e lo zucchetto a un cardinale africano che resterà a capo scoperto; strappando a un coadiutore il parasole bianco sotto il quale Deskur, cardinal Andrzej Maria, il grande amico polacco dell´uomo nella bara, aveva riparato la propria infermità in carrozzella, ma il vento alla fine perde il duello contro le eminenze. Perché quel mare umano, anche se spesso fatto di vegliardi fragilissimi, oggi è un oceano formidabile che riempie il vuoto della Chiesa.
E se, come credono i milioni di occhi che li scrutano, le porte dell´Inferno ‟non praevalebunt” su di loro, non sarà una folata di vento ad abbatterli.
Guardo il potere, la magnificenza, la vanità, la gloria del corpo cardinalizio al completo, trionfante davanti alla modestia di quella cassetta. Osservo i principi di Santa Romana Chiesa osservare se stessi in quella funzione, celebrare tutti insieme un rito d´addio che è solo un rito di passaggio, sopra un traghetto temporale che i 117 elettori fra di loro devono pilotare verso l´apoteosi del Papato e poi un´altra Messa funebre come questa.
Sappiamo, come sanno benissimo loro, che uno tra quelli ha già il viso del successore di Giovanni Paolo II. Li osserviamo con i binocoli dalle balconate della Piazza e con i teleobiettivi nella speranza assurda che un gesto, un´espressione, un´occhiata più lunga durante la processione finale accanto alla cassa di cipresso, tradisca il segreto del Conclave. Ma il solo che vedo soffermarsi un istante più degli altri e guardare di sottecchi la bara è un Cardinale che avrebbe le virtù e la popolarità, ma non i voti, per essere Papa, Carlo Maria Martini. Se non fosse per il vento diabolico, e stupendamente barocco, che agita il mare di rosso e li costringe occasionalmente a gesti umani, i principi sembrerebbero pietra nella pietra.
Joseph Ratzinger, chiamato a celebrare la Messa funebre in un onore che in altri mondi meno spirituali sarebbe parsa l´unzione formale di un successore, è un monumento alla sua fama di guardiano stoico e inflessibile della Fede.
Alza gli occhi solo nei momenti dell´elevazione del calice e del pane, non finge estasi né commozioni pubbliche, e nella sua omelia, breve, intensa, un quarto d´ora, poco tempo nella incomparabile solennità dell´evento, quell´accento così teutonico fa rimpiangere i commoventi e generosi strafalcioni iniziali del defunto che egli commemora.
Mentre parla ci si volta istintivamente verso la strada, verso l´onda umana che preme da via della Conciliazione verso il Tevere e oltre, nella Roma troppo vuota e troppo piena, per invocare la santificazione dell´uomo nella cassetta. E viene naturale chiedersi se tanti milioni di uomini e donne accetterebbero quel calvario, e scatenerebbero tanta passione, per dare l´addio a lui, come ora a Wojtyla.
Ai suoi fianchi, ai due lati dell´altare, due cardinali venuti dal mondo lontano siedono accanto come volessero puntellare la loro speranza che la Chiesa Romana guardi finalmente oltre i confini dell´Europa, a quell´Asia dove il cristianesimo ha una ben flebile presenza e a quel mondo dell´America a sud della frontiera dove la Cattolicità ancora si espande, grazie alla demografia. Sono Ivan Dias, il cardinale di Mombay, ieri Bombay, avanguardia di Roma in Asia, nascosto dietro le proprie enormi lenti da miope e il Salesiano Oscar Rodriguez Maradiaga, con la sua faccia così distante con i richiami ai tratti somatici degli Indio honduregni, dagli archetipi vaticani scrostati, ma non demoliti, dal Papa polacco.
Due file più dietro, il Patriarca di Venezia, Angelo Scola, si tiene il mento tra l´indice e il pollice, testa piegata sul petto, come se il sospetto di essere tra i possibili lo appesantisse di colpo. Sembrano più sollevati coloro ai quali nessuno dà possibilità, Martini, troppo "progressista", qualunque cosa questo strano anatema significhi, e autoesiliato nei propri studi biblici a Gerusalemme. Ha una mitra di taglia un po´ troppo larga in testa, che gli cala sulle sopracciglia e sembra assorto in altri pensieri che l´ansia, o l´ambizione, di assistere al proprio trionfo e al proprio funerale di Papa. O i cardinali africani, alcuni con occhiali da sole scuri, disinvoltamente sportivi in quella liturgia triste, ma non lugubre, che il celebrante cardinale Ratzinger tiene, saggiamente, più breve delle tre ore previste, con una stringatezza che, semmai diventasse Pontefice, dovrebbe imporre a parroci troppo prolissi per le nostre vite frettolose.
Christoph Schoenborn, il domenicano cardinale di Vienna, è tra i più attenti e vivaci, anche perché tra i più giovani nei suoi verdissimi 60 anni appena compiuti. Si sporge in avanti sotto il pallio cardinalizio rosso senza neppure doversi preoccupare della mitra che gli calza perfettamente in testa e non si muove mai. Avrebbe lo stesso accento di Ratzinger, se dovesse parlare dalla loggia di San Pietro dopo il gaudium magnum, ma ha un altro tratto, un´altra comunicativa, ed è l´unico tra i cardinali che mi sembri guardare con trasporto la folla che deve accontentarsi di guardare il coro dei principi della Chiesa, non potendo vedere la bara sistemata troppo bassa perché sia visibile al popolo. Troppo sereno, il domenicano, probabilmente perché, dopo essere stato indicato come la nuova generazione destinata a ereditare le "Chavi del Regno" da Wojtyla, il suo essere nato in Boemia, dunque europeo centroorientale come il polacco, pare militargli contro.
Dionigi Tettamanzi gli siede accanto, affondato dentro la veste come se volesse proteggersi e rifugiarsi dentro quella tenda rossa, un po´ cupo. Sa di essere uno dei favoriti, almeno nella pratica empietà dei bookmakers inglesi.
Uno degli Italiani possibile, come il Modenese Camillo Ruini, nato a Sassuolo, non lontano dalla Ferrari. Fatico a individuarlo, il modenese, nascosto e magro in questo mare di rosso.
Solo i fuori quota, gli ultraottantenni, o i fuori pronostico, sollevati dalla responsabilità di scegliere e dal sacro terrore di essere scelti per il prossimo funerale sulla piazza di Pietro, si permettono di ridere, come ride un cardinale a una messa di esequie, a mezza bocca, quando il vento strappa la cuffia al cardinal Ignazio Moussa Daoud, il siriano che guida la congregazione dei riti orientali, che non sarà mai eletto Papa.
Sorride l´ex cardinale di Parigi, Jean-Marie Lustiger, elettore ed eleggibile, ma solo in teoria, ancora per 6 mesi, prima dell´80esimo compleanno, che ha già saggiamente tolto e messo via il proprio zucchetto rosso. Sarebbe stato un magnifico Pontefice, questo figlio di ebrei polacchi emigrati in Francia, ma è troppo tardi, o troppo presto, per lui.
Imperscrutabile, dietro gli occhiali da sole scurissimi da duro, con le mani giunte, non sorride mai Crescenzio Sepe, il potente casertano, l´elemosiniere della Chiesa, al quale il vento gonfia il pallio quasi a coprire il povero cardinale seduto dietro di lui investito dallo sbuffo improvviso di seta sul viso. Uomo di dottrina e di finanza carico di lauree, il cardinale Sepe è potente, forse troppo per il Soglio. Dal suo volto carnoso e molto italiano, che osservo con speciale attenzione, non filtra un´emozione per tre ore, smentendo tutti gli stereotipi sui meridionali esternatori di sentimenti. Cardinale, ormai e soprattutto, prima di essere del Sud o del Nord, dell´Est o dell´Ovest, come l´astigiano Angelo Sodano, il cocelebrante accanto a Ratzinger, il depositario dei segreti di Stato. Del Pontefice, Sodano avrebbe il fisico del ruolo, ma anche le ombre della curialità e delle manovre politiche sgradite all´America Latina che non ha dimenticato Pinochet e i generali argentini.
Così, quando i 160 guardiani del vuoto pontificale rientrano in San Pietro, seguendo la bara d´un morto che torna in chiesa per la sepoltura dopo il funerale anziché uscirne come i comuni defunti, sappiamo con certezza d´aver visto il viso del nuovo Papa, senza sapere quale. Non lo sanno neppure quei 117 fra di loro che voteranno e da ieri sera, in una Roma che atteso la fine dell´addio per permettere la pioggia, chiederanno l´uno all´altro, e naturalmente alla devozione, la risposta. Scopriranno il volto solo quando il mare di rosso si rinchiuderà in quel luogo "di trasparenza e di luce", dal quale "si vedono l´Inizio e la Fine... quando il giorno della mia morte" darà "ai cardinali il lascito delle chiavi del Regno". Come scrisse, nel suo "Trittico Romano", un poeta polacco scomparso, chiamato Karol Wojtyla.

Vittorio Zucconi

Vittorio Zucconi (1944-2019), giornalista e scrittore, è stato condirettore di repubblica.it e direttore di Radio Capital, dove ha condotto TG Zero. Dopo aver cominciato nel 1963 come cronista precario a …