Umberto Galimberti: I sogni si realizzano nell'esistenza reale

05 Settembre 2005
Lo chiamano Second Life. È un gioco (si fa per dire) su Internet, dove uno si inventa una seconda vita, nel senso che in modo virtuale si compra la casa dei suoi sogni, fa le vacanze dove non ha mai potuto, acquista gli oggetti del desiderio a cui di solito non ha accesso. E, già che c’è, trova o immagina nuovi amici, il lavoro che avrebbe voluto fare, la donna dei suoi sogni, i figli come li avrebbe voluti avere, persino un se stesso come gli sarebbe piaciuto essere. Costo 10 euro. Il gioco riscuote molto successo e dice due o tre cose su cui val la pena di riflettere.
La prima è che la perduta fede nell’aldilà, che l’immaginazione religiosa ci concedeva, dobbiamo cercarla qui, adesso e subito, in quella trascendenza che la virtualità di internet ora ci concede. Perché l’uomo, che non ha mai accettato la realtà così com’è, ma è sempre andato alla ricerca di una migliore, non può arrestare quella vera opera di civiltà che è l’immaginazione di un mondo migliore, più a misura di quell’essere sconosciuto perfino a se stesso che è l’uomo così come oggi è diventato. La seconda considerazione è che se c’è così tanto bisogno di immaginazione vuol dire che la vita che conduciamo è così alienata che Marx, quando parlava di ‟alienazione”, sbagliava solo per difetto. Infatti, siamo tutti funzionari di apparati i cui unici regolatori sono produttività ed efficienza, in un deserto di senso, per cui capire cosa ci facciamo al mondo è un’impresa ardua, che solo la routine del lavoro quotidiano attutisce. Qui vien da pensare che non si lavora tanto per vivere, quanto per seppellire angoscia. La terza riflessione è una sorta di appello alla nostra forza. Quanta ne abbiamo per cambiare il mondo, per inventare scenari reali e non virtuali che siano al di fuori di quell’unico generatore simbolico dei nostri comportamenti che è il denaro? Sappiamo ancora guardare un cielo e scoprire le stelle nelle nostre città illuminate? Sappiamo ancora concederci il tempo nelle nostre giornate indaffarate? Disponiamo ancora di un orizzonte aperto e non murato dagli edifici di fronte? Abbiamo ancora un sogno che solo la nostra debolezza ci impedisce di realizzare? Davvero abbiamo barattato quasi tutta la nostra possibile felicità per un po’di sicurezza? Perché se tutto ciò è già accaduto, non sarà certo internet a restituirci tutte le possibilità che non abbiamo inseguito. E il successo di questo gioco dell’immaginazione, se da un lato ci conferma di quante ideazioni la nostra anima è ancora capace, approfittiamone non per crearci in modo virtuale una seconda vita, ma per realizzare, nell’unica vita reale che ci è data, tutto quel possibile che rimane inespresso, spento prima di nascere, e così ignorare per sempre quella splendida definizione dell’uomo che Nietzsche ha coniato quando ne parlava come dell’"animale non ancora stabilizzato", e quindi capace di ‟futuro” che non coincide propriamente con il ‟virtuale”.

Umberto Galimberti

Umberto Galimberti, nato a Monza nel 1942, è stato dal 1976 professore incaricato di Antropologia Culturale e dal 1983 professore associato di Filosofia della Storia. Dal 1999 è professore ordinario …