Vittorio Zucconi: La Storia in copertina. Le icone del nostro tempo

19 Ottobre 2005
Finestrini di un treno aperti sul panorama del tempo, le più belle copertine dei grandi periodici americani tornano a raccontarci quello che né le parole sempre troppe leggere né l´inafferrabilità del video possono fissare nella memoria, il correre del tempo. Nell´epoca dell´overload, del cortocircuito quotidiano di informazioni, stimoli e grida vuote che si abbattono su di noi e si cancellano a vicenda come le onde sulla spiaggia, rivedere lo scandalo, lo shock, l´ironia, la violenza, la grazia di queste copertine è un tributo all´arte di chi deve chiudere ogni settimana il mondo dentro un´icona.
Se un´immagine vale mille parole, una copertina vale mille pagine, come sa ogni direttore di periodico che vive nel terrore di ‟sbagliare la copertina”. Nelle quaranta che l´associazione degli editori di periodici ha scelto e onorato come le più belle, mettendo sul podio delle medaglie quelle dei Lennon a letto, di Mohammed Ali trafitto e della Moore col pancione, c´è un filo continuo al quale aggrapparsi, una sorta di didascalia muta che le unisce tutte e potrebbe servire agli art directors e ai direttori che lottano con il tempo, il timore di sbagliare e il giudizio del pubblico, e questo filo rosso è il coraggio.
Quando le guardiamo scorrere fuori dai finestrini del tempo, vediamo che insieme con la penna dei grandi disegnatori come Saul Steinberg per il New Yorker e l´obiettivo del National Geographic che gelò l´angoscia negli occhi verdi di una bambina afgana, c´è sempre la forza di mettere in dubbio, di strappare il "senso comune", di offendere senza insultare. Quasi tutte fecero scandalo, come il viluppo insieme sensuale e scostante di braccia e gambe tra John e Yoko a letto, il torso del pugile Ali sforacchiato dai benpensanti bianchi come un San Sebastiano per avere osato ribellarsi al conformismo patriottardo, l´esibizione della femminilità prorompente e trionfante di una Demi Moore ormai prossima al parto che costrinse l´editore a ritirare il numero e venderlo nella plastica opaca, l´espressione preoccupata del cagnolino bianco e nero con la pistola alla tempia del satirico National Lampoon che implora di comperare quel settimanale, per salvargli la vita. Messaggio dalla specie in via di estinzione che non son i cani, ma è il giornalismo stampato. Tutte dita negli occhi, sfide per costringere a fare ciò che più il consumatore detesta: la fatica di pensare.
Senza queste finestre di carta spalancate a illuminare la memoria e la coscienza - penso a quel nero scelto dal New Yorker per il primo numero dopo l´11/9/2001, a quelle istantanee dal calvario vietnamita col grido di un soldato ripetuto oggi in Iraq, ‟mio Dio, abbiamo colpito una bambina” - saremmo soltanto deportati in un vagone piombato, sballottati sul treno dentro un tunnel di guerre e di malvagità che non vediamo e che quindi ci terrorizzano. Generazioni di direttori e dei loro art director hanno sudato e tremato prima di licenziare queste copertine e di affidarle al fiume del tempo che ora ce le riporta e oggi possono riguardare con orgoglio al loro coraggio. La speranza è che tra quarant´anni, i passeggeri del treno del 2045 possano aprire i finestrini e dire di noi quello che ora noi diciamo di loro: ebbero coraggio.

Vittorio Zucconi

Vittorio Zucconi (1944-2019), giornalista e scrittore, è stato condirettore di repubblica.it e direttore di Radio Capital, dove ha condotto TG Zero. Dopo aver cominciato nel 1963 come cronista precario a …