Vittorio Zucconi: Si chiude l´era del maestro Alan Greenspan

25 Ottobre 2005
Dopo 18 anni alla guida della Riserva Federale americana, sopravvissuto a quattro Presidenti, due collassi di Borsa, due recessioni, quattro crac bancari, il fallimento di tre nazioni, la demolizione terroristica di a Manhattan e tre guerre, il "maestro" del dollaro, la ascetica sibilla con gli occhialoni esagerati che tutto il mondo ascoltava in ginocchio spesso senza capire che dicesse, se ne va e potrà finalmente dedicarsi alla propria, unica passione: il tennis.
Appena il successore designato ieri da Bush, l´eminentissimo e sconosciutissimo al pubblico professore della Princeton University Ben Bernanke avrà ottenuto il sicuro placet del Senato e assunto la presidenza della Federal Reserve, l´equivalente americano della Banca Centrale Europea, Alan Greenspan potrà tentare di realizzare il proprio impossibile sogno. Diventare un tennista professionista ‟magari quando avrò superato i 104 anni di età» come disse in un raro sfoggio di "dry humour", il massimo di umorismo consentito alla persona che controlla, come ha detto Bush salutandolo, ‟l´integrità del sistema finanziario ‟ e ‟la vita quotidiana di ogni cittadino”.
La divorante passione per il tennis, che Greenspan scoprì cinquantenne proprio quando dovette trasferirsi a Washington chiamato da Reagan ad assumere la guida del sistema bancario federale, è molto più di un hobby. Essa offre uno dei pochi indizi per esplorare la personalità di questo "banchiere dei banchieri" adorato da molti ed esecrato da pochi e le differenze con chi è stato chiamato a succedergli. In quello sport rigorosamente geometrico e rigidamente contenuto entro righe chiare, Greenspan trovava un sollievo quotidiano al caos primordiale della finanza internazionale e globalizzata, perennemente sull´orlo di una nuova catastrofe. Era la metafora di quell´ordine e di quella prevedibilità ai quali per tutta la vita di navigatore fra tempeste dopo tempeste, strapazzato dai venti della politica e degli interessi elettorali dei Presidenti che lo avevano scelto e riconfermato, Reagan, Bush padre, Clinton e Bush figli, aveva aspirato.
Alan Greenspan era nato a New York, da famiglia israelita nel 1926, dunque aveva vissuto e visto, da bambino e poi da ragazzo, quell´esperienza della Grande Depressione e poi della guerra che ha plasmato in modo indelebile, ma non omogeneo, tutti gli uomini e le donne della sua generazione.
Nella confusione di esistenze sballottate, aveva addirittura tentato la strada della musica, studiando il sassofono per due anni alla famosa "Julliard" di New York. Ma a differenza di tanti suoi coetanei, formati nella fede keynesiana nella "mano pubblica", il futuro presidente della Fed era stato affascinato dalla predicazione di un´immigrata russa, Alisa Zinovievna Rosenbaum, divenuta, con il nome di Ayn Rand, la creatrice della filosofia dell´Oggettivismo, della massima libertà individuale all´interno del minimo governo possibile. Nel capitalismo più disinvolto, dunque, la Rand e i suoi seguaci, come Greenspan, vedevano la soluzione al caos e alla disperazione delle crisi cicliche dell´economia americana.
Ma il nemico più fatale del grande sogno del capitalismo "obbiettivo" e sbrigliato è sempre l´inflazione, il mostro che aveva inghiottito la Germania di Weimar e partorito il Nazismo. E questo, della vigilanza continua contro l´inflazione, sarà il tratto fondamentale di tutto il lavoro di Greenspan alla guida della banca centrale americana, divenendo, per i critici che non sono mancati, un´ossessione. ‟Greenspan - fu detto molte volte - combatte l´inflazione anche quando non c´è, aumentando il costo del danaro arbitrariamente”.
Eppure fu proprio lui, il monetarista "randiano", a inondare il sistema finanziario americano di liquidità, cioè di dollari a basso costo, quando dovette dare il cambio a Volcker, nel 1987, e salvare Wall Street al tappeto, e di nuovo nel 2000, quando ‟la irrazionale esuberanza”, come lui la definì, della bolla borsistica scatenata da Internet aveva di nuovo scatenato un ciclo di "boom and bust", di gonfia e scoppia. E proprio questa sua flessibilità sostanziale e indipendente, come deve essere una Banca Centrale, libera da ogni pregiudizio e sempre ferocemente mantenuta al di sopra di ogni sospetto di favori, furbate e conflitti di interesse, questo suo essere un integerrimo "banchiere per tutte le stagioni" politiche e per tutte le bufere finanziarie, ne ha fatto un mito. Era "Il maestro" come lo chiamò Robert Woodward nella sua biografia, il personaggio che nessun presidente ha mai osato esautorare sotto la minaccia di una rivolta dei mercati. Essere monetarista, non gli impedì di assecondare i governi americani quando gli chiesero di intervenire con danaro pubblico per salvare il mondo dal crac russo, dal crollo thailandese, dal disastro messicano, o, in casa, dalla tragedia della Long Term Capital investment, la società creata da ben due premi Nobel che fallì miseramente aprendo un buco di miliardi di dollari nel sistema finanziario.
Parlava per segni, ossimori, litote, allusioni, figure allegoriche spesso incomprensibili, proprio come le Sibille che non si vogliono sbilanciare. Andrea Mitchell, la giornalista della rete Nbc che lo sposò, lo sfotticchiò amabilmente dicendo che quando Alan le propose di sposarlo, ‟dovetti farmelo ripetere per tre volte, prima di capire se quella fosse davvero una proposta di matrimonio”. Ma dietro le sue cortine fumogene, due cose erano sempre state visibili: che al primo sospetto di surriscaldamento dell´economia e di aumento dei prezzi lui sarebbe intervenuto stringendo la borsa dei "Fondi Federali" alzando di conseguenza i tassi, come infatti stava facendo in questi mesi. E che al pomeriggio, lo si sarebbe trovato al Chevy Chase Country Club a giocare a tennis.
Il suo successore, professore carico di lauree e dottorati e cattedre a Yale, al Mit e a Princeton (Greenspan aveva un dottorato concesso praticamente honoris causa dalla New York University) non potrebbe essere, sul piano umano, più diverso. Studioso per tutta la vita senza sbandate sassofonistiche, assai più giovane (è nato nel 1953), sudista (dalla Georgia) quanto Greenspan è profondamente "new yorker", Ben Bernanke è un accademico concesso all´amministrazione della cosa pubblica. Forse fin troppo concesso, come gli avversari osservano notando che era il capo dei consiglieri economici di Bush, dunque anche lui, come quella avvocatessa Harriet Miers scelta dal Presidente per un seggio alla Corte Suprema soltanto perché legale di famiglia, un ennesimo "uomo del Presidente".
Ma il mondo finanziario americano, che guarda al sodo, ha reagito benissimo, sia al previsto tramonto di Greenspan sia alla nomina di Bernanke, entusiasta dalla speranza che il nuovo signore del dollaro sia meno ossessionato dall´incubo dell´inflazione e più disposto a una politica di danaro più facile, come le Borse amano. Appesa sulla sua testa c´è infatti un´altra, gigantesca bolla che rischia di scoppiare, la bolla del mercato immobiliare, tenuta in aria soltanto dai mutui a buon mercato che Greenspan era deciso a far scoppiare, come fece esplodere il pallone della "New Economy".
Bernanke crede nella inflazione programmata, in "target" da individuare ed evitare, dunque in linee più chiare e leggibili, di quelle che la occhialuta Sibilla teneva nascoste e stabiliva a propria discrezione. I banchieri, spiegava ieri sera Larry Kudlow, un banchiere e santone televisivo, vogliono sapere dove siano i confini e le righe entro le quali muoversi. Proprio come i giocatori di tennis.

Vittorio Zucconi

Vittorio Zucconi (1944-2019), giornalista e scrittore, è stato condirettore di repubblica.it e direttore di Radio Capital, dove ha condotto TG Zero. Dopo aver cominciato nel 1963 come cronista precario a …