Vittorio Zucconi: La strategia della paura di Bush

07 Ottobre 2005
Davanti a una nazione sempre più scettica e delusa, davanti a un Senato americano dove il suo ‟peggior amico”, il popolarissimo senatore repubblicano John McCain ha imposto con 90 voti contro 9 una ammirevole e necessaria legge antitortura che suona come una sberla a una Presidenza impegolata a Guantanamo e ad Abu Grahib, George Bush è costretto a ricorrere al solo argomento che possa ancora scuotere il pubblico: la paura. Ha garantito di avere sventato dieci attentati nel mondo, e tre in territorio americano, senza dare dettagli, senza specificare, secondo la classica formula della "parola di re". Dieci possibili aggressioni sventate contro dozzine avvenute e decine di migliaia di morti soltanto in Iraq: è questo il bilancio dei progressi e dei successi dopo 32 mesi di guerra?
Bush ha dovuto attingere ancora una volta a quel giorno orribile di settembre perché esso resta, dopo il misero collasso degli altri inesistenti casus belli, la sola fonte ancora viva e sanguinante della legittimità per le sue guerre. Vantare dieci attentati sventati, senza riferimenti precisi, in un mare globale di morti sotto le bombe, da Bali a Madrid, da Londra a Sharm, è un segno tremendo del ridimensionamento di quelle illusioni che il famigerato annuncio di "missione compiuta" aveva generato.
Ma se il discorso sullo ‟stato della guerra” è stato purtroppo la consueta ripetizione di frasi altisonanti, la vera "audience" alla quale lui si rivolgeva questa volta non era il mondo, erano la propria base, i propri elettori, soprattutto quella ala destra dell´elettorato dove si segnalano i rischi più gravi per lui e per il partito repubblicano. Il livello di dissenso in quel blocco elettorale di ultraconservatori che sono stati la pietra d´angolo del suo successo sta creando, per il secondo mandato presidenziale di Bush, pericoli ben più micidiali delle dimostrazioni pacifiste, delle varie "madri coraggio" care più ai giornali che al grande pubblico e della indifferenza ostile con la quale ormai il 64% degli americani osservano i massacri di Bagdad.
Come i suoi predecessori di destra o di sinistra, Reagan o Clinton, anche Bush è risucchiato dalla maledizione del secondo mandato. Secondo la legge storica che vuole i democratici nei guai per il sesso e i repubblicani per i soldi, Bush ora deve vedersela con l´incriminazione per finanziamento illegale contro il "capo bastone" repubblicano al Congresso, il texano DeLay, l´inchiesta per "inside trading" contro il leader della maggioranza al senato Frist, l´arresto del responsabile per le assegnazioni dei contratti pubblici alla Casa Bianca e la possibile incriminazione del suo "cervello" politico, quel Karl Rove lambito dalla confusa vicenda della funzionaria della Cia buttata in pasto ai mass media per screditare il marito, critico della guerra.
Ma la notizia peggiore, in questi tempi di sordità morale, è stata la nomina di un´avvocata sconosciuta al pubblico, semplice legale personale di famiglia poi promossa a consigliere della Casa Bianca, per l´ultimo scranno vacante della Corte Suprema, la signora Harriet Myers, colei alla quale fu affidata la pratica del giovane tenente di aviazione Bush imboscato nella Guardia Nazionale per evitare il Vietnam. Mentre l´estrema sinistra rispolverava la accuse di clanismo contro un Bush che sempre predilige la obbedienza cieca e assoluta alla competenza, era la destra teo-con, neo-con e genericamente ultra-con a insorgere, sentendosi ‟delusa, demoralizzata e depressa”, come ha scritto il pontefice dei neo-con, Bill Kristol, da una nomina che non garantisce abbastanza faziosità.
In un sistema politico parlamentare, sarebbe lecito immaginare un voto di sfiducia, qualche ammutinamento di stile italiano, come quel voto di 90 a 9 (in un Senato dove il partito di Bush ha 55 seggi contro 45) per un emendamento che da ieri ha imposto precisamente quello che Bush, Rumsfeld, il ministro della giustizia Gonzales, avevano sempre respinto, cioè il trattamento dei militanti islamici come prigionieri di guerra e quindi protetti dalla Convenzione di Ginevra.
Non rimaneva dunque a Bush altro che tornare al sanguinoso e indiscusso fonte battesimale della ‟guerra al terrore”, all´atroce 11 settembre. Doveva ripetere la formula del progresso in Iraq, citando l´ennesima cifra incontrollabile e variabile di quante unità locali siano davvero pronte, ieri e ‟tre battaglioni”, ieri l´altro ‟cento battaglioni” una settimana fa, secondo il generale Casey appena ‟uno”. E garantendo una ‟vittoria finale” che nessuno, certamente non Bush, riesce mai a definire in termini chiari e comprensibili, essendo questa, per definizione, una guerra amorfa, anomale e senza fronti definiti.
Ma il Presidente, ieri, parlava ai fedeli delusi, alle proprie truppe civili, a quegli attivisti che hanno sempre creduto in lui e che non può permettersi di alienare senza una disfatta elettorale per il proprio partito l´anno prossimo. Senza l´ala destra del partito Bush non potrà volare e non sarà l´iterazione ossessiva della promesse di ‟democratizzare il mondo” a ridargli quota.

Vittorio Zucconi

Vittorio Zucconi (1944-2019), giornalista e scrittore, è stato condirettore di repubblica.it e direttore di Radio Capital, dove ha condotto TG Zero. Dopo aver cominciato nel 1963 come cronista precario a …

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