Michele Serra: Di Canio, fascista impunito

13 Dicembre 2005
Con le curve pavesate, da anni, di croci celtiche e svastiche, fa veramente ridere che le autorità calcistiche (e politiche) "auspichino" che la politica rimanga fuori dagli stadi. Nel coro indistinguibile e pavido delle reazioni post-Di Canio, in fondo l´unico che si distingue è un La Russa pre-Fiuggi, che proprio non capisce che cosa ci sia di male in un saluto romano. Sarebbe reato, diciamolo per inciso, ma la depenalizzazione di fatto dell´apologia di fascismo, in quel carnaio di illegalità che sono gli stadi, rischia di passare per un dettaglio. Perfino nel commento del sindaco di Roma.
Quanto alla politica, e a Livorno-Lazio: eccola lì, ridotta a un derby di provincia tra due curve ringhiose di figli di mamma, che tornando a casa non troveranno né lager né gulag, ma la Domenica sportiva. E la storia italiana, con il suo carico di tragedia e di gloria, di dittatura e libertà, è finalmente al vaglio del giudice sportivo: una o due domeniche di riposo per chi saluta romanamente le svastiche esposte nella sua curva? E i "valori" fascisti, evocati da un attaccante in crisi di nervi come "senso di appartenenza al mio popolo", diventano l´incresciosa parodia domenicale del sangue (vero) versato a fiumi nella guerra del Duce, e del suo amico tedesco sterminatore di ebrei, zingari e omosessuali.
Io me ne frego - per usare un´espressione a lui familiare - che Paolo Di Canio sia fascista. Ce ne sono ancora tanti, in questo Paese, di quelli difficili e di quelli facili, di quelli duri e di quelli molli sdoganati dal sottogoverno, tutti gratificati, comunque, dall´andazzo modaiolo (e molto radical-chic, caro Di Canio) del revisionismo storico, e dello sfregio ininterrotto alla Costituzione. Quasi tutti col culo al caldo, anche se la retorica di parrocchia si ammanta di rischio e audacia: una minoranza sdoganata da fior di professori e ministri, giornalisti e romanzieri, gente da palinsesto, fascisti da audience, che però ama tanto passarsela da perseguitata, perché è più maudit.
Quello che duole, quello che fa ribrezzo, è vedere il grumo ancora dolente del Novecento italiano ridotto a litigio da moviola, come i fuorigioco e i rigori: e di questo Paolo Di Canio, se è intelligente come dice, dovrebbe provare vergogna. Vergognarsi di essere, per giunta orgogliosamente, il protagonista più vistoso di una farsa, con il fascismo e il comunismo ridotti a un palio domenicale per pochi isterici, le solite curve ululanti negli stadi sempre più vuoti, abbandonati da chi ha schifo proprio di quella farsa, di quella spropositata e presuntuosissima simulazione di guerra incarnata da poveracci che su Mussolini non hanno letto un libro, e fanno fatica a leggere per intero anche uno striscione.
Se davvero Di Canio, che è un professionista famoso e un romano abbiente, avesse a cuore "il suo popolo", come pomposamente definisce i due o trecento disturbati che hanno sequestrato la curva della povera Lazio pavesandola di croci uncinate, la pianterebbe di aizzarli: o ha bisogno di una così triste claque per le sue vanitose passerelle da ardito fuori tempo massimo? Telefonerebbe al suo competitor Lucarelli, il goleador guevarista del Livorno, e gli proporrebbe di smetterla con questa ridicola caricatura dell´ideologia, con questa pagliacciata degli opposti bomber. L´ideologia è una cosa seria, è ragione di vita e di morte, non è una cosa da zona Uefa.
Addolora particolarmente che perfino la Comunità ebraica sia stata costretta a scomodarsi per queste infime beghe, per questi sbrachi da piccola gente. Vedere la Comunità ebraica, con quello che si porta in spalle, costretta a questionare con un calciatore, è una enormità, ed è cosa che dovrebbe costringere il calciatore a sprofondare, ad accorgersi che qualcosa di veramente iniquo e stupido è accaduto. E quel qualcosa non è soltanto il saluto romano, che piaccia o non piaccia al fascista rinato La Russa evoca in milioni di italiani le leggi razziali, la dittatura e la guerra. E´ anche l´appropriazione indebita della politica da parte di una piccola compagnia di giro che ha trasformato gli stadi in un truce Bagaglino, con quello che imita Farinacci e quest´altro che fa gol in nome degli oppressi. Dire che il Che non è la svastica, per chi valuti con un minimo di sale in zucca i simboli e la loro genesi, è un´ovvietà, ma perfino le ovvietà sono sprecate in un contesto così incivile e neurolabile come gli stadi di calcio. Perfino il Che, dentro quelle scodelle ribollenti e violente, fa cattivo brodo.
Accorgersi di fare una cosa cretina è una delle forme più alte di "virilità", direbbe Di Canio. Beh, smetta di farla. I tic nervosi si curano, forse sono addirittura mutuabili.

Michele Serra

Michele Serra Errante è nato a Roma nel 1954 ed è cresciuto a Milano. Ha cominciato a scrivere a vent’anni e non ha mai fatto altro per guadagnarsi da vivere. …