Vittorio Zucconi: Le accuse a Bush e lo spettro di Nixon

19 Dicembre 2005
Puntualmente ogni quattro anni, il giorno 20 di gennaio, un nuovo presidente americano giura sulla Bibbia di ‟rispettare e difendere la Costituzione da ogni nemico interno o esterno”. Non giura di proteggere la nazione, la gente, i bambini, le chiese, giura, esattamente come i soldati al momento di entrare in servizio, di difendere e servire la Costituzione. Ma che accade se il difensore diviene, egli stesso, colui che viola e minaccia la costituzione? Che cosa resta di una democrazia bisecolare fondata sulla fede nel verbo costituzionale, se il sommo pontefice si trasforma nell´eretico
La rivelazione diffusa dal New York Times, con malizioso tempismo per rovinare alla Casa Bianca la festa della vittoria in Iraq che ieri sera Bush ha voluto celebrare in un discorso alla nazione, secondo la quale il Presidente ha ordinato di ignorare una legge sul controspionaggio vecchia di 25 anni e autorizzare a proprio arbitrio intercettazioni elettroniche senza mandato giudiziario ha riesumato lo spettro di Richard Nixon e del suo uso spregiudicato della Cia per condurre operazioni contro i ‟nemici interni”.
Il presidente della Commissione Giustizia in Senato, il riverito repubblicano Arlen Specter, ha già chiesto un´audizione parlamentare in gennaio, dicendosi preoccupato. I grandi media parlano di ‟gravissimo pericolo” per una ‟società democratica” (Washington Post) o addirittura di ‟aperta illegalità” commessa da un Presidente ‟che ha dimostrato più volte la propria capacità di interpretare la legge a proprio piacimento” (New York Times).
La risposta di Bush, ripetuta anche ieri sera, è la stessa usata per difendere la tortura. ‟Siamo in guerra e la guerra non è un tè delle signore”. È esattamente quello che Condoleezza Rice disse ai propri interlocutori europei la scorsa settimana, e che qui definimmo ‟il patto col diavolo”. Perdere un poco della propria anima per salvare qualche corpo in più.
C´è una indubbia coerenza, dunque, negli atteggiamenti di questa amministrazione americana che, dopo l´11 settembre, ha abbracciato la dottrina del ‟fine che giustifica i mezzi” e che respinge al mittente ogni preoccupazione legalistica. Nella sostanza, il team Bush tratta il Congresso americano, le associazioni per la difesa delle libertà civili, l´opposizione parlamentare, i detestati media non allineati, esattamente come ha trattato l´Onu: se i suoi desideri non coincidono con le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza come con il quarto emendamento della Costituzione che vieta perquisizioni o indagini ‟irragionevoli” o con la legge sullo spionaggio interno in vigore dagli anni ‘70, li si ignorano, si screditano e si trova un funzionario compiacente nel ministero della Giustizia, per inventare qualche foglia di fico giurisprudenziale.
Ma se ignorare l´Onu è facile e popolare, quando si è il gorilla più grosso nella foresta del mondo, ‟dribblare” la Costituzione, come scrive il Washington Post, è altra cosa. Il principio secondo il quale il potere esecutivo non può agire contro nessuno, senza il benestare formale del potere giudiziario non è una gelatinosa risoluzione del Palazzo di Vetro. È uno degli elementi fondanti di una repubblica nata proprio sul rifiuto della prepotenza di monarchie e di gerarchie religiose che si autoidentificavano con lo stato e la legge. Come la tortura, così la sorveglianza elettronica dei propri cittadini e residenti affidata senza controlli alle orecchie di quella Nsa che già brillò per l´operazione ‟Echelon” e fu soprannominata ‟the puzzle palace”, il castello degli enigmi, per la sua oscurità, è una sconfitta costituzionale sicura accettata per ottenere una incera vittoria militare o poliziesca.
Certamente, la necessita di trovare strumenti nuovi per rintuzzare un nemico nuovo è una necessità reale. Lo stesso Parlamento americano riconobbe a Bush una più ampia latitudine di azione, dopo il panico dell´11 settembre, ma non una licenza per origliare tutti e ovunque e per sempre. Il problema posto da questo atteggiamento di superiorità imperiale dell´esecutivo su ogni altro potere, lo ‟stato sono io” proclamato da Bush, preoccupa perché questa contro il ‟Terrore” è una guerra infinita e prolungabile da qualsiasi azione terroristica, ovunque accade, che non avrà trattati di pace né rese né fine certa. Dunque la sofferenza della legalità che ogni guerra comporta rischia di farsi malattia cronica, capace di consumare l´organismo costituzionale che il Presidente giura di difendere. E di infettare anche quelle democrazie minori che all´America sempre si ispirano e che scimmiottano.
Si apre una spirale discendente di ‟quasi legalità” e di scorciatoie progressive, inutili, come quella che Vladimir Bukovski, il dissidente russo autore del magnifico ‟Il Vento va e poi ritorna”, ha descritto ieri con l´aneddoto della ‟pipa di Stalin”. ‟Un giorno Stalin scoprì che la sua pipa preferita era scomparsa e ordinò a Beria, l´aguzzino capo della Nkvd, di trovare il ladro a ogni costo. Più tardi, Stalin ritrovò la pipa caduta e disse a Beria di sospendere le indagini. Ma, compagno, balbettò Beria, io avevo già trovato cinque persone che ci avevano confessato di averla rubata”.

Vittorio Zucconi

Vittorio Zucconi (1944-2019), giornalista e scrittore, è stato condirettore di repubblica.it e direttore di Radio Capital, dove ha condotto TG Zero. Dopo aver cominciato nel 1963 come cronista precario a …