Michele Serra: Prostituzione. Serve un rimedio al sesso di strada

16 Maggio 2005
Se un influente e rispettato uomo dello Stato come il prefetto di Roma, Achille Serra, lancia l’idea di un quartiere a luci rosse nella capitale del Paese, è bene ascoltarlo, discutere e soprattutto mettere in discussione i propri pregiudizi. Appartengo a una leva di italiani che, in buona percentuale, non solo non ha conosciuto i bordelli, ma ha forti riserve, anche "politiche", contro la prostituzione. Personalmente, al tradizionale argomento dell’umiliazione femminile, aggiungerei l’autoumiliazione maschile, non parendomi concepibile che un uomo abbia di sé una così miserabile concezione da pagare per avere sesso. Ciò detto, le opinioni devono avere l’umiltà di fare i conti con realtà delle cose: la prostituzione non solo esiste, ma è una pratica largamente diffusa, dicono le statistiche, tra i maschi di ogni età e ceto sociale. In aumento, per giunta, grazie alla tratta dilagante di ragazze straniere, anch’esse, con ogni evidenza, venute nel mondo ricco per fare uno di quei lavori pesanti e rischiosi che noi indigeni non vogliamo più fare. Tra un impossibile proibizionismo e una legalizzazione indesiderata dalla morale corrente (ma invocata, in forma autogestita, dalle poche prostitute "sindacalizzate"), si è scelto di non scegliere. E dopo la chiusura delle case d’appuntamento, decisa nel dopoguerra, per filantropia e ottimismo repubblicano, dalla senatrice Merlin, il mercato dei corpi femminili è dilagato nelle strade e nei quartieri, nelle forme del piccolo commercio di rione e di tangenziale, oppure si è arroccato (per il target più abbiente) in spassose "sale massaggio" o "beauty center", oppure ancora nei domicili privati di professioniste più fortunate. È sicuramente il primo aspetto, quello macroscopico e "scandaloso" del sesso di strada, che inquieta e turba. Senza volersi rifugiare nel pubblico decoro, che spesso è appena un comodo velo censorio per nascondere le piaghe sociali e girare la testa dall’altra parte, non c’è dubbio che lo spettacolo sia mortificante e gaglioffo.
Non che l’adescamento e la conseguente trattativa siano più pacchiani, e intrusivi, di quanto capita di vedere sui canali satellitari e perfino in qualche acclamato show televisivo, dove il corpo femminile è sventolato tal quale sulla più triste camionabile di periferia. Solo che la pubblica via, in quanto tale, dovrebbe appartenere a tutti, a chi ci abita e chi vi transita, e la prostituzione di strada opera, in quei tratti, una privatizzazione di fatto. E per giunta (e soprattutto), una parte consistente di quel traffico ha per protagoniste ragazze ingannate o costrette, che lavorano sotto il tiro della minaccia dei padroni maschi, amici o parenti anche stretti che adoperano l’antica soggezione femminile per lucrarci orrendamente, donne-bestiame vendute da clan a clan, da pappone a pappone, spaventate e disorganizzate, raramente "redente" da qualche bravo prete magari un po’sessuofobo ma almeno militante, e presente. Ben più della fatica che costa girare la testa dall’altra parte, è questo becero sfruttamento, manesco e spesso omicida, il lato veramente osceno e criminale del fenomeno. E, fossimo nel prefetto Serra, proveremmo a verificare prima di tutto con le ragazze stesse (le italiane hanno una ormai antica consuetudine politico-sindacale, e le loro leader sono spesso donne insospettabilmente colte e intelligenti) quanto una legalizzazione di fatto del fenomeno, in un quartiere dedicato o in altre sistemazioni programmabili, possa lenire o meglio ancora curare alla radice la piaga dolorosissima dello sfruttamento, dello schiavismo, della protezione "amorevole" ma non per questo meno disgustosa. Nessuno meglio delle prostitute conosce il fenomeno, i suoi problemi e i suoi rischi, e ha interesse a "proteggerlo" infine autonomamente, per profilassi e per sicurezza fisica, tanto dai papponi quanto dai maniaci: ricordiamo, e il prefetto Serra che è uomo di polizia lo sa meglio di altri, che le prostitute sono vittime predilette dei serial-killer e dei sadici di ogni sorta, che spesso sfogano il loro odio vigliacco per le donne contro il segmento più debole, e più esposto, della seduzione e dell’eros. E non è certo questo l’ultimo dei problemi, quando si parla di prostituzione: in strada, spesso nei recessi più oscuri delle città, le prostitute rischiano in sovrammisura violenza e morte. Si chieda dunque a loro, o perlomeno anche a loro, come fare, rimandando al ministero dell’Utopia il compito di rieducare la clientela maschile, a quanto pare irredimibile. Le puttane hanno sensibilità ed esperienza tali da meritare, finalmente, di avere voce in capitolo, specie perché il lavoro è il loro e la vita è la loro. E sono, in quanto donne pubbliche, certamente in grado di capire e apprezzare anche le inevitabili preoccupazioni delle autorità romane circa l’eventuale e paradossale convivenza, nella capitale, di una città del vizio laddove ha sede la città di Dio per eccellenza.

Michele Serra

Michele Serra Errante è nato a Roma nel 1954 ed è cresciuto a Milano. Ha cominciato a scrivere a vent’anni e non ha mai fatto altro per guadagnarsi da vivere. …