Vittorio Zucconi: Tsunami, un anno dopo. Il mondo ricorda l’onda di dolore

27 Dicembre 2005
Morirono insieme i giusti e gli ingiusti, le prostitute e i clienti, i forestieri e i locali, i musulmani, i cristiani, i buddhisti e i menefreghisti, il figlio ventunenne della principessa thailandese Rajakanya inghiottito dall’onda mentre faceva ‟jet sky” e il fratello di Mohammed Yani mentre pettinava una spiaggia dello Sri Lanka a pesca di monete. Dodici nazioni, milioni di chilometri di costa, ‟resort hotel” di lusso in Thailandia e baracche somale, per almeno 235 mila morti contati finora dalle Nazioni Uniti, spazzati via da una spallata della crosta terrestre davanti all’isola di Sumatra all’alba 26 dicembre 2004 e dalla muraglia d’acqua che essa generò.
Tutto il mondo rimase attonito, i governi lanciarono elicotteri e aerei per farsi vedere generosi, la gente staccò uno cheque da 10 miliardi di Euro in donazioni private. È passato un anno, sono passate altre catastrofi immani, l’uragano Katrina che ha fatto di New Orleans la Pompei americana, il terremoto pakistano, e ieri sono suonate le sirene dei nuovi e tardivi sistemi di allarme in Indonesia, i gong nel templi, le campane nelle poche chiese, le invocazioni funebri degli imam. Ma 1 milione e mezzo dei quasi due milioni di essere umani rimasti senza casa soltanto in Indonesia, vivono ancora come la sera di quel giorno che i cristiani chiamano di Santo Stefano, tra fogli di plastica e pareti di onduline. A Lamteungoh, un villaggio indonesiano dove vivevano 17 mila persone e oggi 276, l’unico edificio nuovo è una piccola madrassa, una scuola coranica.
La contromarea della commozione, sollevata da quelle sequenze video amatoriali e perciò più brutali, che documentarono una tragedia mentre accadeva come avvenne per l’11 settembre a Manhattan, e la scolpirono nella memoria, è diventata l’acquitrino della burocrazia, della corruzione, dei ricatti politici, dei profittatori delle catastrofi dove ristagnano e scompaiono i miliardi. Migliaia di volontari, di organizzazioni generose e disinteressate continuano a tappare falle e a fare il poco che possono fare, lottando contro la melassa delle burocrazie, le guerriglie di religione e di tribù che stanno riemergendo dalla palude, come in Indonesia o nello Sri Lanka. Pessimi governi, amministrazioni rapinose, mafie locali non divengono angeli di efficenza e di carità soltanto perchè un’onda divora uomini che l’imprevidenza e la corruzione di quegli stessi governi avevano esposto al disastro.
Come tutte quella tragedie che chiamiamo ‟naturali”, anche lo Tsunami di Santo Stefano rivela sempre il meglio e il peggio della comunità umana, imbarazza governi potenti e inetti come quello americano, illumina le condizioni di vita nel Kashmir come nei ghetti di New Orleans, affonda la lama nell’abisso che divide le ‟fantasyland” per turisti dalle ‟realityland” dei mondi che li circondano. Chi non è stato toccato offre aiuti per bontà, per emozione, per l’inconfessabile sollievo che sia toccata a un altro. Ma a New Orleans la ricostruzione promessa stenta, e 70 mila famiglie sono ancora sfollate e sparpagliate in 21 stati.
Dal Pakistan sbriciolato si sa sempre meno. Dalle coste dello Tsunami, dove molti hanno deposto ieri fiorellini davanti a un oceano placido, tre quarti dei soldi promessi non sono arrivati e tra i donatori si insinua la ‟charity fatigue”, la stanchezza del buon cuore affaticato. Alle 8 e 16 del mattino del 26 dicembre 2004 morirono insieme giusti e gli ingiusti. Ma alle 8 e 16 di un anno più tardi, gli ingiusti campano di nuovo meglio dei giusti.

Vittorio Zucconi

Vittorio Zucconi (1944-2019), giornalista e scrittore, è stato condirettore di repubblica.it e direttore di Radio Capital, dove ha condotto TG Zero. Dopo aver cominciato nel 1963 come cronista precario a …