Vittorio Zucconi: L´America chiede scusa per le stragi degli Indiani

30 Maggio 2005
Il rimorso dell´Uomo Bianco non poteva che venire dall´Arizona, dalla frontiera degli Apache guerrieri, dei Navajos tessitori, degli Hopi e Zuni agricoltori, dei canyon abissali e dei monti consunti dall´acqua fino a sembrare tumuli immensi nel deserto. Il suo tardivo desiderio di chiedere scusa all´Uomo Rosso per quello che non potrà più essere disfatto doveva muovere da qui, dalle terre del grande massacro e della grande bugia.
Sarà infatti su richiesta del senatore dell´Arizona, John McCain, politico che guarda con occhio umido di commozione al passato e con occhio lucido di ambizione al possibile futuro presidenziale, che il Senato degli Stati Uniti chiederà formalmente scusa ai discendenti dei 10 milioni di Nativi sterminati nelle "Indian Wars" dell´Ottocento. ‟Bello. Poi si dovrà vedere come queste scuse si tradurranno in fatti e in risarcimenti”, ha detto un altro senatore, Sam Brownback, Schiena Bruna, del Kansas: che, come Indiano, ha applaudito alla risoluzione unanime di ‟apologo”, di perdono, passata dalla Commissione Affari Indiani del Congresso. Ma ha preso troppe scottature dai ‟grandi nonni” di Washington, come li chiamavano i suoi antenati, per fidarsi delle lacrime di coccodrillo e dei pezzi di carta.
Centotrent´anni di silenzio e spallucce, quanti ne sono trascorsi dalle operazioni finali di pulizia etnica nel lontano West e nel Sudovest da parte dei soldati blu contro gli ultimi Sioux e Apache, giustificano certamente lo scetticismo di Sam Schiena Bruna. E i 200 milioni di dollari che l´amministrazione di George Bush ha tagliato dalle sovvenzioni federali alle tribù bisognose nella finanziaria 2005 non testimoniano di profondi pentimenti concreti da parte del Grande Capo Bianco. Negli Stati come l´Arizona di McCain, dove vivono - e votano - 600mila cittadini di sicura discendenza Indiana, nel New Mexico, dove sono il 15% della popolazione, nell´Oklahoma, dove fu deportata a forza e ancora abita in miseria profonda la massima concentrazione di ‟nativi americani”, la fede nella parola dei conquistatori, scritta e ignorata in cataste di inutili trattati di pace, è comprensibilmente scarsa.
Ha sicuramente scosso la memoria storica di McCain, repubblicano moderato ed eroe di guerra torturato per cinque anni a Hanoi, la decisione presa tre mesi or sono dal consiglio nazionale delle tribù, che ha deciso di appoggiare lui per la successione dell´indifferente Bush. I 4 milioni e 119mila "Nativi Puri" indicati dal censimento 2000, figli cioè di genitori entrambi indiani, non sono una quantità trascurabile di elettori, in vista delle primarie repubblicane e delle elezioni 2008.
Ma se lo ‟staremo a vedere” di molti leader tribali è spiegabile, l´iniziativa di McCain, il repubblicano "buono" in questi tempi di repubblicani che fanno i "cattivi", è comunque apprezzabile. La risoluzione di scuse che il Senato approverà, ora che la Commissione l´ha sottoscritta unanime, non restituirà terre, diritti, praterie ai discendenti di Geronimo, l´Apache inseguito dal generale Crook, o a Tashunka Uitko, Cavallo Pazzo, il messia degli Oglala Sioux ucciso in un campo di prigionia, né l´onore a Osceola, l´ultimo condottiero dei Seminole dalla Florida, la sola tribù ufficialmente mai sconfitta e mai arresasi agli invasori bianchi.
Neppure il perdono chiesto agli Ebrei per i secoli di maledizione agli "assassini di Cristo" ha restituito le vite e le proprietà bruciati in secoli di pogrom, inquisizioni e di stermini. Ma la ‟apologo” del Senato, della camera alta americana, restituirà ai primi abitatori del continente, che l´Europa ebbe la pretesa di "scoprire" quasi 10mila anni dopo che loro l´avevano già scoperta, almeno qualcosa che la cultura del vincitore gli aveva rubato. Restituirà loro la storia. Sarà la certezza non della santità, poiché non tutte le tribù indiane erano fatte di miti vasai e di operosi contadini come, testimonia anche il nome "Apache", che nella lingua dei loro vicini Navajo, significa "nemico", ma di un diritto stravolto e di una giustizia negata.
Non si tratta dunque di pietismo, o di buonismo da cinema con la coda di paglia, ma di restituzione di una memoria storicamente corretta, che il tempo andava sbiadendo.
L´epopea, e la tragedia, delle "Indian Wars", le guerre di conquista del territorio nordamericano, si stavano scolorendo nella indifferenza del cinema e della letteratura popolare, che dopo i decenni di western all´insegna dei "musi rossi" e la brusca correzione degli anni ‘70 con la filmografia del Bianco crudele, aveva abbandonato questo capitolo. Si sono aperti, finalmente, musei, come il nuovissimo inaugurato nel centro di Washington, a pochi passi dal Museo dell´Olocausto ebraico, ma non esiste museo che possa competere con Hollywood o con gli albi a fumetti che hanno formato la memoria delle generazioni anziane, come quella di McCain, una memoria che non si rinnova più nei ragazzi che dell´Iliade Rossa nulla o poco sanno.
La ‟questione indiana” è stata accantonata o annegata nel nuovo oro verde, i tappeti da gioco nei casinò aperti a centinaia nelle riserve indiane dopo una sentenza della Corte Suprema e una legge sponsorizzata, nel 1998, dallo stesso senatore McCain. Nei 411 casinò sorti in territori tribali, dalla miserabile baracca con quattro tavolini e due roulette nelle "Maleterre" dei Sioux in Dakota al faraonico Foxwood del Connecticut che attrae giocatori fino da New York, 18 miliardi di dollari ogni anno scorrono nelle casse di tribù che si sono scoperte un popolo di croupier e fanno ormai paura a Vegas e ad Atlantic City.
Tanti dollari da avere spinto proprio il Senato e McCain a preparare una nuova legge per limitare questa nuova corsa al casinò degli ex guerrieri che stanno assediando i forti del gioco.
Proprio mentre McCain chiederà scusa per quello che fu fatto ai "pellerossa", secondo la formula spregiativa del tempo, si ripete in forma allegorica ma concreta la scena che milioni di consumatori hanno assorbito nei cinema fumosi, la carovana circondata dall´agguato. Las Vegas si è vista scavalcare nel 2004 dai casinò indiani per la prima volta, 15 miliardi incassati contro 18. Ovunque, nel West come nell´Est, si scoprono minuscole tribù e microscopiche riserve dove potrebbero sorgere altre case da gioco, garantite dalla exterritorialità che arricchisce gli Indiani che vivono accanto alle città e lascia nella miseria gli Indiani confinati nelle terre spopolate del West, dove soltanto gli impegni di assistenza pubblica, promessi dai trattati e mai davvero rispettati, possono ripagare quel debito per il quale oggi l´America si scusa.
Un pasticcio storico immenso, complicato dal jolly del gioco d´azzardo, tessuto nella tela di una convivenza irrisolta tra un popolo espropriato che riaffiora tra le fessure delle leggi e un popolo di espropriatori che ora si scusa ma non si può pentire degli effetti. La "questione indiana" rimane, come la questione nera, aperta.
Le scuse ufficiali nascondono una nuova fregatura, come sospetta Schiena Bruna, di colui che i Lakota Sioux chiamavano il ‟Uasichu”, colui che si mangia tutto la polpa e lascia agli altri le ossa. L´Uomo Bianco. Scuse contro casinò? Scusaci tanto, Toro Seduto, ma al gioco della storia devi perdere ancora tu.

Vittorio Zucconi

Vittorio Zucconi (1944-2019), giornalista e scrittore, è stato condirettore di repubblica.it e direttore di Radio Capital, dove ha condotto TG Zero. Dopo aver cominciato nel 1963 come cronista precario a …