Luigi Manconi - Livia Turco: Droga. Ultimi rantoli della legge Fini

14 Ottobre 2005
A Roma, con un motto semplice ed eloquente, si dice ‟te la canti e te la suoni”: dove ‟suonarsela” e, allo stesso tempo, ‟cantarsela” indica l'atteggiamento autoreferenziale di chi ‟si basta”, di chi non ha bisogno di nessuno (pubblico, comprimari, interlocutori) per celebrarsi e prodursi nel proprio repertorio.
Prendiamo il ministro Carlo Giovanardi: immerso negli affanni di fine legislatura, se la canta e se la suona e decide, infine, di dare un giro di vite, e un briciolo di vita, a quella ‟legge Fini” sulle tossicodipendenze che giace in parlamento, inanimata, da un paio d'anni. Quel disegno di legge costituisce la summa del solidarismo autoritario e paternalistico con il quale il centrodestra intende affrontare il problema delle tossicodipendenze. Un programma dove le comunità (alcune comunità) devono spruzzare quel tanto di solidarietà che sono in grado di esprimere, mentre lo Stato, da par suo, deve esercitare repressione e coercizione. L'imminente conclusione della legislatura non consente l'approvazione della legge e, tuttavia, Giovanardi ci prova. Il suo obiettivo è semplice: uno stralcio dei 106 articoli del disegno di legge, che diventano 22, per risolvere almeno tre questioni: il riprestino della ‟modica quantità” (la soglia di detenzione di sostanze stupefacenti che distingue il possesso dallo spaccio); la creazione di altre cinque strutture private, alternative al carcere, per tossicodipendenti condannati; l'equiparazione tra comunità terapeutiche e Sert.
Riguardo alle ultime due questioni, la gran parte degli operatori sociali contestano la possibilità che il modello inaugurato a Castelfranco Emilia (una struttura ‟a custodia attenuata” per il recupero di detenuti tossicodipendenti, gestita dal pubblico e dal privato sociale) possa essere riprodotto: esso tende semplicemente ad allargare quel ‟mercato della cura coatta”, progettato già nel 2001 proprio da Giovanardi, con la consulenza e il sostegno di Andrea Muccioli. Uguale preoccupazione suscita la parificazione tra strutture private e pubbliche, così che le prime possano essere titolate a certificare lo stato di tossicodipendenza e progettare il piano terapeutico: il Coordinamento nazionale delle comunità d'accoglienza (Cnca) teme che questo possa diventare lo strumento operativo di quanto già la ‟legge Fini” prevede a livello normativo, ovvero la penalizzazione del consumo di hascish e cannabis.
Giovanardi risponde a questi timori, rinviando la discussione alla Conferenza nazionale sulla droga, che si terrà a Palermo dal 5 al 7 dicembre. Ma l'invito appare strumentale e già incontra molti rifiuti. Don Luigi Ciotti, a nome del Cartello ‟Non incarcerate il nostro crescere”, ha annunciato: ‟Noi non ci saremo”. E nemmeno noi, il partito dei Democratici di sinistra, ci sarà.
Innanzitutto perché lo stralcio di Giovanardi al disegno di legge Fini è manovra politica avventata e grossolana, che cerca una qualche legittimazione; e partecipare a quella conferenza equivarrebbe ad avallarla. Anche le Regioni sembrano orientate a non partecipare alla Conferenza se non verranno adeguatamente informate e coinvolte: è quanto emerso da una riunione degli assessori alle politiche sociali, tenutasi pochi giorni or sono.
Il mondo del volontariato, degli operatori e dei governi locali non appare disposto, dunque, a fare ancora da spettatore alla politica muscolare - e, alla resa dei conti, inane - del centrodestra. Insomma, davvero Giovanardi se la canta e se la suona: e quello di Palermo potrebbe rivelarsi un concerto per voce sola.
Vi è, infine, un'ultima questione su cui riflettere. Quella relativa alla ‟modica quantità” è controversia annosa e capziosa; e quel confine, tracciato arbitrariamente dal legislatore per distinguere consumo e spaccio, non ha mai funzionato davvero: non ha mai prodotto una distinzione attendibile e ragionevole tra delinquenza e dipendenza. Piuttosto, interpretato in forme frequentemente insensate, quel confine è servito, spesso, per colpire il semplice consumo: ovvero per affermare, più o meno surrettiziamente, il principio secondo cui ‟drogarsi è reato”. Le proposte del ministro, sull'argomento, appaiono al momento assai confuse: nelle tabelle diffuse, il discrimine tra consumo e spaccio è di 10/20 spinelli (una misura e il suo doppio...); o, ancora, di 4/6 dosi di cocaina o di 8 buste di eroina (ma quanta droga contiene una "busta" di eroina? e di quanti milligrammi è una ‟dose” di cocaina?). I principi che verranno adottati per tarare nuovamente la ‟modica quantità”, relativa ad ogni sostanza censita nella tabella nazionale, sono facili da intuire: essi non hanno nulla, ma proprio nulla, di scientifico. Ma ne conosciamo l'esito: il risultato sarà l'arresto e la detenzione per un numero crescente di consumatori di derivati della canapa indiana.
L'annuncio della proposta di Giovanardi viene accompagnato dall'ennesimo sondaggio - questa volta ‟filogiovanardiano” - secondo il quale gli italiani sarebbero iperproibizionisti (per il 57.6% ‟lo Stato dovrebbe perseguire penalmente sia chi consuma droga sia chi la commercia”) e non farebbero distinzione tra droghe ‟pesanti” e ‟leggere” (l'89% sarebbero inclini a considerare le due classi di sostanze ugualmente dannose). Poco importa che altri sondaggi, anche molto recenti (come quello di Ispo Allaxia per la ‟Società della Ragione”), presentino risultati di segno opposto.
Buon ultimo, in questo festival di cialtronaggine politica e di mala-informazione, arriva il ministro della salute, Francesco Storace. Ecco il suo pensiero: ‟Il problema della cocaina purtroppo c'è. Occorre dare un segnale alla società: auspico l'approvazione della legge Fini”. Storace - che, fino a prova contraria, è il ministro competente - dimentica che le comunità e i servizi pubblici hanno enormi difficoltà a portare avanti le proprie attività, a causa dei tagli alla spesa sanitaria e allo svuotamento del fondo antidroga che, nella precedente legislatura, aveva stanziato 1500 miliardi delle vecchie lire per attuare progetti di prevenzione e di presa in carico dei tossicodipendenti. Il ministro sorvola su tutto questo: e, così, può continuare a ignorare che, come ha scritto l'AdnKronos, nella stanza numero 4 del reparto di terapia intensiva dell'ospedale Mauriziano, accanto a Lapo Elkann, c'è un giovane uomo di 34 anni, disoccupato, anonimo come mille altri, che da sabato scorso ha perso conoscenza. Certo, ‟il problema della cocaina purtroppo c'è”, ma non è quello che ci viene raccontato in questi giorni.

Luigi Manconi

Luigi Manconi insegna Sociologia dei fenomeni politici presso l’Università IULM di Milano. È parlamentare e presidente della Commissione per la tutela dei diritti umani del Senato. Tra i suoi libri …