Vittorio Zucconi: Usa. La tragica beffa della miniera

09 Gennaio 2006
Morire mille metri sotto la terra, mentre sopra le campane suonano a festa per salutare la tua salvezza. L’America che non vediamo mai, quella che scava come cent’anni or sono nelle miniere di carbone del West Virginia, affiora dal buio con una doppia tragedia, la morte da topi di 12 minatori che i padroni del carbone avevano dati per vivi ai parenti, illudendoli prima di straziarli. è un’America in bianco e nero, senza technicolor e lieto fine, che ha i colori grigi e neri di Marcinelle, di un mondo intriso di grisou, di monossido di carbonio, di gas letale, popolato di uomini che soffocano mentre mille metri sopra di loro le loro famiglie vanno a dormire sollevate e rassicurate, soltanto per essere svegliate cinque ore più tardi con la verità. Dei tredici minatori intrappolati sotto terra, soltanto uno, il più giovane, sarà estratto ancora vivo, ma in condizioni critiche. Come Katrina ci mostrò le interiora marce di New Orleans spazzando via le brochure turistiche, così il collasso di una galleria scavata di fresco nelle minierie di Tallmansville riporta alla luce quell’"altra America" vera, che non è la solita e frusta immagine politica. è la realtà di americani che vivono e lavorano non molto meglio di come i loro antenati, e migliaia di immigrati serbi, slovacchi, ungheresi e soprattutto italiani, vissero e morirono un secolo e mezzo fa, quando il boom delle ferrovie cominciò a divorare il carbone che abbonda nelle valli dei Monti Appalachi. I sepolti vivi, nella storia della sfruttamento dei giacimenti di carbone nella regione più povera d’America, sono migliaia, da quando i primi pozzi furono aperti nel 1883. Neppure i mezzi della tecnologia moderna, le telecamere calate sottoterra, i sensori sismici, i rivelatori di gas che hanno sostituito i poveri canarini, hanno cambiato la realtà. Anzi, l’hanno resa semmai più crudele per le famiglie che nella notte di martedì seppero via radio, cellulari, televisione e internet che i loro uomini erano ancora in vita e sarebbero stati raggiunti dai soccorritori in poche ore, resuscitando quella speranza che molti di loro, per esperienza, si erano rassegnati ad abbandonare. Come sia nato l’equivoco sulla loro sopravvivenza è ancora oscuro, e lo stesso governatore dello Stato, che aveva dato la buona notizia al paese raccolto in veglia da 48 ore nella principale chiesa presbiteriana, si è dovuto scusare, come se qualsiasi scusa potesse ricompensare quelle famiglie dall’esplosione di felicità che li aveva travolti a mezzanotte, quando centinaia di persone erano corse fuori dalla chiesa gridando, «Praise the Lord», «Sia Lodato il Signore». Si sa che i dodici là sottoterra (il tredicesimo era stato estratto, morto, poche ore dopo il crollo) avevano lottato con tutta la loro esperienza e la loro energia. Avevano costruito barriere improvvisate per sorreggere la galleria cedente e per isolarsi in una bolla di aria respirabile. I sensori trapanati dalla superficie avevano letto concentrazioni di monossido di carbonio quattro volte superiori al massimo tollerabile e i parenti si erano, come generazioni prima di loro, rassegnati. La moglie di uno di loro, poetessa dilettante, aveva già composto un’elegia funebre, «tu che ora dormi nel grembo di questa terra maledetta». Letterariamente modesta, ma pateticamente vera. Una terra dove il carbone rimane la sola vera ricchezza, e i padroni delle miniere sono padroni delle company town, delle cittadine, come questa Tallmansville, dove tutto ruota attorno al fossile scavalo dalle montagne. Qui si combatterono nel secolo scorso guerre vere, con falangi di minatori armati di piccozze, punteruoli, mazze ferrate e qualche revolver nascosto sotto la giubba, per strappare il diritto di formare un sindacato e chiedere condizioni migliori ai «barons» del carbone. Tra il 1890 e il 1912, la mortalità nei paesi del West Virginia era più alta che in qualsiasi altra regione degli Stati Uniti, e gli storici calcolarono che nel 1917 un soldato americano al fronte in Francia aveva più probabilità di sopravvivere di quante ne avesse un minatore di carbone. Nel 1907 morirono 357 minatori in una orrenda disgrazia, molti di loro immigrati italiani, e qualche anno più tardi, nel 1925, Washington dovette inviare unità dell’esercito, carri armati e aerei da ricognizione per reprimere una rivolta che fu ribattezzata «La Guerra del Tuono», guidata da un altro minatore italiano, Cipriani. Si dovettero aspettare gli anni '30, la vittoria dei riformisti di sinistra con Roosevelt, per vedere autorizzato il sindacato; e poi un mezzo secolo, fino al 1969, e un’altra tragedia con 78 minatori morti, perché il Parlamento si decidesse a varare una legge sulla sicurezza del lavoro in miniera, che i «barons» del carbone erano sempre riusciti a bloccare. Neppure quella legge è servita a impedire questa ennesima Marcinelle nei Monti Appalachi, e neppure l’età delle comunicazioni istantanee ha risparmiato alle famiglie la squisita crudeltà del loro capodanno sull’ottovolante della disperazione-sollievo-disperazione. I corpi sono stati tutti recuperati. Il solo superstite, un giovane di 26 anni, è in terapia intensiva. I loro posti vacanti sono già stati occupati, perché non ci sono molte alternative, laggiù, tra le gallerie e l’uniforme dell’esercito, come quella che indossò Lynndie England, la soldatessa condannata per le sevizie ai prigionieri di Abu Ghraib. La miniera è il posto che paga meglio di ogni altro, nella terra «vicina al paradiso» che John Denver cantava nelle sue ballate. La terra delle «mountain momma» di quelle montagne madri che divorano i propri figli, e per questo è tanto vicina al paradiso.

Vittorio Zucconi

Vittorio Zucconi (1944-2019), giornalista e scrittore, è stato condirettore di repubblica.it e direttore di Radio Capital, dove ha condotto TG Zero. Dopo aver cominciato nel 1963 come cronista precario a …

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